Cultura

Il regresso woke: verso una società tecnologica ma irrazionale

Basata sempre più su slogan e dogmi di poche parole, condivisione superficiale e condanna del dissenso. La teoria di Vico ci aiuta a “leggere” la decadenza

Ue censura

Tipica della cultura woke e di tutti i movimenti che ad essa si ispirano, ambientalisti, femministi, inclusionisti (il lettore mi consentirà l’uso di un termine inventato) e ovviamente “antifascisti”, è una concezione della storia intesa come un progresso continuo e inevitabile verso un mondo perfetto, un mondo dove le idee portate avanti da tali movimenti sarebbero destinate a trovare piena attuazione.

Il paradiso in terra

Una visione simile delle cose fu già propria (e questo dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per molti) delle ideologie totalitarie del secolo scorso, dal comunismo sovietico al nazionalsocialismo tedesco, che volevano realizzare con la forza il paradiso su questa terra.

Più in generale, con tutto il rispetto per grandi pensatori come Georg W.F. Hegel (1770 – 1831) che vedeva il motore del progresso inevitabile verso la perfezione della storia, nella realizzazione dello spirito collettivo del genere umano attraverso il conflitto “dialettico” tra le idee, o come Karl Marx (1818 – 1883) che lo identificava con la realizzazione dell’eguaglianza sociale, attraverso il conflitto anche in questo caso “dialettico” tra le diverse forme di appropriazione dei beni materiali, a modesto parere di chi scrive una regola generale assoluta “dogmatica” dello sviluppo storico non può essere stabilita e se lo si fa si finisce per perdere il contatto con il mondo concreto e per scadere nell’ideologia, cioè nella falsa coscienza della realtà, come lo stesso Marx la definiva.

Il che vale peraltro anche per le concezioni opposte, altrettanto dogmatiche, che vedono le civiltà umane, compresa la nostra civiltà occidentale, come soggette ad una inevitabile decadenza.

Una concezione empirica

Per comprendere meglio i mutamenti culturali e sociali in atto c’è a mio avviso bisogno di una concezione empirica della storia che però non rinunci a basarsi su valori trascendenti (anche se non necessariamente legati ad una volontà divina), su punti “fermi” che consentano di valutare criticamente l’evoluzione di una civiltà.

Una tale visione della storia è sempre stata dominante soprattutto nei Paesi anglosassoni e validi esempi di essa si possono trovare soprattutto nell’illuminismo scozzese e in particolare in Henry Home of Kames (1695-1782) che influenzò sotto questo aspetto sia il suo pupillo David Hume (1711-1776) che Adam Smith (1723-1790), ma la più compiuta teoria dell’evoluzione storica di questo tipo è frutto del pensiero di un italiano, il troppo spesso trascurato Giambattista Vico (1668-1744).

I tre stadi di Vico

Profondamente contrario ad una visione razionalista della storia considerata come un’unica fase di un progresso inevitabile, il filosofo napoletano si rifece alle concezioni dell’antichità classica e distinse nello sviluppo delle singole civiltà tre stadi: il primo (età degli dei) nel quale gli uomini sono guidati solo dal senso comune espresso nei miti e nelle credenze delle diverse società; il secondo (età degli eroi) nel quale al senso comune si affiancano i valori legati alle imprese degli antenati (anch’esse più o meno mitizzate) e fissate in una tradizione vincolante; il terzo (età degli uomini) è invece dominato dal pensiero e dal dialogo razionali che però non eliminano del tutto né il ruolo del senso comune né quello delle tradizioni, ma piuttosto si combinano con essi, limitandosi reciprocamente, un poco come accade per i poteri dello stato nella ricostruzione del suo contemporaneo Montesquieu (1689-1755), e portando ad una società dove le basi della conoscenza e della certezza sono diversificate a seconda dei differenti settori delle attività umane, ad esempio con riferimento alla religione e alla morale, alle scienze (naturali e umane) o alla politica intesa in senso lato.

