Economia

Il sogno green è diventato un incubo: ecco cosa è successo in Spagna

Blackout per eccesso di offerta, venuto al pettine il nodo della intermittenza delle rinnovabili. I costi occulti (in Italia oltre 29 miliardi di euro, di cui 18 in bolletta) e la follia delle compensazioni

Alla fine è successo. L’incubo che tanti paventavano circa lo squilibrio delle reti elettriche indotte da una massa sempre crescente di impianti a energia rinnovabile che iniettano in rete la loro energia dal carattere fortemente intermittente si è avverato. È accaduto l’altro ieri, 28 aprile 2025, nella penisola iberica e potrebbe essere solo l’inizio di una catena di eventi simili in tutta Europa.

No, non è l’incipit della sceneggiatura di un film di fantascienza distopica ma letteralmente la realtà che ci attende da qui ai prossimi anni se non adottiamo le indispensabili contromisure.

Quanto accaduto in Spagna e Portogallo sembrerebbe infatti proprio legato ad un eccesso di energia elettrica da fonte eolica e fotovoltaica riversata in rete che è stata maggiore della domanda di energia e ha mandato in tilt l’intera rete della penisola iberica e del sud della Francia.

E no, con buona pace dei tanti estimatori dei libri di Ken Follett, il riscaldamento globale, il raro fenomeno atmosferico, la guerra ibrida, l’attacco degli hacker russi, le ritorsioni di Israele e la punizione di Trump all’Europa non c’entrano assolutamente nulla, come pure è stato convulsamente scritto e detto per tutta la giornata da tutti i media mondiali.

No, cari lettori, parafrasando una notissima canzone dei mitici Pooh, le strade per farci del male non le sbagliamo mai noi europei! Ma procediamo con ordine e vediamo di ricostruire come provetti Sherlock Holmes che cosa è presumibilmente accaduto.

I fatti

È il 28 aprile 2025 e sulla penisola iberica c’è una tersa e calda giornata di sole di primavera inoltrata: un altro giorno in Paradiso!

Già dalla prima mattinata, gli impianti fotovoltaici di cui sono ricchi Spagna e Portogallo hanno cominciato a iniettare in rete potenza elettrica via via crescente. Come si vede dal grafico tratto dal sito del gestore di rete spagnola (Red Eléctrica, sito web), già intorno alle 10 del mattino la potenza generata dalle fonti rinnovabili aveva di fatto eguagliato la domanda di potenza (linea gialla del grafico).

Rinnovabili

Alla produzione di energia rinnovabile si sovrapponeva tuttavia quella di energia non rinnovabile.

Non rinnovabile

La componente non rinnovabile è stata lievemente modulata verso il basso dalle 8 fino a poco prima delle 10 e poi tenuta costante fino alle 12:30, momento del blackout. La potenza risultante iniettata in rete ha seguito quindi questo andamento.

Totale

In buona sostanza, dalle 9 circa fino alle 12:30, quando si è avuto il blackout, la potenza elettrica totale iniettata in rete si è mantenuta sempre di parecchi megawatt superiore alla domanda. Come se non bastasse, andando ad analizzare le esportazioni verso Francia e Marocco, si vede che in quello stesso lasso di tempo non c’è stato alcuno scambio di energia con quei due Paesi mentre, di contro, si può vedere invece il tentativo disperato di utilizzare la potenza in eccesso per pompare acqua nei bacini di accumulo idroelettrico.

Pompaggio

Il cui effetto, tuttavia, non è stato sufficiente a compensare l’eccesso di potenza elettrica, vuoi perché il pompaggio è iniziato in maniera consistente solo nell’ultima ora prima del blackout, dalle 11:30 alle 12:30, vuoi comunque perché la potenza impiegata per questa attività non ha mai superato i 3 GW, laddove l’eccesso di potenza era nell’ordine degli 8 GW.

L’eccesso di potenza in rete ha quindi provocato una perturbazione fortissima sulla rete stessa.

