Economia

Ponte sullo Stretto, una storia infinita e milioni di buoni motivi per farlo

A quasi due secoli dal primo progetto continua a dividere. Smontiamo le 6 obiezioni più comuni: un’opportunità storica per l’Italia e la Sicilia

Ponte sullo Stretto

Sono sicuro che tutti voi conosciate la popolarissima espressione “italiani popolo di santi, poeti e navigatori”. Ebbene, se quell’espressione fosse stata coniata oggi, suonerebbe più o meno così: “italiani popolo di santi, poeti, navigatori e ingegneri”. Ma non ingegneri qualunque, eh? Ingegneri strutturisti, ça va sans dire, e dei più fini per giunta, oltre che di raffinati geologi, vulcanologi e sismologi.

Stiamo parlando ovviamente del dibattito intorno al ponte sullo Stretto di Messina, uno dei progetti più a lungo inseguiti – finora inutilmente – che agita la vita culturale italiana fin da prima dell’Unità d’Italia. L’ironia si riferisce poi alle feroci diatribe che infiammano da decenni le due opposte fazioni “Ponte sì” e “Ponte no” con dovizia di disquisizioni tecniche ed economiche, la gran parte delle quali – neanche a dirlo – è del tutto inesatta, ma l’ingegnere in pectore che alberga nell’animo di ognuno di noi deve pur poter dire la sua, no?

Un po’ di storia

Eh sì, perché l’idea di un ponte che collegasse la Sicilia al “continente” – come i siciliani amano vezzosamente definire l’Italia continentale – risale almeno al 1840, quando il re Ferdinando II di Borbone incaricò un gruppo di architetti e ingegneri di mettere a punto un progetto, poi accantonato per via dei costi proibitivi per le casse del Regno e per gli altri “problemi”, diciamo così, che di lì a poco avrebbero portato al dissolvimento del Regno delle due Sicilie, incorporato nel Regno d’Italia nel 1860.

Le proposte di un ponte che collegasse la Sicilia alla Calabria continuarono anche dopo l’Unità d’Italia. Tra i vari progetti e pareri illustri che animarono il dibattito sul ponte nel XIX secolo ricordiamo brevemente il parere negativo dato dall’ingegner Cottrau, professionista di fama internazionale dell’epoca, il quale, interpellato dall’allora ministro dei lavori pubblici, nel 1866 giudicò difficilmente realizzabile la costruzione di piloni in mare.

Ricordiamo inoltre, nel 1870, l’idea di un tunnel sottomarino proposta dall’ingegner Navone e, infine, il primo progetto di ponte sospeso articolato in cinque campate studiato nel 1883 da un gruppo di ingegneri delle ferrovie, sull’onda dell’entusiasmo generato dalla realizzazione del Ponte di Brooklyn a New York, inaugurato proprio quello stesso anno.

Il terremoto di Messina del 1908

A spegnere gli entusiasmi sul ponte sospeso fu però il catastrofico terremoto di Messina del 1908 che seguì dopo poco più di un secolo l’altrettanto devastante terremoto della Calabria meridionale del 1783 e che fece da spartiacque non solo per i criteri costruttivi in zona sismica (risalgono infatti ad allora l’elaborazione e l’adozione dei primi criteri costruttivi antisismici in Italia in senso moderno), ma anche nel dibattito sul Ponte, dimostrando l’effetto devastante delle forze della natura e ricordando a tutti la necessità di un’attenta valutazione delle condizioni geologiche e sismiche dell’area. Che fu realizzata l’anno successivo, nel 1909, quando fu pubblicato un accurato studio geologico dello Stretto di Messina.

L’impatto psicologico del terremoto fu tale da determinare l’accantonamento del concetto di ponte sospeso e il ritorno in auge dell’ipotesi di tunnel sottomarino, sostenuto a più riprese dall’ingegner Vismara nel 1921 e, durante il Ventennio, dal generale del Genio Navale Calabretta il quale, nel 1934, propose addirittura la posa di un enorme tubo d’acciaio sottomarino per il transito ferroviario e veicolare.

Il secondo Dopoguerra

L’idea dell’opera fu rilanciata nell’immediato secondo Dopoguerra dall’associazione dei costruttori italiani in acciaio (ACAI) che incaricò l’ingegnere statunitense Steinman, padre del famoso “Golden Gate bridge” di San Francisco, di redigere un progetto preliminare. Il progetto di Steinman avrebbe dovuto scavalcare lo Stretto in due piloni e tre campate. La costruzione avrebbe richiesto il lavoro di 12.000 operai e una spesa valutata intorno ai 100 miliardi di lire dell’epoca.

