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A cosa servono le primarie, se non c’è nemmeno la coalizione?

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A “chi” e a “cosa” servono le primarie? Mi rendo conto di porre una domanda provocatoria, anche se ritengo che molti altri osservatori esterni come il sottoscritto, non coinvolti direttamente in politica e senza tessere di partito in tasca, condividano le stesse perplessità. Mi si può subito rispondere che negli Stati Uniti, per citare il caso più emblematico, le primarie sono prassi normale. Anche se mette conto osservare che non sempre aiutano a scegliere il candidato migliore. Abilità e intelligenza politica sono infatti virtù ben diverse dalla capacità oratoria o dalla semplice telegenia.

E poi non è detto che ciò che va bene agli americani debba per forza andar bene anche a noi. L’Italia è un Paese diverso dagli Usa sotto molti aspetti, ivi inclusa la tradizione politica. Guardando i passati show televisivi dei molti – troppi – candidati alla guida delle varie coalizioni italiche, ho avuto l’impressione che il dibattito non abbia affatto chiarito quale fosse il più adatto a dirigere in futuro una certa formazione politica, per di più composita.

Lo show ha solo rimarcato – ove ce ne fosse ancora bisogno – le tantissime anime che ne fanno parte, alcune delle quali appaiono addirittura inconciliabili tra loro. Ora l’idea delle primarie si sta di nuovo facendo strada grazie alla solita generosità di Daniele Capezzone il quale, dopo lo smacco subito dal cosiddetto centrodestra nella recentissima elezione presidenziale, sta cercando di dare al già citato centrodestra qualche consiglio per diventare una vera coalizione politica in grado, quando è necessario, di battere gli avversari.

Notiamo subito che, anche in questo caso, non occorre essere indovini per prevedere che i candidati alla leadership saranno molti, fedele specchio delle varie anime della coalizione. E non penso che il sentire tante voci discordanti aiuterà i potenziali elettori a chiarirsi le idee. Sembra quasi che i suddetti candidati non comprendano la necessità di una sintesi in grado di convincere gli elettori, e soprattutto quelli incerti in linea di principio.

Perché è proprio questo il punto. Ascoltando i battibecchi tra i candidati del centrodestra è aumentata la già grande confusione. Davvero non si capisce per quale motivo alcuni di loro vogliano presentarsi sotto lo stesso tetto (oppure ombrello, se si preferisce). Lo stesso accade per il campo opposto, dove il dibattito continua a mettere in luce la diversità di fondo tra il Pd – già di per sé tutt’altro che granitico – e i grillini, la cui implosione non può affatto essere esclusa.

Aggiungo un paio di considerazioni che, almeno a me, sembrano essenziali. La prima è che le primarie costano, e pure parecchio. Negli Usa intervengono massicciamente i privati, da noi assai meno. Si rischia l’ennesima – e giusta – polemica circa l’utilizzo che i partiti fanno del denaro pubblico.

La seconda considerazione, forse ancora più importante, riguarda il rischio di saturare con la politica (spesso da avanspettacolo) i cittadini comuni, che già non ne possono più. Un’antipolitica, magari diversa da quella proposta da Beppe Grillo, potrebbe alla fine trarre ulteriori vantaggi dalla presenza di gazebo con i simboli di partiti che non sono mai stati così impopolari.

Torno quindi al mio quesito iniziale: a chi e a cosa servono le primarie? Non sarebbe meglio dimostrare al cosiddetto uomo della strada una certa serietà, presentando dei programmi comuni plausibili e ben strutturati, in grado di attrarre un consenso più stabile di quello che si può ottenere con dibattiti televisivi tra candidati tutti in lite tra loro? La mia è, forse, una domanda ingenua, ma da “non politico” di professione ho il diritto di porla. E come me tanti – anzi tantissimi – altri.

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