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Dal presidenzialismo di Mattarella al premierato a misura di Meloni

Il ruolo di presidente ha esondato dal testo costituzionale. E oggi con Mattarella a soffrirne di più è il Pd di Schlein: imbrigliata la “svolta” movimentista

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Se al solito marziano di passaggio gli si chiedesse quale sia il regime in vigore nel nostro Paese, risponderebbe essere il presidenzialismo. Richiesto del perché, aggiungerebbe essere l’abitante del Quirinale il personaggio di gran lunga più presente nei mass media, con ampia citazione di passi dei suoi discorsi occasionati dall’essere ogni giornata che Dio manda in terra dedicata a qualcosa.

A tenergli dietro a una qualche distanza il buon Papa Francesco, sì da farne una coppia quasi fissa in testa ad ogni telegiornale e in prima pagina in ogni giornale, a prescindere dal colore politico, naturalmente entrambi letteralmente inseguiti nel loro continuo girovagare nei quattro angoli del mondo, primi piani a tutto spiano, abbracci cogli ospitanti di turno.

Presidenzialismo di fatto

L’apparenza non inganna, il ruolo di presidente ha nel corso degli anni esondato dal testo costituzionale, con un ruolo politico sempre più determinante sull’assetto della politica estera ed interna, che precede, accompagna e valuta ogni scelta significativa del governo, ora come non mai di totale identificazione nella Nato e nella Ue, sostenuta ed espressa con una rigidità assoluta, verrebbe da dire da fondamentalista, che rigetta come improponibile ogni critica o riserva.

Mattarella docet, dopo aver promosso il suo reincarico, totalizzando un mandato di 14 anni, cioè di quasi tre legislature complete, sì da apparire disponibile contro-voglia, quasi costretto dal penoso corteo di rappresentanti politici a passare sopra i suoi dubbi pubblicamente espressi della scarsa correttezza costituzionale del reincarico.

Schlein imbrigliata

Non ne soffre il governo, dato che quella furbetta del nostro attuale presidente si è messa letteralmente a ruota di Mattarella, lucrandone l’indubbia simpatia, ma soprattutto la copertura agli occhi degli Stati Uniti e dei burocrati di Bruxelles.

Ne soffre enormemente il Pd, dove la spinta movimentista che vorrebbe imprimergli la nuova segretaria risulta pesantemente imbrigliata dall’essere Mattarella un uomo del Pd, eletto grazie a Renzi, che non è politicamente possibile non solo criticare ma neanche prenderne le distanze, sì da dover far propria la scelta di inviare le armi, limitandosi a chiederne l’elenco, ma soprattutto dover considerare come unica soluzione della guerra in Ucraina quella di una pace giusta, cioè comportante la restituzione di tutta l’area attualmente occupata dai russi, compresa la Crimea, condizione che di per sé sbarra la via ad una trattativa di pace.

Così ugualmente l’accettazione senza se e senza ma, anzi facendosene solerte sostenitrice di ogni ramanzina rivolta all’Italia da qualche bellimbusto della Ue serve alla polemica spicciola, quella che si consuma in un paio di giorni, fra proteste ufficiali di Roma e smentite postume di Bruxelles, ma resta poi la estrema difficoltà di prendere le distanze dalla politica comunitaria, quando essa collide con una necessità od opportunità nazionale.

Si capisce come il Pd agiti il rischio del presidenzialismo, tanto più se coniugato all’autonomia differenziata, che rinvia ad una tenuta delle coalizioni elettorali, che non è stata certo la caratteristica dell’Ulivo, capace di vincere ma non di durare; e tantomeno lo è per questo Pd, con le ultime elezioni amministrative hanno confermato non essere salvifico neppure il doppio turno.

Il premierato

Ma non il presidenzialismo quello cui punta la Meloni, ma il premierato, cioè un rafforzamento del presidente del Consiglio, trasformato in premier, benedetto dal voto popolare, nonché fornito di più ampi poteri, dal potere di nomina e revoca dei ministri al potere di decidere le elezioni politiche anticipate.

Naturalmente non senza più di una ragione, a cominciare dal non esporsi alla critica di star pensando a sloggiare anticipatamente Mattarella, ma quella prevalente riguarda la stessa Meloni, essendo il premierato costruibile a sua misura, sì da farne la candidata per eccellenza.

E a contare non ultima la minor riscrittura della nostra attuale Costituzione, che, se si trattasse di presidenzialismo richiederebbe una revisione profonda, mentre col premierato la revisione è limitata, essendo la ricaduta più significativa della riforma la scelta popolare del premier vis-a-vis di quella parlamentare del presidente della Repubblica, già di per sé sufficiente a mutare profondamente la reciproca legittimazione.

Penso che questa relativa “leggerezza” della riforma possa far convergere sulla maggioranza anche i voti di Azione e di Italia Viva, sì da superare la fatidica asticella della maggioranza di due terzi. Non per nulla Renzi parla di una riproduzione del modello di elezione dei sindaci, per cui il premier diventerebbe il Sindaco d’Italia.

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