Tra i danni provocati da Papa Francesco c’è Ilaria Salis che, in un accesso di modestia, pontifica da papessa rossa su Instagram. L’occasione, manco a dirlo, è il Conclave, che forse la nostra euroagitatrice vorrebbe okkupare per uscirne auspicabilmente incoronata: nuntio vobis gaudium magnum, habemus papessam. Eminentissimam ac Reverendissimam Dominam, Dominam Ilaler Salis qu* sibi nomen imposuit Occupatrix.
L’omelia è degna di nota non tanto per i contenuti, al solito deliranti secondo miglior causa, né per lo stile, da influencer Askatasuna: la stolida inesorabile retorica che pretende di dipingere Gesù Cristo come uno svalvolato arnese da centro sociale in mezzo ad apostoli parimenti sbandati, balordi, scatenati, e va beh, stiamo parlando di Ilaler, parla Ilaler, che altro può dire? Ma chissà parla per perorare, con la scusa dei detenuti, la sua personale condizione: insomma tenetemi libera in nome di Dio, io sono il salis della terra e mi paleso a nome dei pregiudicati di tutto il mondo, unitevi.
Solo, non risulta che Cristo andasse in giro ad occupare capanne o templi, né a predicare violenza, tanto meno a manganellare crani “nemici”, la sua rivoluzione era spirituale e comunque quella dell’amore, della mitezza, della comprensione (siamo patetici a rimarcarlo, lo sappiamo, ma è la nostra condanna quella di dover confutare le vaccate, più che eresie, delle Ilaria Salis di turno: Cristo non è mai stato socialista, compagno, onghettaro, proletario, brigatista, era falegname ma non esperto di chiavi inglesi, era povero ma non rubava, fatevela finita una buona volta con questa retorica da cazzari).
Papa Francesco, dice rossapapessa, ha aperto la porta santa ai carcerati, li visitava, bla bla bla: tutto bello, tutto lodevole, ma neppure lui si è mai spinto a predicare l’abolizione di ogni giustizia terrena, la riconversione delle galere in strutture abitative (da occupare, ça va sans dire), l’ingiustizia sociale per cui ogni illiceità è buona se praticata sotto l’egida di una lotta proletaria otto-novecentesca. Occupatrix reclama, né più né meno, l’impunità per tutti i detenuti a prescindere dalle condanne, dai delitti e dalle pene – e sarebbe bello però chiederle se vale per tutti o se per qualcuno, più “fascista” e meno migrante, non vale, se per i non gender, non sinistri, non scafisti vale solo la legnata spaccatesta.
L’omelia dalla finestra di Instagram, dicebamus, nondimeno rileva per intriganti notazioni di carattere estetico: papessarossa, tu non sei più la stessa! Che fine ha fatto la mise barricadera, la pancia scoperta, le zeppe, l’acconciatura trasandata, il tratto rivoluzionario? Qui abbiamo una neo unta dal Signore delle banche, una influencer ben piantata, l’occhio sempre un po’ fisso, la lettura del gobbo more solito saltellante, ma stilisticamente inedita: un tailleurino molto borghese, piccolo borghese, oseremmo dire conservatore, quasi reazionario, perfino le unghie vezzosamente laccate, la riconversione eurocratica è matura, è compiuta: chissà che ne direbbero i vecchi compagni da corteo e da barricata, a vedersi così rinnegati da un punto di vista armocromatico. Quantum mutata ab illa!
Ispirata, un po’ spiritata, ma dal tratto rassicurante, europarlamentare, quasi partitocratico: manca solo di vederla a bordo di una Tesla, magari quella dismessa dai Fratoiannez. Eh beh, che ci volete fare, lei a Bruxelles, voi al centro sociale Pedro o al Fuoco, lei a Strasburgo, lei 10mila al mese, forniti dalla globalizzazione, dall’agenda, dalla BCE, voi a fare le pastasciutte solidali e lo sfilatino antifà by fornaia di Ascoli, lei a pugno chiuso, voi a mani vuote. L’avete voluta, la bicicletta Ilaria Salis: e mo’ ve la cuccate in versione Ursula, quella femminilità un po’ anodina, burocratica, mooolto belgica, molto falansterio, molto Draghi. Altro che “io coi partiti di destra non ci parlo, non dialogo”: tu, bella mia, nella logica della spartizione compromissoria ormai ci stai dentro fino al collo, gadget griffati inclusi.
Sic transit gloria altri mundi possibili: dal manganello al borsello, dai volantini agli incartamenti. Papessarossa oggi è una delle élite, mentre il popolo si gratta, può sparare i social sermoni che vuole, ma è tutto fumo (di Satana?) negli occhi. Non sorprende che per agitare il turibolo scomodi la salma ancora calda di Bergoglio, uno riuscito nell’impresa di spedire il casinista di Genova fino al sinodo, uno che porta la responsabilità di un conclave a sua misura, a sinistra della rivoluzione d’ottobre: se dalla fumata rossa esce uno dei suoi, uno Zuppi, per dire, altro che Ilaler Salis.
“Amnistie – indulti – sconti di pena”, scandisce la sua mercanzia l’euronorevola rossapapessa nella sua giacchina rosso cardinalizio fingendo di accorarsi per “la situazione delle carceri italiane” (quelle ungheresi sono un ricordo da dimenticare). Sbaglieremo noi, ma negli occhi le scorgiamo il terrore di perdere la franchigia – sta già succedendo, in Polonia ad esempio: ecco perché si dice “speranzosa” arrivando ad appellarsi, udite udite, perfino all’esecrata Meloni. Senza ritegno, proprio. Ma è giusto cavalcare così la condizione di tanti reclusi, tra loro anche poveri cristi dal curriculum irrisorio rispetto alle condanne, ai precedenti di polizia, al processo in corso?
Ilaler pontifica, ma di concreto non farà mai niente perché ha scoperto la vida loca e le gusta mucho, non vuole smetterla più, ma ha bisogno dell’ultima impunità. Comprensibile, chi non lo vorrebbe al suo posto di eroina di una favola che la vede trasformata da Cenerentola della sovversione a principessa della globalizzazione; ma, a questo punto, per quanto ci riguarda ci sia lecito non bercela, ci sia consentito osservare che aggrapparsi alle mura leonine, con tanto di riprese pubblicitarie, dal drone di piazza San Pietro, è qualcosa di estremamente sgradevole, non imbarazzante, sgradevole, fastidioso almeno per noi che bigotti non siamo ma neppure di quei comunisti paleontologi che scoprono la Chiesa rossa adesso che fa comodo, per pretendere indulgenze. Poi dice che, là dentro, i cardinali sono incasinati. Per forza, hai voglia a ricostruire una parvenza di decenza dopo i capolavori sovversivi di Francesco.
Max Del Papa, 8 maggio 2025
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