Esteri

Insediamenti ebraici illegali? Perché la questione è più complessa

Quello degli “insediamenti illegali” e delle “colonie” in Cisgiordania è un mito che non regge, che ha come obiettivo la delegittimazione di Israele stesso

Israele Palestina map © Lightguard, sitox e Derek Brumby tramite Canva.com

La tesi secondo cui gli insediamenti ebraici in Cisgiordania, il cui nome storico è “Giudea e Samaria“, siano illegali è ormai così comunemente accettata da sembrare quasi indiscutibile. La complessità giuridica della questione, però, non si presta a un giudizio così perentorio.

Se si analizzano le critiche mosse alle cosiddette “colonie”, che tali non sono, ci si rende conto che fanno totalmente propria la narrazione palestinese, secondo cui la Cisgiordania sarebbe terra “araba”. Tale narrazione, se seguita fino alla sua logica conclusione, preclude la legittimità stessa dello Stato d’Israele.

Illusioni post-1967

Quando lo Stato ebraico entrò in guerra, nel giugno del 1967, il suo obiettivo era chiaro: eliminare la minaccia militare araba alla sua esistenza. Dopo la vittoria, Israele si trovò di fronte ad una nuova sfida: cosa fare con i frutti territoriali di quel trionfo? Molti israeliani si convinsero che la schiacciante vittoria avrebbe scioccato il mondo arabo, inducendolo a fare i conti con la loro presenza e ad accettare una pace duratura, ma tale convinzione si sarebbe presto rivelata una pia illusione.

Alla fine dell’agosto del 1967, infatti, i capi di otto paesi, tra cui Egitto, Siria e Giordania, si incontrarono a Khartoum, in Sudan, e concordarono i tre principi che avrebbero orientato la posizione del mondo arabo del dopoguerra: niente pace con Israele, niente riconoscimento di Israele e niente negoziati con Israele.

Gerusalemme e Cisgiordania

L’attaccamento degli ebrei alla città di Gerusalemme, appena riunificata, portò alla sua rapida annessione e nuovi quartieri ebraici furono impiantati nella speranza che rendessero il possesso della città santa irrevocabile. Mancò una devozione simile verso la Cisgiordania, luogo in cui pure è iniziata la storia ebraica, che ebbe come esito un processo di “israelizzazione” discontinuo e incerto. Nel corso dei decenni successivi, si formarono numerosi insediamenti ebraici in quell’area, sulla base di ragioni sia storico-religiose che strategiche.

La questione relativa allo status giuridico della Cisgiordania, così come di Gerusalemme, non è semplice da risolvere. Per capirla bisogna ripercorrere la storia della regione nel XX secolo.

Anche se viene comunemente chiamata terra “palestinese”, in nessun momento della storia Gerusalemme e la Cisgiordania sono state sotto la sovranità degli arabi di Palestina. Per diverse centinaia di anni, fino al termine della Prima Guerra Mondiale, il territorio in questione altro non era che una provincia dell’Impero Ottomano.

Dal Mandato britannico all’Onu

Dopo che le truppe della Gran Bretagna cacciarono i turchi dalla regione, la Società delle Nazioni sovrintese alla gestione britannica con il Mandato, che conferiva agli inglesi un controllo condizionato sulla Palestina, dando a Londra l’incarico di creare un “focolare nazionale ebraico” nel rispetto della Dichiarazione Balfour, salvaguardando i diritti della popolazione araba.

Il segretario coloniale britannico Winston Churchill, nel 1922, divise il Mandato per affidare l’amministrazione della Transgiordania all’alleato hashemita Abdallah, che vi creò il Regno di Giordania sotto tutela britannica. Nel ’46 la Transgiordania diventerà il Regno di Giordania.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel novembre 1947, il successore della Società delle Nazioni, ossia l’Organizzazione delle Nazioni Unite, votò per la spartizione della restante parte del territorio tra arabi ed ebrei. Accettata dagli ebrei ma non dalla popolazione araba che, guidata da Amin al-Husseini, Muftì di Gerusalemme noto per il supporto fornito ai nazisti, con l’appoggio degli Stati arabi, scatenò la Prima guerra arabo-israeliana.

Status della Cisgiordania

Anche se Israele sopravvisse all’assalto, i combattimenti lasciarono ai giordani il controllo di quella che divenne nota come West Bank, ovvero la Cisgiordania, e di circa metà di Gerusalemme, compresa la Città Vecchia, il cui quartiere ebraico venne raso al suolo, così come le comunità ebraiche della Cisgiordania precedenti l’invasione araba. Tutti i Paesi arabi, in risposta alla vittoria israeliana, esiliarono la loro popolazione ebraica. Solo Gran Bretagna e Pakistan riconobbero le pretese di sovranità della Giordania sui territori conquistati.

Il contesto in cui si trovò a operare Israele in Cisgiordania dopo il 1967 fu esacerbato dal successivo e ostinato rifiuto della Giordania di impegnarsi in colloqui sul futuro di quei territori. Re Hussein, inizialmente dissuaso dall’affrontare la questione a causa dei tre “no” di Khartoum, fu presto scavalcato dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che scatenò una sanguinosa guerra civile contro il suo regime e una guerra terroristica contro Israele.