Alcune società di costruzione americane si offrirono addirittura di finanziare interamente l’opera a patto di incassare i relativi pedaggi per i primi venti anni dalla messa in servizio. La cosa, tuttavia, non andò in porto per la forte avversione delle autorità siciliane e dei governi italiani dell’epoca.

L’affossamento

Dopo la proposta dell’ingegner Steinman, l’intero arco della vita repubblicana è stato poi costellato da innumerevoli altri progetti di ponte, sia italiani che stranieri, che si sono succeduti dagli anni ’60 fino al 2011 quando, il 29 luglio, l’allora ministro delle infrastrutture e dei trasporti Altero Matteoli comunicò l’avvenuta approvazione del progetto definitivo da parte del consiglio di amministrazione della società “Stretto di Messina S.p.A.”.

La realizzazione del ponte fu tuttavia ferocemente osteggiata sia in Unione europea – che incredibilmente non incluse il Ponte sullo Stretto tra le opere pubbliche destinate a ricevere finanziamenti Ue nonostante esso fosse parte integrante del cosiddetto “corridoio Scandinavo-Mediterraneo” delle reti transeuropee dei trasporti (sic!) – e sia in Parlamento che il 27 ottobre 2011 votò per la soppressione dei finanziamenti ad esso dedicati per la sua realizzazione.

Guardando indietro a quella fase della vita pubblica italiana con gli occhi di oggi, dobbiamo ammettere che in fondo non c’è poi nulla di cui meravigliarci: ricorderete infatti che era il periodo degli avvertimenti Ue al governo Berlusconi in stile “testa di cavallo mozzata nel letto”, se sapete cosa intendo, e delle manovre di Palazzo orchestrate dal Colle più alto che, utilizzando strumentalmente a mo’ di manganello la crescita dello spread BTP-Bund (determinata peraltro proprio dalle politiche monetarie della Bce), costrinsero l’ultimo presidente del Consiglio espressione della volontà popolare prima di Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi appunto, a dare le dimissioni appena due settimane dopo, il 12 novembre 2011.

Il resto è storia nota: il 30 settembre 2012 l’ineffabile governo Monti recitò il requiem del Ponte sullo Stretto per bocca del suo ministro dell’ambiente Corrado Clini, il quale sostenne che non vi fosse alcuna intenzione da parte del governo di riaprire le procedure per la sua realizzazione e di come, al contrario, il governo stesso fosse fermamente intenzionato a chiudere il prima possibile le procedure aperte dai precedenti governi.

A completamento di questo breve excursus, per dovere di cronaca aggiungiamo infine che timide aperture alla possibile riconsiderazione dell’opera furono annunciate sia durante il governo Renzi che durante il primo governo Conte, senza tuttavia che nessuno dei due desse poi concretamente seguito a tali aperture verbali.

La situazione oggi

Con l’emanazione del decreto-legge n. 35/2023, poi convertito nella legge n. 58/2023, il governo Meloni ha riavviato l’iter finalizzato alla realizzazione urgente dell’opera e di una serie di infrastrutture ad esso correlate. Il costo complessivo stimato da WeBuild, il main contractor, è di circa 11 miliardi di euro, di cui 4,5 miliardi per il ponte in sé, 5,3 miliardi per le opere di collegamento funzionali al ponte e 1,2 miliardi per altre opere di collegamento non direttamente funzionali al ponte, incluse le opere di mitigazione ambientale.

Il progetto definitivo del 2011 aggiornato è stato riapprovato dal nuovo consiglio di amministrazione della società concessionaria Stretto di Messina S.p.A. appena due settimane fa, il 15 febbraio, ed è quindi oggi finalmente di nuovo operativo.