Un po’ di teoria

Una rete elettrica non è solo un insieme di fili di rame e di stazioni di trasformazione ma può essere intesa come un organismo complesso dotato di arterie, vene e capillari come un essere vivente.

In particolare, a fronte di transitori e di variazioni rapide, il suo comportamento si discosta significativamente dalle comode semplificazioni dell’elettrotecnica (la rappresentazione delle grandezze elettriche come fasori – spiegazione qui) che valgono solo in condizioni stazionarie o semi-stazionarie.

L’analisi invece delle condizioni transitorie fortemente instabili e rapidamente variabili richiede la risoluzione di complesse equazioni differenziali e, nei casi limite, persino della risoluzione delle equazioni di Maxwell del campo elettromagnetico.

Un transitorio rapido è infatti associato a una perturbazione elettrica dal contenuto frequenziale di armoniche molto elevato (teoricamente infinito) che dà origine a un campo elettromagnetico intorno ai cavi, campo elettromagnetico che in minima parte è sempre presente per via del fatto che la potenza elettrica scorre alla frequenza di 50 Hz, ma che assume intensità via via più significative con il crescere delle frequenze in gioco.

Detta in soldoni, in caso di transitorio non trovereste nei cavi solo la “50 Hz” (frequenza standard di rete) ma anche la “100 Hz”, la “150 Hz”, la “200 Hz”, e così via, dai valori di ampiezza via via decrescenti al crescere della frequenza.

La composizione su vasta scala di tutte queste componenti, unitamente ai campi elettromagnetici che vanno a instaurarsi intorno ai cavi (soprattutto intorno a quelli di alta tensione) possono dar luogo a fenomeni di risonanza elettromagnetica sulla rete che impattano fortemente proprio sulla frequenza risultante di rete e tendono a modificarne il valore.

Reti prevalenti e non

Cosa fa quindi la differenza col passato? Quando una rete è resiliente ai transitori, tanto per usare un termine molto in voga? Quando essa è “prevalente”, cioè quando la sua inerzia elettrica complessiva è talmente grande che ogni possibile perturbazione può essere riguardata come l’effetto di un sassolino lanciato in uno stagno: si creano delle increspature sulla superficie dell’acqua che non ne alterano il livello e, soprattutto, si esauriscono in poco tempo facendo tornare lo stagno alla sua tranquillità iniziale.

Una rete prevalente è quindi quella che presenta numerosi generatori sincroni che impongono la frequenza e che, in virtù della loro inerzia elettrica e meccanica (ciascun generatore di grande taglia – 500 / 1.000 MW – accumula nel proprio rotore energia cinetica di rotazione per poco meno di 1 MWh), sono in grado di tenere fissa la frequenza a fronte di transitori entro limiti molto stretti (± 1 percento, cioè 49,5 / 50,5 Hz, come da normativa EN 50160).

I generatori sincroni sono quelli delle centrali termoelettriche a combustibili fossili, nucleari e, in minima parte, quelli a biomasse, nonché quelli delle centrali idroelettriche. Sono loro che, tutti insieme, sostengono la rete e impongono, per la natura stessa della macchina elettrica “generatore sincrono”, la frequenza di rete.

I sistemi di generazione eolica e fotovoltaica sono invece “trascinati” dalla rete, nel senso che i loro output di potenza sono sì a 50 Hz ma sono ottenuti come risultato di elaborazione elettronica.

Infatti, le turbine eoliche più obsolete e quelle più piccole sono dotate di generatori asincroni direttamente collegati alla rete che quindi non impongono la frequenza ma ne sono trascinati e, come conseguenza, operano in una strettissima fascia di giri, quella cioè imposta dalla curva giri-potenza e dallo scorrimento del loro generatore.

Le turbine eoliche più grandi e moderne lavorano invece a giri variabili per conseguire l’obiettivo di mantenersi sempre al massimo rendimento aerodinamico al variare della velocità del vento; pertanto, il loro generatore asincrono non è inserito direttamente in rete ma attraverso un convertitore di frequenza che riceve in ingresso le grandezze elettriche alla frequenza di generazione e le converte alla frequenza di rete (50 Hz).

