Politica

Perché Milei non è un Grillo che ce l’ha fatta

Né un comico né uno steward. Sul presidente eletto argentino è già partita l’operazione di discredito politicamente orientato della sinistra politica e mediatica

Javier Milei Argentina

A sinistra diranno che è un pazzo con la motosega, una macchietta, un esaltato e via andare con la solita solfa del discredito politicamente orientato. Diranno che adesso, il 10 dicembre prossimo, che guarda caso sarà il quarantesimo anniversario del ritorno della democrazia in Argentina dopo la dittatura militare, sarà la restaurazione, la nuova notte buia della malvagia destra ultraliberista di Javier Milei, il nuovo presidente eletto dopo il fallimento del peronismo.

E non è un’opinione: l’inflazione al 146 per cento e il 40 per cento degli argentini in povertà non si può che, oggettivamente, chiamare fallimento, e una vittoria al 56 per cento non si può che chiamare vittoria nonché, a gran voce, una richiesta di aiuto del popolo argentino da anni stremato.

Un Grillo che ce l’ha fatta?

Qualcun altro, a casa nostra, dirà che è un Grillo – o un grillino – che ce l’ha fatta, un “anti-casta” contro il privilegio delle oligarchie che per decenni hanno gestito male la cosa pubblica. Lo derideranno chiamandolo “el Peluca”, che a Roma si direbbe “er Parrucca”, un mezzo guitto che si presenta con una cofana di capelli in testa e un’orribile giubbettina di pelle vintage subito archiviata per presentarsi alle telecamere in giacca e cravatta e passare all’incasso.

Ma dobbiamo osservare che non è esattamente così, non è affatto un Grillo o un grillino che ce l’ha fatta. Innanzitutto, a differenza della banda di brave persone e politologi senza titoli, per la maggioranza almeno, sfornata da Beppe Grillo a suo tempo, è stato a lungo docente universitario di macroeconomia, quindi non parliamo di uno steward ministro per caso o per fortuna o per assenza di più spendibili, ma di qualcuno ben carrozzato che, dopo anni di partecipazione a dibattiti televisivi, nel 2021 era già stato eletto per acclamazione popolare e non partecipando ad una riffa online.

Non parliamo neanche di un comico – in quello professionista – che “si diplomò in ragioneria all’istituto privato Ugolino Vivaldi e intraprese gli studi universitari alla Facoltà di economia e commercio dell’Università degli Studi di Genova, senza tuttavia mai laurearsi”, come si legge su Wikipedia (a cui anche solo per questa notizia sarebbe cosa buona e giusta fare una donazione).

Parliamo di uno che invece di fondare il consenso sulle scie chimiche nega il cambiamento climatico – come tutti quelli che non hanno studiato all’università della vita ma che sanno leggere e distinguere le fonti accademiche qualificate – sostiene politiche per la famiglia – con una chiara posizione anti abortista – di cui da radicali in pectore siamo curiosi di vedere l’applicazione e che auspichiamo non oscurantista – e vuole liberalizzare il possesso di armi.

Che sia dalla parte di Donald Trump è chiaro, che abbia simpatie, mai negate, per la destra, tanto da aver partecipato a manifestazioni del partito spagnolo Vox, anche. Non ha nemmeno paura di dare del comunista e del corrotto al presidente brasiliano Lula e mostrare invece simpatia per l’ex presidente Jair Bolsonaro.

Insomma, a differenza del grillismo nostrano, qui si intravede e si prevede una posizione chiara e netta e non uno stare una volta di qua e una volta di là a seconda di come fa comodo al mantenimento dell’incarico.

Sì, anche lui utilizza metodi comunicativi sopra le righe, pubblica meme sarcastici e video in stile rockstar-camionista sui suoi social, dove ha milioni di follower, con la differenza che due terzi degli argentini lo sostengono per abolire il kirchnerismo, la cui esistenza la quasi totalità dell’elettore medio grillino quasi certamente, salvo rare eccezioni, avrebbe del tutto e felicemente ignorato.

Comincia il cambiamento?

Comincia davvero il cambiamento? Il vento di destra spira davvero in tutto il globo? Vogliamo essere ottimisti, ma non abbassiamo la guardia. L’Argentina per i prossimi quattro anni avrà un impulso liberale, che significa mercato libero, manovre annunciate di salvataggio del potere di acquisto con la dollarizzazione del peso ed una chiara virata verso politiche non più oligarchiche, non più populiste ma pratiche, a cominciare da un’apertura verso la possibilità dei cittadini di armarsi ed aumentare così anche il livello di sicurezza nelle città allo sbando.

Il tutto entro perimetri di stretta legalità, non ci sono più spazi per le mezze misure dice Milei, ma “tutto dentro la legge, fuori dalla legge niente”.

Non privatizzerà la salute, non privatizzerà la scuola, non privatizzerà il calcio, irrinunciabile per gli argentini quasi quanto per noi italiani. D’altronde, siamo quasi parenti, con i nostri cugini argentini, anzi, togliamo il quasi: anche noi italiani mettiamo il calcio su tutto come il formaggio e alle urne votando il primo vero governo di destra della nostra storia repubblicana abbiamo scelto che la speranza vinca sulla paura, per utilizzare le parole scelte da Milei nel suo spot elettorale.

Il movimento di Grillo aveva giurato la fine della casta e con una certa dose di anarco-giacobinismo aveva conquistato il popolo, ne abbiamo visto e vissuto ascesa e crollo, al neo presidente argentino e al suo anarco-capitalismo non possiamo che augurare di non fare la stessa fine.

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