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Altro che velo “libera scelta”: musulmani che si ribellano all’islamismo

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Un gruppo di francesi provenienti dal mondo della cultura, umanisti, progressisti, femministe e alcuni soggetti di fede musulmana, hanno redatto un Manifesto in cui esprimono il loro dissenso alla definizione generica quando si parla di musulmani, evidenziando che loro non condividono il sessismo musulmano e il velo che viene imposto alle donne; ritenuto da questi il “vessillo identitario” e politico degli integralisti.

La donna che dà la sua testimonianza nel video sull’emittente Europa 1, è stata oggetto di gravi minacce. Ci racconta come vivono molte francesi di confessione musulmana, donne, ma anche alcuni uomini, sottoposti alla pressione sociale e ridotti al silenzio tramite minacce di morte. In questo gli islamici ortodossi si avvalgono della complicità dei loro sostenitori occidentali che attraverso una falsa coscienza reiterano il concetto del “velo come libera scelta”, oscurando in tal modo il sessismo legato alla dimensione di genere; una discriminazione sessuale sulla quale l’islam (si veda il caso iraniano…) tradizionalista fonda la sua esistenza ed egemonia politica su base religiosa, minacciando e obbligando al silenzio coloro che tentano di opporsi.

Attraverso il martellamento, la banalizzazione e la normalizzazione di uno standard di abbigliamento, funzionale a far passare il messaggio che “islam è uguale velo”; che musulmano è onnicomprensivo di “copertura” del corpo femminile. Più è pervasiva la banalizzazione, più sono forti le pressioni su chi resiste e rifiuta di sottomettersi. L’intervistata dice: “È una delle spiegazioni dell’annientamento delle donne velate che ho potuto osservare negli ultimi 30 anni in Francia e nel Magrhreb”.

Questa ostentazione del velo è un mezzo politico che permette agli islamici l’acquisizione di legittimità in relazione alla rappresentanza musulmana. In Francia per esempio l’UOIF (Unione e organizzazione islamica), e il CCIF (Collectif Contre l’islamofobie en France) sono l’esatta rappresentazione di questa linea politica, dove il corpo femminile è anche il loro cavallo di Troia per l’islamizzazione dell’Europa, esattamente come lo è stato per Khomeini con la rivoluzione islamica in Iran, così come continua ad essere la chiave di volta che regge l’impianto fondamentalista degli ayatollah odierni, che infatti, non esitano ad arrestare e torturare le donne ribelli che osano sfidare il potere clericale togliendosi il velo pubblicamente.

La testimonianza in oggetto è peculiare di questa oppressione politico/religiosa, il sessismo identitario dell’islamismo da parte delle femministe occidentali che con il loro silenzio, o addirittura con i loro velarsi in occasioni istituzionali, sostengono e avvallano la sottomissione femminile in ambito islamico, danneggiando inoltre, coloro che all’interno di quel mondo tentano di ribellarsi, anelando ad una visione diversa, tentando di aprire una un varco alla secolarizzazione. Esattamente ciò che vorrebbe il popolo iraniano, attraverso una separazione tra religione e Stato, nonché il riconoscimento dei diritti delle donne.

Le femministe relativiste sostengono che il velo sia una “libera scelta”, indicandolo come una rappresentazione femminista. Non si accorgono di cadere nell’anacronismo, che è quel tipo particolare di fallacia che dipende dalla confusione dei piani cronologici; il velo nasce come strumento politico a base religiosa, per creare un’egemonia maschile sulla quale l’islam si fonda.

È altresì da chiarire che non esiste un islam moderato, poiché il Corano è un testo “increato”, è la parola di Dio, pertanto immodificabile. Una modernizzazione dell’islam può avvenire solo attraverso la separazione tra religione e Stato, come propongono i resistenti iraniani nella loro versione costituente per un Iran libero e democratico. La precondizione che questo avvenga, è che siano le donne a farsi soggetto del cambiamento – visto che sulla loro sottomissione si regge l’impianto fondamentalista. A tal proposito è fin troppo evidente l’importanza che i portatori della visione islamica ortodossa (l’unica attualmente in essere) insistono proprio sull’aspetto della copertura del corpo femminile, avversando fortemente attraverso minacce e il reato di apostasia, tutti coloro che all’interno del mondo islamico aspirano ad un cambiamento.

Si può ragionevolmente sostenere che la lotta delle donne iraniane contro l’obbligatorietà del velo, non è solo una questione di genere, e nemmeno legata unicamente a quel paese. Non è soltanto uno sforzo, spesso eroico (visto che lo fanno al prezzo del carcere), di recuperare diritti personali e civili. Questa lotta si prefigura come una mobilitazione di una porzione enorme di quella società, ma è anche portatrice di un messaggio a tutte le donne musulmane. La prefigurazione che il velo rappresenta per gli apparati di potere che si configurano all’interno dell’islam politico, e di disciplinamento derivato dal potere religioso, sono la dimostrazione che un auspicabile, quanto indispensabile mutamento, non sarà configurabile unicamente in un ambito culturale, ma toccherà le forme dell’autocoscienza che scaturiscono da tali rapporti di dominio che nell’oscurantismo religioso e politico trovano il loro humus.

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