In questo caso, quindi, la frequenza di rete è sintetizzata dall’elettronica di potenza del convertitore in maniera anche molto precisa (essendo frutto dell’elaborazione di un microprocessore) ma senza alcuna inerzia elettrica nei confronti della frequenza stessa.

Stesso discorso vale per gli impianti fotovoltaici che, per loro natura, generano corrente continua che viene poi trasformata in alternata attraverso gli inverter, dispositivi più semplici dei convertitori di frequenza ma nei quali la sintesi della frequenza di rete avviene nel medesimo modo, cioè attraverso elaborazione di un microprocessore, e anch’essi non presentano alcuna inerzia elettrica nei confronti della frequenza di rete.

Cosa possiamo quindi concludere? Che, se una rete è alimentata prevalentemente da generatori sincroni, essa sarà una “rete prevalente” nella quale le perturbazioni saranno egregiamente assorbite senza dare alcuna conseguenza – o con conseguenze minime – in termini di valore di frequenza di rete. Se, viceversa, una rete è alimentata prevalentemente da impianti di energia rinnovabile – eolico e fotovoltaico – essa sarà di conseguenza una rete debole e sensibile alle perturbazioni esterne, le quali daranno conseguenze significative in termini di frequenza di rete.

Ecco, il punto è che la rete elettrica della penisola iberica è oggi alimentata prevalentemente da impianti a energia rinnovabile, e questo la rende una rete molto sensibile alle perturbazioni.

Sì ma perché il blackout?

Abbiamo fin qui appurato che l’eccesso di potenza elettrica in rete ha creato una perturbazione nella rete iberica stessa che, a causa della sua elevata sensitività alle perturbazioni perché sostenuta da pochi generatori sincroni, ha dato come conseguenza uno scostamento della frequenza di rete al di fuori dei range operativi ammessi dalla normativa EN 50160.

Questo ha fatto sì che i sistemi automatici di controllo e protezione (volgarmente detti “relè” di protezione) di tutti gli impianti di generazione – rinnovabile e non – collegati in quel momento alla rete hanno rilevato una grave anomalia di frequenza e quindi, di conseguenza, si sono distaccati dalla rete per ottemperare alla loro funzione di protezione. La conseguenza ultima è stata, quindi, il blackout su tutta la rete.

Quali le responsabilità?

C’è ancora un ultimo tassello da mettere a posto nel complesso puzzle degli eventi del 28 aprile: di chi è la responsabilità? Abbiamo già visto sui grafici di REE che la causa scatenante è stata mantenere in rete per circa tre ore e mezza un eccesso di potenza di circa 8 GW. Cosa avrebbero dovuto fare quindi gli operatori REE in tale frangente?

Non potendo far ridurre il carico alle centrali termoelettriche in tempi così brevi (la Spagna non possiede il numero di centrali turbogas a risposta rapida così come l’Italia), avrebbero dovuto diramare a tutti i gestori degli impianti eolici e fotovoltaici l’ordine di riduzione della potenza generata (“curtailment”) in modo da rendere la curva di produzione congruente con la domanda. A giudicare dai grafici, sembra proprio che questo non sia stato fatto. Il perché forse non lo sapremo mai. Possiamo tuttavia provare a fare delle ipotesi:

  1. Incompetenza della catena di azione REE. Ipotesi teoricamente possibile ma estremamente improbabile.
  2. Errore umano. Ipotesi possibile ma, considerate le tre ore e mezzo intercorse tra il superamento della domanda e lo scatto del blackout, anche questa ipotesi appare poco probabile.
  3. Tentativo di impedire il curtailment per evitare di dover pagare le compensazioni agli operatori degli impianti eolici e fotovoltaici coinvolti. Altra ipotesi possibile ma altrettanto poco probabile: nessuno nella catena di azione di REE si sarebbe assunto un tale rischio per una compensazione economica che sarebbe stata poi comunque ribaltata sui consumatori (come in Italia).
  4. Eccessiva ideologizzazione degli obiettivi “green”. A tal proposito, c’è in effetti da registrare che, appena una settimana prima del blackout, proprio il gestore REE aveva pubblicizzato con notevole enfasi il soddisfacimento del 100 per cento della domanda di energia in un giorno feriale solo con energia rinnovabile. Stavano quindi tentando di doppiare il record? Oppure hanno voluto evitare che tutta quell’energia rinnovabile venisse persa? Non potremo mai saperlo. Fatto sta che, se l’indagine in corso dovesse realmente appurare una simile follia, ne vedremo delle belle ai vertici di REE.

I costi occulti dell’intermittenza delle rinnovabili

Quanto accaduto ieri nella penisola iberica può quindi a buon diritto iscriversi nella problematica ben più generale della natura intermittente della produzione di energia da parte delle fonti rinnovabili, eolico e fotovoltaico soprattutto. Ma l’intermittenza delle fonti rinnovabili non rappresenta solo una minaccia esiziale alla stabilità delle reti elettriche bensì anche un costo occulto che tutti coloro che hanno interessi nel cosiddetto “green” si guardano bene dall’esplicitare.

Infatti, se stessimo alle cifre ufficiali relative ai dati sui costi livellati dell’energia (LCOE) da fonte eolica e fotovoltaica dovremmo immediatamente tappezzare ogni angolo di suolo italiano di turbine eoliche e pannelli fotovoltaici. Le cifre infatti, all’apparenza, sono tutte in favore di queste tecnologie: considerando impianti di grande taglia (> 1 MW), siamo infatti a circa 9 cent/kWh per l’eolico e 7 cent/kWh per il fotovoltaico.

A parte quindi che l’elargizione di incentivi non avrebbe più alcuna ragion d’essere, essendo entrambe al di sotto della famosa soglia della “grid parity” che oggi, per le fonti fossili, si aggira intorno agli 11,5 cent/kWh, tuttavia, un fattore su cui i fanatici del cosiddetto “green” volutamente non si soffermano è appunto il costo dell’intermittenza di generazione.

Questi costi vengono oggi scaricati interamente sulla generazione da fonte fossile sotto forma di peggiori performance di produzione, dal momento che queste centrali termoelettriche sono ormai asservite totalmente a quelle a energia rinnovabile, dovendo generare soltanto il complemento di potenza che manca per soddisfare la domanda in tempo reale.

Una misura di questi costi si può ricavare in maniera piuttosto semplice considerando la perdita di efficienza di una centrale turbogas che, invece di produrre energia al 90 per cento della sua capacità (valore di progetto), deve lavorare mediamente al 20-30 per cento perché costretta a fare da complemento all’intermittenza delle fonti rinnovabili.

Ebbene, l’LCOE con capacità al 90 per cento varrebbe circa 6 cent/kWh mentre quello al 30 percento vale 11,5 cent/kWh. Il motivo è semplice: i costi di esercizio vanno spalmati su un minor numero di kWh prodotti. Poiché la produzione da fonti fossili si aggira intorno ai 123 TWh/anno ed essi sono quasi tutti ottenuti delle centrali turbogas, il costo associato è:

(0,115 – 0,06) ∙ 123.000.000.000 ≈ 6,8 miliardi di euro

Questi 6,8 miliardi di euro, a loro volta, determinano un’analoga crescita del costo della “componente energia” in bolletta che, gravata di IVA, diventano 8,3 miliardi di euro di maggiori costi per i consumatori che vanno a sommarsi ai circa 10 miliardi di euro che paghiamo anch’essi in bolletta a titolo di tariffe incentivanti per quegli stessi impianti eolici e fotovoltaici e agli 11 miliardi di euro di sussidi “ambientalmente favorevoli” per l’installazione di nuovi impianti eolici e fotovoltaici.

