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Dalla CED alla PESCO, l’importanza di apprendere le lezioni passate per non ripetere gli stessi errori

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Come spesso accade la storia si ripete, si ripropongono situazioni simili e determinati attori tornano su vecchie questioni spinti da cause precedenti che si ripropongono. È quello che sta accadendo all’Unione Europea quando si parla di difesa comune. Negli anni 50 dello corso secolo, alla comunità europea dell’acciaio e del carbone, venne affiancato il progetto di difesa comune la CED. Allora, come oggi, a spingere il vecchio continente in tale direzione furono gli Stati Uniti che temevano la riapertura di un fronte orientale visto l’aumento di aggressività dell’Unione Sovietica. Il Presidente statunitense Truman e il suo segretario di stato Achenson tentarono quindi di impostare una forward strategy che nell’ambito di una difesa comune europea prevedeva tra le altre misure il riarmo della Germania. Proprio questo punto insieme ad altri fattori tra cui la morte di Stalin che raffreddò temporaneamente il clima della guerra fredda, fece fallire il progetto. La Francia in primis, ma anche l’Italia, furono molto preoccupate da un possibile riarmo tedesco e due anni dopo l’istituzione della CED nel 1954, la Francia non ratificò internamente il trattato costitutivo facendo saltare il banco. L’Italia puntò ad un ritardo nella ratifica, così da non doversi esporre negativamente. In estrema sintesi, ciò che portò al fallimento del primo tentativo di difesa comune è stata la diffidenza, la mancanza di fiducia.

La situazione attuale, facendo le sacrosante distinzioni, è molto simile. Abbiamo gli USA che con il Presidente Trump, ma anche con il predecessore, fanno pressioni sui paesi europei affinché il loro contributo nell’ambito dell’alleanza atlantica sia più corposo, ponendo come obiettivo il 2 per cento del PIL per la spesa militare. Su questa scia, a fine 2017 23 paesi europei hanno firmato il documento che avvia la PESCO, la cooperazione strutturata e permanente in termini di difesa e sicurezza. Come a metà del secolo scorso, anche oggi il ruolo centrale nell’evoluzione della difesa comune è detenuto da Francia e Germania. Da un lato i transalpini hanno dato immediatamente segnali di perseguire aumenti sostanziosi nel budget della difesa arrivando a quel 2 per cento del PIL indicato dagli USA, dall’altro abbiamo una Germania storicamente poco incline agli impieghi operativi del proprio esercito e che non sembra aver intenzione di aumentare considerevolmente il budget, Germania che negli ultimi decenni ha sempre usufruito della campana di vetro americana per la propria sicurezza, potendo così investire molti fondi in welfare e politiche sociali. I fattori che portarono al fallimento della CED, sembrerebbero ripresentarsi, vista la scarsa fiducia che ripongono vicendevolmente transalpini e tedeschi, ma altrettanto questo vale per i paesi Visegrad e gli altri componenti.

Dal punto di vista prettamente tecnico, uno strumento di difesa unico è molto complesso da realizzare, basti pensare agli ambiti come la cyber defence. Per avere una infrastruttura di difesa comune, si necessita di una rete unica o quanto meno un insieme di reti federate, con standard di sicurezza comuni e unificazione di assetti e procedure. La NATO è strutturata in questo modo, esistono reti, armi, calibri, procedure identici per tutti, ma per arrivare a questo livello ci sono voluti decenni, figuriamoci se si volesse creare uno strumento militare comune. Irrealizzabile. Ad oggi oltretutto, non vi è in ambito UE una struttura di Comando e Controllo, di pianificazione e intervento come quella NATO.

La strada da seguire è quella dell’alleanza Atlantica, dell’integrazione del progetto europeo all’interno di essa sfruttando da un lato il know how di decenni all’interno della NATO e dall’altro rinsaldando la partnership ineludibile per poter affrontare le prossime sfide internazionali (Russia, Cina, Iran…).
È senza dubbio da apprezzare e da favorire, la costituzione del Cooperative Financial Mechanism (CFM), con il quale l’Unione destinerà circa 5 miliardi annui al progetto. In questo contesto ciò che deve essere gradualmente abbandonato da parte degli stati membri è il ricorso preferenziale alle industrie nazionali per gli approvvigionamenti, non avendo di fatto un mercato competitivo e rendendo così la spesa inefficiente. La creazione di un mercato unico della difesa poterebbe ad un incremento dell’efficienza a parità di spesa, per ottenere questo è necessario l’abbandono del protezionismo nazionale.

La storia è ciclica, un fallimento nel tentativo della creazione di una difesa unica europea già c’è stato, ma per quanto riguarda la PESCO se saranno posti obiettivi raggiungibili e non utopistici sicuramente l’Unione Europea potrà trarne giovamento. La fiducia non va cercata tra i paesi, bisogna creare le condizioni per cui possano essere tutti messi nelle condizioni di non temere dalle azioni altrui.

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