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Da Chernobyl al coronavirus, non possiamo fidarci dei regimi autoritari

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In Italia è panico da coronavirus, il nuovo virus influenzale originato in Cina. Dopo qualche giorno di sospetti, sono confermati due casi positivi a Roma, due turisti cinesi in visita nel nostro Paese, e altri sono in osservazioni. Nonostante i tentativi di rassicurazione sia da parte del governo che da parte dell’OMS, come suddetto, si sta diffondendo un certo allarmismo, sfociato in alcuni inaccettabili episodi di razzismo nei confronti di turisti asiatici.

Ma al di là dell’allarmismo, della psicosi e degli episodi di intolleranza, c’è qualcosa che questo coronavirus può insegnarci nel campo delle relazioni internazionali e che, purtroppo, molti dei nostri governanti sembrano ancora ignorare.

Mancanza di trasparenza, ritardi nel dare l’allarme e fornire informazioni, numeri poco credibili di vittime e contagiati: da Chernobyl al coronavirus la storia insegna che non possiamo fidarci dei regimi autoritari, che non rispettano i valori democratici e i parametri basilari dello stato di diritto, e che occorre quindi diffidare di alleanze strategiche con Paesi governati da tali regimi. Nonostante i ripetuti fallimenti, molto politici occidentali faticano ancora ad accettare questa realtà, talvolta per un malinteso senso di realpolitik, talvolta perché catturati da fascinazioni orientaliste, spesso arricchite da offerte di cattedre in questa o quella università cinese.

Esite, infatti, in Occidente una classe intellettuale e politica da anni preda di questa fascinazione, spinta spesso fino alle estreme conseguenze di mettere a repentaglio rapporti decennali con gli Stati Uniti per abbracciare questo o quel sistema autoritario, provando a spiegare che non si tratta di vero autoritarsimo ma di culture politiche diverse e che l’apertura democratica arriverà con il tempo.

È accaduta la stessa cosa con l’Iran degli ayatollah: quando Obama ha aperto le porte a Teheran, il mondo occidentale ha iniziato a creare una narrazione ad hoc, volta a rappresentare quel regime come “moderato”, “un El Dorado economico”, “volenteroso di vivere in pace” e “stabilizzatore della regione”. Wishful thinking che uno ad uno si sono rivelati delle illusioni. Un politically correct in ossequio a Teheran che giunse ad un livello tale da portare un ex presidente del Consiglio italiano a far coprire le statue romane del Campidoglio per non mancare di rispetto ad un clerico khomeinista che, a casa sua, impone il velo alle bambine dai 7 anni e permette legalmente che siano concesse in sposa le ragazzine dagli 11 anni… In un Occidente appena normale, quel regime verrebbe condannato per “legalizzazione della pedofilia”…

Oggi è Trump l’alibi per dimenticare tutte le malefatte di quel regime: per la crisi economica della Repubblica Islamica e per le repressioni che avvengono in quel Paese, basta ora accusare il presidente Usa di essere la causa di tutti i mali. Ma chi da anni segue le vicende iraniane, conosce come stanno realmente le cose: decine di delegazioni di politici e imprenditori occidentali, giunte in quel Paese per siglare accordi economici fantasmagorici, sono rimaste a bocca asciutta, perché l’economia iraniana è controllata dai Pasdaran, orientata al riciclaggio di denaro per finalità di finanziamento del terrorismo internazionale, priva di trasparenza e drammaticamente corrotta. Senza contare gli abusi dei diritti umani che hanno portato, dal 1999 ad oggi, a reprimere nel sangue almeno cinque proteste di massa della popolazione civile e il vergognoso recente caso dell’aereo civile ucraino abbattuto dai Pasdaran, con Teheran che si rifiuta di consegnare le scatole nere.

Con la Cina il problema è sempre lo stesso: la mancanza di trasparenza è la principale fonte dei problemi. Abbiamo permesso che ci venisse raccontata una narrazione su Pechino totalmente distorta, in cui i numerosi lati oscuri dei quel regime restano nascosti per legittimare un abbraccio politico che, in Italia, alcuni pretendono sia anche strategico e culturale.

Ma dai tempi di Marco Polo le cose sono notevolmente cambiante: viviamo in un mondo globalizzato dove, proprio perché tutto è interconnesso e interdipendente, tutto dovrebbe essere trasparente e limpido. Certamente è necessario avere relazioni diplomatiche ed economiche con la maggior parte degli attori internazionali, soprattutto di massimo livello quali la Cina. Ma queste relazioni dovrebbero essere orientate non solo al business costi quel che costi, l’Occidente non dovrebbe mettere da parte la propria identità, i propri principi, e dovrebbe esigere reciprocità e garanzie, sia in termini politici che economici.

Per queste ragioni, quando si tratta di alleanze strategiche, dovremmo restare nel campo degli attori internazionali che condividono i nostri stessi valori e il nostro stesso sistema di diritti. Si tratta di una questione dirimente, sulla quale l’Occidente dovrebbe riflettere attentamente. Fughe in avanti come quelle con la Cina o con l’Iran sono destinate al fallimento, perché prima o poi arriva quel giorno in cui il lato oscuro di quei regimi finisce per spegnere il lumicino che vedevamo o che, molto spesso, ci illudevamo di vedere…

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