Il progetto definitivo

I dati salienti del progetto definitivo redatto dal consorzio Eurolink – di cui fanno parte COWI A/S (Danimarca) e Buckland & Taylor Ltd. (Canada) per la progettazione strutture, Dissing+Weitling (Danimarca) per progettazione e design e Sund & Bælt A/S (Danimarca), tutte società di ingegneria qualificate nell’ambito dei ponti sospesi – prevede, tra le altre cose:

  • Campata sospesa centrale: 3.300 m;
  • Lunghezza complessiva: 3.666 m (comprese le due campate laterali di 183 m ciascuna);
  • Altezza delle torri sulle due sponde: 399 m;
  • Cavi di sospensione: 4 del diametro di 1,26 m ciascuno (formato da 44.323 fili di acciaio);
  • Larghezza dell’impalcato: 60,4 m (3 corsie stradali per senso di marcia, 2 corsie di servizio e 2 binari ferroviari);
  • Franco navigabile: 65 m per una larghezza di 600 m, in presenza di gravose condizioni di traffico stradale e ferroviario;
  • Aperto al traffico 365 giorni l’anno, 24 ore al giorno;
  • Vita utile: 200 anni.

Si tratta di un’opera mastodontica che tiene ovviamente conto di ogni problematica sismica e geologica dell’area, progettata da leader mondiali di progettazione di ponti sospesi e che verrà realizzata dalla più grande azienda nazionale di costruzioni, la Salini Impregilo, per chi non la conoscesse col suo nuovo nome di Webuild. È un’opera quindi che nasce sotto i migliori auspici e che senza dubbio rappresenterà per l’Italia un ulteriore passo avanti nella modernizzazione del Paese, checché ne dicano i suoi detrattori.

Sei obiezioni

Fin qui i fatti e come si sono dipanati nel corso del tempo. Ma, come abbiamo scritto nell’incipit, il Ponte sullo Stretto rappresenta da sempre un’occasione di feroce divisione tra gli italiani; potevamo quindi esimerci dal fare una rapida carrellata sulle principali obiezioni alla sua realizzazione? Ovviamente no! Ecco, quindi, le sei motivazioni a sfavore della sua realizzazione con le altrettante nostre osservazioni.

(1) Il ponte sarà occasione di arricchimento spaventoso per la mafia – L’argomento principe addotto a confutazione della realizzazione del Ponte sullo Stretto, nonché quello che ricorre anche più di frequente, è che la costruzione del ponte stimolerebbe gli appetiti della mafia che si accaparrerebbe tutti i lavori arricchendosi a dismisura.

Pur denunciando un rischio concreto, questo ragionamento sottende tuttavia una sostanziale quanto aprioristicamente ingiustificata sfiducia nella possibilità di correttezza e trasparenza dell’amministrazione del denaro pubblico in Sicilia, la quale – duole dirlo – sottende a sua volta uno spiccato senso di auto-razzismo. La fallacia logica – di chiaro stampo grillino, oseremmo dire – è poi sotto gli occhi di tutti: non costruire un’infrastruttura così importante per il Paese per non spendere soldi e, quindi, per non incorrere così nel rischio di arricchire con quei soldi la mafia è il modo più primordiale, diciamo così, per evitare questo rischio.

(2) La Sicilia ha bisogno di migliorare le sue infrastrutture prima di pensare al ponte – Un altro leitmotiv dei detrattori del ponte è che la Sicilia avrebbe bisogno di migliorare le sue infrastrutture prima di pensare a spendere dei soldi per il ponte.

A parte il fatto che il ponte sarebbe un’infrastruttura nazionale e non appannaggio dei soli siciliani, in ogni caso, pur concordando sul fatto che le infrastrutture siciliane versino effettivamente in condizioni di intollerabile abbandono – come del resto quelle di tutto il Mezzogiorno – non si può non osservare che anche questo è un ragionamento fallace per due motivi: il primo è che le due cose – miglioramento delle infrastrutture e costruzione del ponte – non sono necessariamente mutuamente esclusive.

E il secondo è che, al contrario, proprio la presenza del ponte sarà di stimolo per il miglioramento delle altre infrastrutture, per non parlare del fatto che comunque già l’attuale progetto prevede che ben 6,5 degli 11 miliardi di euro preventivati, cioè quasi il 60 percento, verranno spesi per le opere infrastrutturali di contorno.

(3) Le condizioni sismiche e geologiche – Ma l’argomento intorno al quale l’ingegnere che è dentro ciascun detrattore del ponte viene fuori con tutta la sua veemenza è quello relativo alla supposta impossibilità di realizzazione e utilizzo del ponte in condizioni di sicurezza a causa delle asserite condizioni sismiche e geologiche dell’area che, secondo quegli ingegneri in pectore, sarebbero così proibitive da rendere il progetto irrealizzabile.

Qui siamo davvero all’apoteosi dell’imbecillità e dell’arroganza che provengono dall’ignoranza, ignoranza diffusa peraltro a piene mani persino da illustri “divulgatori scientifici” de noantri di cui non facciamo nomi per carità di patria.

