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Beppe Sala che legge se stesso, emblema di una sinistra autoreferenziale: odia, ma a fin di bene

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Il loro vero nemico è la realtà. Non ascoltano, si leggono tra loro, producono intolleranza, cavalcano la “identity politics”, etichettano chiunque si opponga ai loro piani come fascista. E odiano, ma lo fanno a fin di bene…

L’immagine postata da Beppe Sala, dove Beppe Sala posa durante la lettura di un libro di Beppe Sala, è l’emblema decadente dell’autoreferenzialità della sinistra in Italia.

E pone tutti noi di fronte alla domanda delle domande: chi è oggi il principale nemico della sinistra? È forse Salvini? No. È ancora Berlusconi? Nemmeno. È la realtà. La realtà che rifiutano, negano, piegano attraverso il politically correct ad un’idea di società costruita a tavolino, completamente disfunzionale e contraria all’esperienza, alla storia, al buonsenso e alla tradizione.

Chiusi nelle loro gabbie mentali, nei circoli intellettuali, quando va bene si leggono fra loro, altrimenti finiscono come il sindaco Sala per leggere direttamente se stessi. Non ascoltano, producono intolleranza, agitano una società frammentata, frustrata e divisa dal genere sessuale, dal colore della pelle e dal conto in banca. Cavalcano l’identity politics.

Etichettano come fascista chiunque ponga un approccio differente rispetto a quello della dissoluzione del legame fra diritti e doveri (un giorno non lontano furono fascisti persino i loro alleati di governo). Hanno una soluzione semplice per qualsiasi problema complesso, che solitamente spazia dal richiamo al vincolo esterno, alla politica dei porti spalancati per risolvere la questione storica dei flussi migratori.

Odiano, come dimostra l’endorsement ai crimini che lacerano in questi giorni gli Stati Uniti, ma lo fanno a fin di bene: l’obiettivo è la giustizia sociale, che otterranno a qualsiasi costo, perché credono di avere ben chiaro cosa questa significhi e come raggiungerla.

Giuseppe Sala, sindaco di Milano, “la vede così”, pronto ad avvelenare il dibattito pubblico con parole perigliose che sdoganano l’esercizio della violenza come strumento per far sentire la propria voce, a danno di tutti coloro i quali, sempre negli Stati Uniti, stanno vedendo distrutto il lavoro di una vita dai saccheggiatori, ed evidenziando fra le altre cose una chiara mancanza di conoscenza dell’assetto istituzionale americano.

Il suo social media manager lo immortala mentre legge brillanti pagine scritte da se stesso, figurarsi una vetusta Costituzione forgiata da giganti del pensiero come Thomas Jefferson sulle cui spalle noi nani ci appoggiamo; eppure lui twitta, noncurante di uno scivolone come quello sulla presunta centralità del presidente Trump nella gestione dell’ordine pubblico, ignorando evidentemente che sia la condotta della polizia che l’imposizione del coprifuoco, al pari della richiesta di intervento della Guardia Nazionale, sono sotto la piena responsabilità dei governatori dei singoli stati federati.

Costoro lavorano alacremente per costruire la società perfetta, quella globalizzata e multiculturale, pronta a spazzare via quella vecchia e tutto ciò che si frappone alla causa; a calpestare ogni libertà individuale nel nome di un collettivismo buono e giusto chiamato “nuovo socialismo”.

Novelli distruttori di catene, hanno reso questo Paese il loro Approdo dei Re. Non credono di essere cattivi, ma di sapere cosa sia giusto e di essere legittimati a tutto per farlo capire agli altri sì. Eppure, il potere di cui hanno così disperatamente bisogno per trasformare in sostanza ciò che è solo in potenza nelle loro menti li corrompe, li consuma, come ammoniva Tolkien.
E il prodotto di questo processo è la foto di un sindaco che celebra e ascolta se stesso al posto di una città profondamente ferita, umanamente ed economicamente, dall’emergenza Covid-19.

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