Basandosi sulla visione dell’essere umano come creatura razionale, voluta come tale da Dio, Vico riteneva che nella “età degli uomini” una civiltà raggiungesse la sua fase migliore e che quindi l’evoluzione verso di essa fosse da considerare un progresso, mentre il cammino in senso contrario non potesse che essere definito come un regresso o una decadenza.

Il rischio della decadenza

A differenza però degli antichi che consideravano il passaggio di una civiltà attraverso le tre fasi come un ciclo destinato continuamente a ripetersi, Vico affermava che i passaggi di una civiltà da una fase all’altra (i “corsi e ricorsi storici”), non rappresentano un percorso necessario, ma sono sempre il frutto delle scelte umane concrete, da valutarsi in maniera empirica e critica.

Vico riteneva che la civiltà occidentale a lui contemporanea (una civiltà che aveva superato le guerre di religione e che si avviava a vivere la grande fioritura del pensiero illuminista e dello sviluppo scientifico) avesse raggiunto la sua fase più elevata e che il compito degli uomini fosse quello di non decadere verso stadi inferiori, cosa che nonostante le brutture dei totalitarismi e delle guerre che hanno insanguinato l’Occidente nei secoli successivi, possiamo ancora ripetere oggi.

Anche se essa non rappresenta il mondo perfetto (impossibile da realizzare, e padre delle peggiori ideologie quando preso a base della propria visione della storia), la civiltà occidentale attuale si è ampiamente mantenuta dai tempi del pensatore napoletano nella fase della “età degli uomini” ed anzi negli ultimi secoli ha migliorato in maniera esponenziale i rapporti umani, sia dal punto di vista della libertà individuale che da quello del benessere generale.

La possibilità di un regresso verso stadi precedenti della evoluzione storica è però sempre reale e, da questo punto di vista è interessante conoscere il pensiero di Vico sui modi di una eventuale decadenza, confrontandoli con i cambiamenti sociali e culturali invocati (e in parte già sperimentati) sull’onda dell’affermarsi della cultura woke.

Decadenza per sostituzione

Vico indicava due modi nei quali una civiltà può decadere: la sostituzione da parte di un’altra civiltà più forte (culturalmente e politicamente), e l’implosione interna. Molti oggi sostengono che la prima ipotesi rappresenta il futuro prossimo dell’Europa, destinata ad essere inglobata nella cultura non occidentale, in parte africana e in parte islamica portata con sé da molti immigrati che, lungi dall’integrarsi nella società occidentale rivendicano non solo la propria autonomia personale ma affermano senza mezzi termini una propria superiorità morale sugli europei, i quali essendo condizionati dalla critica radicale alla propria civiltà, cioè da quella che il filosofo britannico Roger Scruton (1944-2020) chiamò “oicofobia”, a sua volta frutto della cultura woke, non sarebbero in grado di difendere i propri valori etici e civili.

Forse è una prospettiva troppo pessimista e troppo negativa sia verso gli europei che verso gli immigrati, ma non si può dire che essa sia campata in aria.

Decadenza per implosione

Anche l’alternativa della implosione interna della civiltà, cioè della frantumazione della società attuale in tutta una serie di piccoli e grandi gruppi, ciascuno soggetto a proprie regole e tendenzialmente in conflitto con gli altri: gli uomini e le donne (e le diverse declinazioni “fluide” nel genere), i bianchi e i neri, gli occidentali e gli immigrati (l’applicazione della legge islamica è già stata molte volte invocata da alcuni leaders religiosi) ecc. è una prospettiva da non sottovalutare.

Ciò peraltro, a conferma del valore delle tesi di Vico, ci ricorda che anche se la storia non si ripete mai esattamente in quanto ogni epoca accumula le sue esperienze su quelle passate, è vero che certi caratteri possono ripresentarsi quando una civiltà ritorna ad una fase precedente.

L’Europa occidentale ha già conosciuto un’epoca caratterizzata dalla frammentazione della società in tutta una serie di piccoli e grandi potentati in lotta tra loro senza un potere generale e delle leggi comuni in grado di regolarne i rapporti, quella corrispondente ai secoli IX e X, seguita alla crisi dell’impero di Carlo Magno (742-814), epoca chiamata dagli storici “anarchia feudale”.