Come se schiere di ingegneri – quelli veri – geologi e sismologi dei team di progettazione non avessero già valutato ogni aspetto di quelle problematiche e non avessero già trovato le soluzioni più idonee attraverso migliaia di simulazioni multifattoriali nelle quali l’aerodinamica, i moti ondosi, le maree, il traffico sul ponte e, soprattutto, i terremoti sono stati modellati con precisioni millimetriche sulla base dei dati sperimentali dell’area interessata! Eh ma, secondo quegli ingegneri in pectore, è tutto inutile e, si sa, a costoro non la si fa mica!

Ma del resto, se ancora nel 2024 c’è chi è fermamente convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna e che le missioni Apollo siano state il frutto di una truffa colossale messa a segno dalla NASA ai danni dell’intera umanità, non c’è poi da meravigliarsi così tanto se c’è anche chi crede davvero – o è indotto a credere dai cattivi maestri televisivi – che il ponte crollerà alla prima scossa di terremoto.

(4) Impatto devastante sugli ecosistemi dell’area – L’affermazione tipica degli ecologisti tra i detrattori del ponte è che la sua presenza avrebbe un impatto devastante sulla flora e la fauna locali, nonché sulle specie migratorie.

Per onestà intellettuale, occorre dire che, tra i tanti argomenti portati a confutazione del ponte, l’impatto ambientale è il meno pretestuoso di tutti, essendo in effetti significativo in un’opera così mastodontica.

Tuttavia, il progetto prevede già in sé delle opere di mitigazione ambientale e, in ogni caso, questo è un problema comune a tutte le opere infrastrutturali di queste dimensioni che vengono poi realizzate cercando di tener conto di tutte le accortezze necessarie per perturbare il meno possibile l’ecosistema su cui sorgono, come peraltro, ad esempio, anche gli sconfinati parchi eolici offshore che sono in programma di costruzione proprio in quelle stesse aree.

(5) Colpo mortale alla navigazione nello Stretto – Un’altra asserzione che talvolta capita di leggere da parte dei detrattori del ponte è quella secondo la quale la sua presenza ucciderebbe l’economia marittima dello Stretto e che, ancora una volta, ad avvantaggiarsene sarebbe la mafia.

Tuttavia, anche la logica di questa affermazione è fallace per due motivi: in primis, l’attuale monopolio delle compagnie di traghetti è stato determinato nel tempo – direttamente o indirettamente, volontariamente o involontariamente – proprio da chi in questi decenni si è speso con tutte le sue forze per osteggiare il ponte, il che lascerebbe semmai supporre che i maggiori interessi della mafia siano proprio in questo monopolio.

In secondo luogo, seppur ridimensionata, la navigazione dei traghetti resterebbe come attrazione per i turisti che preferiranno l’emozione della traversata via nave al passaggio sul ponte, come capita peraltro anche nella traversata della Manica in cui taluni preferiscono ancora traghettare da Calais a Dover anziché utilizzare l’Eurotunnel.

(6) Il ponte non è necessario: basta qualche traghetto in più – L’ultima ma non meno demenziale ed arrogante motivazione contro la realizzazione del ponte è quella secondo cui per taluni – si direbbe i classici radical chic de noantri – il ponte non sarebbe affatto necessario e che per migliorare il traffico da e per la Sicilia basterebbe “qualche traghetto in più” (sic!).

Sono per lo più i non siciliani a spingersi in tali ragionamenti raffinatissimi, a riprova del fatto che costoro sono sempre bravi a fare i fenomeni con i disagi degli altri. Qui c’è poco da controbattere: immaginate solo se la stessa motivazione del cavolo fosse stata addotta in passato contro la realizzazione di un qualunque altro ponte nel mondo dalle caratteristiche simili a quelle che avrà il ponte sullo Stretto!

Qualche conto della serva

Messe da parte le polemiche sulla costruzione del ponte, proviamo adesso a farci due conti della serva sugli aspetti economici salienti, così, alla buona, senza alcuna pretesa di precisione ma al solo fine di valutare gli ordini di grandezza in gioco. Vediamo, cioè, se, in prima battuta, il gioco vale la candela, come si suol dire.