Un conto salatissimo di oltre 29 miliardi di euro l’anno che paghiamo per far imbruttire le nostre terre con le turbine eoliche e i pannelli fotovoltaici e per far arricchire sulle nostre spalle i proprietari di tali impianti: il più classico del “cornuto e mazziato”!

Accumulo a carico di chi?

Una delle possibili azioni di mitigazione dell’intermittenza delle fonti rinnovabili sarebbe quella di imporre ai proprietari di impianti eolici e fotovoltaici l’obbligo di accumulo dell’energia prodotta e del suo rilascio costante su una certa fascia temporale che permetta al gestore della rete di poter contare su un certo valore di potenza elettrica rigorosamente costante da quell’impianto per un certo numero di ore e comporre così, impianto per impianto, il puzzle della domanda.

I vantaggi per la rete elettrica e per le nostre tasche sarebbero evidentemente enormi: innanzitutto, in tal modo si potrebbero far lavorare tutti gli impianti, rinnovabili e no, alla loro capacità massima evitando così sprechi o basse efficienze. In secondo luogo, il puzzle energetico si potrebbe comporre in maniera deterministica a priori e non a posteriori come purtroppo avviene oggi, aumentando quindi la sicurezza energetica.

Le modalità di accumulo sono le più disparate: una di queste è l’accumulo gravitazionale, sia sotto forma di sollevamento di acqua da terra ai bacini idroelettrici che di sollevamento di grossi pesi in apposite gru. Tuttavia, l’accumulo gravitazionale ha densità di energia molto basse: per accumulare 1 kWh di energia occorre infatti sollevare 1,2 m3 di acqua per un salto di 300 metri oppure un peso di 9 tonnellate su una gru di 40 metri di altezza. Con questi ordini di grandezza, è facile capire che quella gravitazionale sia la modalità meno efficace di accumulo di energia.

Quando si parla di energia elettrica, l’accumulo più efficiente, pur con tutte le sue perdite nei vari passaggi, è quello in batterie agli ioni di litio che hanno la più alta densità di energia immagazzinabile oggi disponibile sul mercato (≈ 0,25 kWh/kg) e il massimo numero di cicli di carica/scarica prima della loro perdita di efficienza, fino a 5.000 cicli per le batterie litio-ferro-fosfato (LFP) ad alta qualità. Ultimo ma non meno importante, sono dispositivi completamente statici, il che evita tutte le problematiche di guasto legate alla movimentazione di fluidi o solidi.

Un esempio pratico: turbina eolica 2 MW nominali

Vediamo quindi, a titolo di esempio, come cambierebbe il costo livellato dell’energia dell’eolico, nominalmente 9 cent/kWh, nel caso in cui ci fosse un obbligo di installazione di batterie di accumulo. Partiamo dal caso di una turbina eolica di 2 MW nominali avente la seguente curva di potenza:

Curva di potenza

Sottoposta a un regime ventoso annuo come quello in figura:

Velocità vento

Facciamo adesso tre ipotesi, e cioè che la turbina debba erogare potenza costante rispettivamente per periodi di 24, 12 e 6 ore calcolati, ad esempio, sulla base della potenza media estratta dal vento nelle 24, 12, o 6 ore precedenti.

N.B.: nelle prime immagini delle tre coppie che seguono, per esigenze di chiarezza del grafico è riportato a titolo di esempio un periodo di sole quattro settimane, dal 4 giugno al 1° luglio, ma la simulazione si dipana in realtà su un anno intero.

Caso 1: 24 ore

L’ipotesi è erogare potenza costante per 24 ore sulla base della potenza media generata nelle 24 ore precedenti. In tal caso, dalla simulazione si evince che occorrerebbe una batteria di accumulo da 60 MWh che, fatti i dovuti calcoli econometrici, comporterebbe un aggravio di 38 cent/kWh, portando l’LCOE a 47 cent/kWh.

24-1
24-2

Caso 2: 12 ore

Ipotizzando di ridurre la finestra di erogazione costante a 12 ore anziché 24, la taglia della batteria si ridurrebbe a 40 MWh, il che comporterebbe un aggravio di 25 cent/kWh, portando l’LCOE a 34 cent/kWh.