Non è impossibile che il futuro ci riservi una sorta di “anarchia tecnocratico-buonista” dove i conflitti tra i diversi gruppi, tra le diverse “identità” (come già oggi si esprime la cultura woke) verrebbero risolti non tramite le leggi dello stato (già oggi attaccato dalle concezioni “anti-sovraniste”), ma ad esempio dal potere finanziario e da quello dei tecnocrati (già dominanti in tutte le organizzazioni ultra-nazionali), oppure da quello degli attivisti delle ong, già oggi protagonisti in molti settori della società, ma non è da escludere (e le premesse non mancano ascoltando gli slogan che dominano nelle piazze) anche la possibilità dell’uso della violenza in senso stretto, ovviamente esercitata “a fini nobili”.

Il regresso woke

C’è però un’altra situazione che, seguendo sempre il pensiero di Vico, accompagna la decadenza di una civiltà verso fasi meno evolute (anche se magari legate alla più sofisticata tecnologia), una situazione di cui si avvertono già i primi segni. Abbiamo detto che nella “età degli uomini” i diversi settori dell’attività umana diretta a creare conoscenza e ad affermare valori (religione e morale, scienze naturali e umane, politica) sono separati tra loro e si limitano reciprocamente.

Nella realtà attuale invece è sempre più frequente il caso che esse si fondano in un’unica serie di prescrizioni e affermazioni che uniscono in sé in maniera irrazionale (e la prima vittima della decadenza è proprio il ruolo della ragione) il dogma religioso, la verità indiscussa della scienza e la forza coercitiva della politica, senza lasciare spazio alcuno al dissenso se non la condanna.

È triste constatare che molte volte, leggendo o ascoltando un discorso non si è in grado di distinguere se ci si trova di fronte all’omelia di un sacerdote, alle tesi di uno scienziato o al proclama di un politico: si pensi a certi discorsi sui mutamenti climatici, ma gli esempi potrebbero essere molti.

Anche in questo caso il paragone più calzante è quello con l’epoca altomedievale cui abbiamo accennato: in quella società il potere dei vari signori e signorotti non solo comprendeva tutte le decisioni politiche, ma aveva “asservito” a sé anche il discorso scientifico e quello religioso, dato che sia gli scienziati che gli ecclesiastici erano totalmente alle dipendenze del signore ed incapaci di elaborare idee e principi autonomi.

Anche da questo punto di vista non c’è ovviamente il pericolo di tornare alla società feudale, ma è realisticamente possibile una evoluzione verso una società tecnologica ma irrazionale, una società che sarebbe basata sempre più su slogan e su dogmi di poche parole, tanto esteticamente piacevoli quanto vuote di contenuto critico, e che al dialogo e al confronto razionale sostituirebbe la condivisione superficiale (ad esempio tramite i “like”) delle affermazioni di questo o quel soggetto e la condanna del dissenso.

Condanna rappresentata ad esempio dalla esclusione dai mezzi di comunicazione tipo i social networks, magari intesa come primo passo verso sanzioni che potrebbero anche andare a toccare la professione e la vita privata di chi esprime opinioni “non corrette”.

Il dovere degli uomini

Coerentemente con la sua visione dei corsi e ricorsi della storia intesi come frutto delle scelte umane, Vico affermava che il progredire di una civiltà verso i suoi stadi più avanzati e il mantenersi in essi evitando la decadenza rappresentano un dovere per gli uomini che di quella civiltà fanno parte.

Un dovere che il filosofo napoletano collegava al rapporto con Dio (giudice ultimo della storia), ma che anche un non credente può basare su valori morali altrettanto forti; un dovere che per prima cosa impone di cercare di capire quanto più possibile in modo non ideologico le tendenze evolutive delle società umane, e per fare ciò le idee troppo spesso ignorate o sottovalutate del filosofo napoletano rappresentano un aiuto prezioso.

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