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5 considerazioni sugli italiani e l’Irpef

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Sono davvero molto interessanti le statistiche pubblicate dal Tesoro sulle tasse sul reddito pagate dagli italiani relative al 2017. È la foto esatta del nostro contribuente. E dei rischi che corre.
41 milioni di italiani devono in qualche modo avere a che fare con commercialisti o consulenti fiscali per rendicontare ciò che si sono portati a casa: tra di loro lavoratori dipendenti, partite iva e pensionati. Questi ultimi pagano le imposte, anche se si finge di ignorarlo. Ebbene su questa vasta platea ci sono 13 milioni a zero Irpef, per due ordini di motivi.

Il primo è che il loro reddito annuale non arriva agli 8000 euro, il secondo è che grazie alle detrazioni riescono a non pagare nulla. Primo piccolo insegnamento: ogni sistema fiscale ha delle soglie. Ai critici della soglia imposta per la flat tax a quota 65mila, segnalo dunque che una soglia del tipo o la va o la spacca esiste già. È bassa e, teoricamente, incentiva il piccolo nero. Siamo tutti disonesti o contabili? Può darsi, ma non è un buon motivo per applicare un’imposta su chi ha redditi così ridotti.

I restanti trenta milioni di contribuenti pagano un’irpef cumulata di 157,5 miliardi. Seconda considerazione generale: un terzo della popolazione è assistito dai due terzi. L’imposta sul reddito è il tributo dei tributi: quella che secondo la teoria dell’imposta beneficio si giustifica per il pagamento dei servizi generali che ci fornisce lo Stato, dalla difesa alla giustizia, dalla scuola alla sicurezza. Ebbene un italiano su tre, almeno per quanto riguarda questo grande tributo, è sulle spalle degli altri due. Da un punto di vista piú micoroeconomico, non è un buon segnale quello generato da un paese in cui una parte cosí vasta dei suoi cittadini è in qualche modo assistita: ad un terzo di contribuenti a Irepf zero (13 milioni) si devono infatti sommare 25 milioni di non contribuenti (compresi i bambini, ovviamente): tutto ciò comporta statisticamente che ogni italiano assiste almeno un suo vicino.

La terza considerazione riguarda i ricchi, che, come tutti dicono fino allo sfinimento, sono pochi, troppo pochi in relazione alla popolazione. La retorica della disuguaglianza galoppante fa il resto. Guardando alle dichiarazioni dei redditi, viene voglia di dire che siamo fortunati che essi ci siano. E che il problema non è tanto la disuguaglianza dei redditi, ma il fatto che ci siano in Italia così pochi Paperoni. Solo l’1,4 per cento delle dichiarazioni è fatta da contribuenti il cui reddito va dai centomila ai duecentomila euro, eppure costoro contribuiscono al 13 per cento del gettito irpef. Solo 38mila persone, cioè lo 0,1 per cento dei contribuenti, hanno un reddito superiore ai 300mila euro, ma il loro contributo vale il 6 per cento dell’intero gettito.

Quarta considerazione riguarda la più vecchia flat tax introdotta in Italia, quella sugli affitti. Eassa genera un’imposta di 2,4 miliardi. Ebbene è ancora in crescita: più 8 per cento il suo imponibile. L’ennesima dimostrazione di come una tassa piatta e semplice e con un’aliquota contenuta, faccia emergere il sommerso e sia desiderabile. Come da anni ci spiega la Confedilizia.

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