Israele, nel 1967, ha sottratto alla Giordania dei territori che gli spettavano dal mai abrogato Mandato Britannico, illegalmente occupati dal Regno di Giordania nel 1948. Tesi sostenuta, tra gli altri, da Eugene Rostow, ex preside della Yale Law School e sottosegretario di Stato per gli affari politici durante la Guerra dei Sei Giorni. Secondo Rostow: “Israele ha il diritto di amministrare i territori, finché non sarà raggiunta una pace giusta e duratura in Medio Oriente”, di fatto rifiutata coi “no” di Khartoum e col terrorismo dell’OLP prima e di Hamas, poi.

Gli argomenti di diritto internazionale contro gli accordi si basano principalmente su due fonti. La prima è la Convenzione dell’Aja del 1907, le cui disposizioni sono progettate per proteggere gli interessi di uno Stato sovrano temporaneamente estromesso da un territorio nel contesto di un’occupazione a breve termine. La seconda è la Quarta Convenzione di Ginevra del 1949, il primo accordo internazionale concepito specificamente per proteggere i civili in tempo di guerra.

Necessità militari

Israele ha istituito e mantiene un’amministrazione militare che supervisiona la Cisgiordania in conformità con la Convenzione dell’Aja. Per esempio, nel rispetto dell’articolo 43, che invita l’occupante a “rispettare, a meno che non siano assolutamente impediti, le leggi in vigore nel Paese”. Israele ha continuato a rispettare le norme giordane imposte in Cisgiordania, nonostante si trattasse di un’occupazione illegale. La posizione di Israele è stata giudicata come contraddittoria, ma il mantenimento generale della legge giordana è giustificato sulla base di una ricerca della stabilità giuridica e politica del territorio conteso.

L’articolo 46 della Convenzione dell’Aja vieta alla potenza occupante di confiscare la proprietà privata. È su questo punto che si basano le proteste più forti contro gli insediamenti. Israele requisì la terra a proprietari arabi privati ​​per stabilire alcuni primi insediamenti, ma la requisizione è diversa dalla confisca (viene pagato un compenso per l’uso della terra) e la creazione di questi insediamenti si fondava su necessità militari.

In un caso del 1979, Ayyub contro Ministro della Difesa, la Corte Suprema israeliana esaminò se le autorità militari potessero requisire la proprietà privata per un insediamento civile, Beth El, dietro prova della necessità militare. La risposta fu affermativa. Ma in un’altra decisione fondamentale dello stesso anno, Dwaikat contro Israele, conosciuta come il caso Elon Moreh, la corte esplorò più a fondo la definizione di “necessità militare” e respinse le prove presentate dai cittadini israeliani. La decisione della Corte ha, di fatto, precluso ulteriori requisizioni di terre palestinesi detenute privatamente per impiantare insediamenti civili.

Terreni pubblici

Dopo il caso Elon Moreh, tutti gli insediamenti israeliani legalmente autorizzati dall’amministrazione militare israeliana sono stati costruiti su terreni che Israele definisce come di proprietà statale o “pubblica” o, in una piccola minoranza di casi, su terreni acquistati da ebrei dagli arabi dopo il 1967. Il termine “terreno pubblico” si riferisce a terreni rurali incolti non registrati a nome di nessuno o terreni posseduti da proprietari assenti da lungo tempo, come previsto anche dalla legge giordana e da quella ottomana.

La maggioranza della terra che si trova nella Valle del Giordano, con l’eccezione della città di Gerico, era a malapena popolata da arabi-palestinesi prima del 1967.

Spostamenti volontari

Gli oppositori dell’accordo citano spesso la IV Convenzione di Ginevra per le loro argomentazioni. Accusano gli insediamenti di violare l’articolo 49(6), che recita: “La Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato”. Tuttavia, l’articolo 49, primo comma, complica la situazione. Si legge infatti: “I trasferimenti forzati, in massa o individuali, come pure le deportazioni di persone protette, fuori del territorio occupato e a destinazione del territorio della Potenza occupante o di quello di qualsiasi altro Stato, occupato o no, sono vietati, qualunque ne sia il motivo”. Senza dubbio, qualsiasi trasferimento forzato di popolazioni è illegale, ma che dire degli spostamenti volontari con antecedente consenso o successiva acquiescenza da parte dell’occupante?

L’articolo 49 vieterebbe a Israele di trasferire forzosamente i suoi cittadini ebrei in Cisgiordania o di espellere gli arabi da quest’ultima, ma questi casi non si sono verificati. Molti palestinesi, dopo la vittoria del ‘67 si diressero volontariamente verso la Giordania, che li respinse, e nessun ebreo è stato costretto a insediarsi nella Giudea o nella Samaria.

Comunità pre-esistenti

Concludere che gli insediamenti israeliani violino l’articolo 49(6) trascura anche che diverse comunità ebraiche esistevano prima della creazione dello Stato d’Israele nelle aree occupate dagli odierni insediamenti israeliani, ad esempio a Hebron e nel blocco di Gush Etzion fuori Gerusalemme.

Queste comunità ebraiche furono distrutte dagli eserciti arabi e, come nel caso di Hebron, la popolazione della comunità fu massacrata. È sensato interpretare l’articolo 49 in modo da impedire la ricostituzione di comunità ebraiche distrutte dalla guerra? La risposta ragionevole è, ovviamente, no.

La questione, come si evince da quanto detto finora, è ben diversa dal modo in cui viene comunemente presentata. Quello degli “insediamenti illegali” e delle “colonie” è un mito che non regge a una disamina approfondita. Una leggenda nera i cui ragionamenti capziosi hanno come obiettivo non tanto la delegittimazione degli insediamenti, ma quella di Israele stesso.

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