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Dalle urne esce una Spagna sempre più divisa e un sistema politico frammentato

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Domenica scorsa in Spagna si è votato per le elezioni generali. È stata la terza tornata dal 2015. Il partito socialista di Pedro Sanchez ha vinto con il 28,7 per cento (terzo peggior risultato di sempre), al secondo posto si è piazzato il Partito Popolare del giovane “aznariano” Pablo Casado. Il 16,7 racimolato dai popolari è però la percentuale più bassa della storia del PP: si può dire che anche in Spagna il centrodestra tradizionale ha toccato il fondo. Di questa orribile prestazione hanno tratto vantaggio Albert Rivera, che con Ciudadanos arriva terzo con il 15,9 per cento, e la formazione di destra Vox. Infatti, il partito di Santi Abascal entra per la prima volta nel “Palacio de las Cortes”, avendo raccolto poco più del 10 per cento. Avevo previsto un risultato più ampio per questa compagine conservatrice. Pablo Iglesias, con la lista che vedeva riuniti il suo Podemos, Izquierda Unida (Sinistra Unita) e altri partiti di sinistra, prende il 14,3 per cento. Dopo le forze nazionali vengono quelle locali e regionaliste. Ottima prestazione delle liste indipendentiste catalane: Esquerra Republicana de Catalunya, che arriva a Madrid con 15 seggi, e Junts per Catalunya con 7 scranni. Il Partito Nazionalista Basco raccoglie 6 seggi, gli altri localisti, di destra e sinistra, ne prendono insieme 10.

La vittoria di Sanchez potrebbe tramutarsi in una “vittoria di Pirro”. Per lui, e per chiunque altro, sarà davvero complicato formare un governo. Infatti, avendo 123 seggi, con i 42 di Podemos non arriva a quota 176 (quella della maggioranza assoluta). I socialisti arriverebbero a 180 seggi in alleanza con Rivera, che però ha già detto che non governerà con Sanchez. Il Partito Popolare difficilmente tornerà al governo, l’ipotetica coalizione di centrodestra (PP, C’s e Vox) conta in tutto 147 seggi. Un elemento centrale per la formazione del futuro esecutivo sarà la gestione della questione catalana. Infatti, i socialisti dovranno decidere se aprire il dialogo con i movimenti sovranisti catalani che, in cambio di un referendum concordato, potrebbero concedere i voti necessari per la formazione di un governo tra PSOE e Podemos. Anche se dal loro punto di vista sarebbe legittimo (e giusto) mettersi di traverso di fronte a qualsiasi richiesta dello stato spagnolo. Oppure, accordarsi con Ciudadanos, o il PP, ed avere alla base di un possibile patto un nuovo utilizzo dell’articolo 155 e del commissariamento della Catalogna, confermando la deriva erdoganiana di Madrid. Al di fuori di queste possibilità, all’orizzonte non può esserci che l’ennesimo voto.

In Catalogna, per la prima volta, gli indipendentisti hanno vinto le elezioni parlamentari spagnole. ERC è il primo partito con il 24,6 per cento, seguito dal PSOE. Praticamente sparito il Partido Popular. Il partito dei presidenti Torra e Puigdemont, JuntsxCat, raccoglie il 12 per cento. Il nuovo Front Republicà sfonda ampiamente quota 3 ma non ottiene deputati. L’indipendentismo arriva a superare il 40 per cento. La platea dei favorevoli al referendum, contando l’estensione locale di Podemos, arriva ad oltre il 55. Le forze indipendentiste sono maggioranza in tutte le province, esclusa quella di Barcellona, anche se qui vincono nel capoluogo. Da sottolineare il dato dell’affluenza, aumentata in tutta la Spagna e con i picchi più alti soprattutto in Catalogna. Nei Paesi Baschi, altra terra fortemente autonomista ed indipendentista, i nazionalisti baschi vincono con il 31 per cento, mentre EH Bildu, formazione molto vicina all’ETA, ottiene il 16,7. Anche qui malissimo il PP.

Merita una menzione specifica il risultato di Vox. Nato nel 2013 da una scissione dei popolari, si presenta come una forza conservatrice nei valori e nel campo sociale e fortemente liberale in economia. A livello europeo si pone nell’alveo delle forze euroscettiche. Detto sinceramente è un partito che, per certi aspetti, servirebbe per soddisfare un’ampia fetta dell’elettorato italiano. È salito alla ribalta ponendosi duramente contro le aspirazioni della Catalogna e su quello ha costruito gran parte del suo successo. Il suo leader è Santiago Abascal che domenica ha portato il partito al 10 per cento, voti sottratti a Pablo Casado. Vox in Andalusia è stato fondamentale per la costituzione del governo regionale con PP e C’s, in molti pensavano che questa sarebbe potuta essere la coalizione del nuovo governo.

Le elezioni generali di domenica hanno confermato una Spagna frammentata politicamente e divisa sul piano territoriale. Infatti, anche qui il bipolarismo sembra finito o, quantomeno, è palesemente in crisi. La presenza di nuove forze ha rivoluzionato la geografia politica spagnola, l’indipendentismo catalano rimane fulcro dei futuri scenari. La Spagna negli ultimi tempi ha vissuto una svolta autoritaria, basti pensare ai prigionieri politici catalani (tra l’altro in sei sono stati eletti nelle liste di JxCat ed ERC) o alla fucilazione pasquale del fantoccio di Carles Puigdemont vicino Siviglia. L’instabilità della Spagna, la forza di Vox e le (legittime) richieste catalane saranno uno degli argomenti centrali per il futuro non solo di Madrid ma anche dell’Ue, soprattutto in ottica elezioni europee. Staremo a vedere cosa ci riserverà la storia, pensando che, probabilmente, assisteremo presto all’ennesima tornata elettorale spagnola.

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