12-1
12-2

Caso 3: 6 ore

Ipotizzando infine di ridurre la finestra di erogazione costante a 6 ore, la taglia della batteria si ridurrebbe ancora di più, essendo necessari solo 25 MWh, il che porterebbe a un aggravio di 15 cent/kWh, portando l’LCOE a 24 cent/kWh.

6-1
6-2

Tiriamo le somme

A seconda quindi se ipoteticamente obbligati a compensare la potenza erogata su 6, 12 o 24 h, i proprietari degli impianti vedrebbero i loro guadagni ridursi rispettivamente di 1, 1,7 o 2,6 milioni di euro l’anno per ogni singola turbina installata. Di contro, i consumatori vedrebbero alleviate le loro bollette per via del fatto che il prezzo della componente energia verrebbe di conseguenza determinato sulla base della fonte più economica che, come abbiamo visto, diverrebbe quella del turbogas.

La follia delle compensazioni

Purtroppo, però, le nostre pie illusioni si scontrano poi puntualmente con i provvedimenti concreti che questo governo ha intrapreso e tuttora sta intraprendendo, che lasciano a dir poco interdetti.

Infatti, lo scorso 27 marzo ARERA ha emesso la deliberazione n. 128/2025/R/EFR nella quale si estende a qualunque fonte rinnovabile (in particolare il fotovoltaico) il concetto di remunerazione da curtailment per la mancata produzione di energia che, fino ad oggi, era limitata al solo eolico.

Pertanto, da oggi ogni impianto di produzione di energia rinnovabile di potenza nominale superiore a 1 MW che sottostà all’obbligo del bilanciamento di rete e che, su valutazione insindacabile di Terna, può subire in corso di esercizio un taglio di potenza sarà comunque remunerato sulla base dell’energia teoricamente producibile ma che non è stata prodotta a causa del taglio imposto. Questa si valuta mediante misure di campo (anemometri, solarimetri, ecc.) che alimentano modelli teorici previsionali e vale per “quanti” della durata di 15 minuti ciascuno.

Inutile dirlo, i costi di questa mancata produzione ricadranno anch’essi sulle nostre tasche in bolletta alla voce “A3” (ex “Asos”). Sicché, pagheremo con il nostro denaro gli imprenditori dell’eolico e del fotovoltaico per non produrre energia elettrica, un vero e proprio capolavoro di economia alla rovescia!

Questo meccanismo perverso, quindi, non solo ci farà pagare per un bene di cui non godremo ma avrà un duplice effetto esiziale:

  1. Proliferazione indiscriminata di impianti fotovoltaici di grande taglia a terra che non solo devasteranno i nostri territori ma potranno tranquillamente sovrapporsi nella loro produzione – o nella loro mancata produzione – senza alcun freno normativo né perdita economica per gli imprenditori.
  2. Disincentivo all’introduzione di sistemi di accumulo, dal momento che i proprietari di tali impianti non dovranno rispondere ad alcun obbligo legislativo in merito e, quindi, si guarderanno bene dall’aggravare il CAPEX del loro investimento con oneri aggiuntivi, come abbiamo visto più su.

Il tutto andrà ovviamente a peggiorare ulteriormente la necessità di flessibilità delle fonti modulabili: in piccola parte idroelettrico ma soprattutto le centrali turbogas che vedranno così crescere ulteriormente il loro LCOE (costo livellato dell’energia) che provocherà come conseguenza la crescita del costo della componente materia prima energia che andrà a sua volta a scaricarsi come sempre in bolletta sulle nostre tasche.

Nemmeno nel nostro peggior incubo distopico con Bonelli, Conte, Fratoianni, Magi e Schlein al potere avremmo mai potuto immaginare un simile scempio! Invece, al governo dovrebbero esserci forze che avrebbero nella loro ragione sociale proprio quella di contrastare queste derive gretine e imporre, ad esempio, l’obbligo di accumulo. Parole al vento finora, a quanto pare.