Abbiamo detto che la stima corrente per la realizzazione del ponte sullo Stretto è di circa 11 miliardi di euro. Se anche ammettessimo un incremento dei costi in corso d’opera del 30 per cento, arriveremmo a un costo effettivo attualizzato di 14,3 miliardi di euro. Sappiamo inoltre che il traffico medio annuale di veicoli e persone da e per la Sicilia è composto da: 11 milioni di passeggeri; 1,8 milioni di autoveicoli; 800 mila autoarticolati.

Alle tariffe odierne di traghettamento (tariffe Siremar in vigore), genera un fatturato medio annuo per le compagnie di navigazione pari a:

11.000.000 ∙ 5,00 + 1.800.000 ∙ 43,10 + 800.000 ∙ 290,00 = 364,58 milioni di euro

Nell’ipotesi di fissare i pedaggi di attraversamento del ponte agli stessi valori dei costi per il traghettamento, ciò darebbe in prima battuta un fatturato atteso sui pedaggi di 364,58 milioni di euro. Ma un ponte unisce i popoli e dà impulso a turismo e commercio; sicché, è ragionevole supporre che il volume di traffico aumenti almeno del 20 per cento rispetto ad oggi, il che è un’ipotesi del tutto conservativa.

Basti infatti pensare ad esempio a tutte le soluzioni di traghettamento da Salerno e Napoli verso Palermo e Messina che perderebbero parte della loro attrattiva, potendosi ridurre il tempo di attraversamento dello Stretto a pochissimi minuti, così come i voli Napoli-Catania che, considerati i tempi morti legati a un viaggio aereo, perderebbero anch’essi parte della loro attrattiva odierna. L’aumentato volume di traffico porterebbe quindi un fatturato annuo atteso di circa 437,5 milioni di euro.

Inoltre, nell’ipotesi che il Pil siciliano crescesse anche solo del 5 per cento grazie al ponte, passasse cioè dai circa 88 miliardi di euro odierni a 93 miliardi di euro, ci sarebbero maggiori introiti annui per lo Stato sotto forma di maggiori tasse per almeno 500 milioni di euro, considerando forfettariamente che il 10 per cento della crescita del Pil finisca nelle casse dello Stato sotto forma di nuove tasse. Supponiamo infine che i costi di manutenzione annuali ammontino al 2 per cento del valore dell’opera, stima molto generosa, cioè circa 286 milioni di euro.

Tirando le somme, tra pedaggi, maggiori introiti di tasse e costi di manutenzione, il ponte genererebbe circa 651,5 milioni di euro l’anno, il che consentirebbe l’ammortamento della spesa, in assenza di qualunque finanziamento, in poco meno di 22 anni. Utilizzando infine i fondi strutturali Ue per mitigare l’impatto economico sull’utenza, il beneficio in termini di minori tariffe rispetto a quelle odierne in traghetto sarebbe più che tangibile.

Un’opportunità storica per la Sicilia

Oltre ai benefici già visti, il Ponte sullo Stretto sarà l’infrastruttura che consentirà alla Sicilia di diventare finalmente il vero hub logistico ed energetico del Mediterraneo. Provate infatti solo a immaginare cosa significherebbe in termini di risparmio per le navi mercantili in arrivo dal Canale di Suez poter scaricare le loro merci al porto di Catania anziché doversi sobbarcare l’onere aggiuntivo di dover arrivare al porto di Amburgo, l’attuale hub europeo, con quanto ne consegue in termini di necessità di attraversamento dello stretto di Gibilterra e di navigazione lungo il nord di Portogallo, Spagna, Francia e Germania.

Senza retorica, si tratterebbe di un’opportunità storica per la Sicilia che aprirebbe un mare di opportunità di sviluppo, è proprio il caso di dire. Ecco, questo è proprio ciò che una politica non miope e di lungo respiro dovrebbe sempre puntare a fare.

Conclusioni

In definitiva, il ponte sullo Stretto sembra proprio essere, a una prima analisi spannometrica, un affare “win-win” – come dicono quelli “studiati” – che solo gli scriteriati governi di sinistra hanno avuto l’inettitudine e la malevolenza di procrastinare sine die – altro che “costruite ponti, non muri!”: alla prova dei fatti, tra tutte le loro insulse parole d’ordine, questo è il loro slogan più vuoto – quando non addirittura far finire su un vero e proprio binario morto, come accaduto con l’ineffabile governo Monti.

Riuscirà quindi il governo Meloni a realizzare finalmente il Ponte sullo Stretto a quasi due secoli dal primo progetto?

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