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Declassificate le telefonate Flynn-Kislyak: nessuna collusione e Obama, Comey e Mueller lo sapevano

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Non fu Flynn a mentire sulle sue conversazioni telefoniche con l’ambasciatore russo, ma il procuratore speciale Mueller

Declassificate e trasmesse al Congresso venerdì sera, possiamo finalmente leggere le trascrizioni delle telefonate del dicembre 2016 (22, 23, 29, 31 dicembre e 12 e 19 gennaio 2017) tra il consigliere per la sicurezza nazionale in pectore del presidente-eletto Trump e l’ambasciatore russo a Washington Sergey Kislyak, quelle che porteranno l’FBI a interrogare il generale il 24 gennaio 2017 e ad accusarlo di aver mentito agli agenti su quelle conversazioni.

Ora che si possono confrontare le trascrizioni con le accuse formulate dall’FBI prima e dal procuratore speciale Mueller poi, appare ancora più evidente ciò che è già emerso dai documenti declassificati di recente: nessun elemento in quelle chiamate indica che Flynn fosse un “agente russo” o colludesse con i russi, erano conversazioni del tutto appropriate per un membro della squadra Trump che di lì a pochissimi giorni sarebbe diventato consigliere per la sicurezza nazionale. È prassi infatti che nella fase di transizione il team di sicurezza nazionale del presidente entrante prenda contatti con i rappresentanti dei leader stranieri. L’FBI era arrivata a queste stesse conclusioni, tant’è che nel rapporto del 4 gennaio era pronta a chiudere l’indagine di controintelligence Razor, il filone aperto nell’agosto 2016 proprio sul generale Flynn nell’ambito dell’indagine Crossfire Hurricane sulla Campagna Trump.

Tenete bene a mente: l’ipotesi che giustificava l’indagine era che Flynn potesse essere, o agire come un agente della Russia. Questo è importante perché in assenza di elementi che supportassero questo sospetto, anche nelle telefonate con l’ambasciatore russo, non c’erano le basi legali per l’interrogatorio a cui fu sottoposto il consigliere per la sicurezza nazionale il 24 gennaio alla Casa Bianca. Un interrogatorio-trappola, dato che l’FBI aveva già le trascrizioni di quelle telefonate avvenute un mese prima, sapeva già che nulla di inappropriato era emerso, e nemmeno le ha fornite a Flynn per aiutarlo a ricordare. L’unico scopo era indurlo in errore per poterlo accusare di falsa testimonianza o farlo dimettere, come poi è avvenuto.

Anche il presidente Obama e il direttore dell’FBI Comey sapevano che non c’erano elementi di collusione, avendo ricevuto le trascrizioni di quelle chiamate. Eppure, furono proprio i vertici dell’FBI, il 4 gennaio, tramite l’agente Strzok, a decidere di tenere aperta l’indagine e procedere all’interrogatorio del 24 gennaio, senza alcuna base legale, al solo scopo di incastrare Flynn. E pur sapendo come stavano realmente le cose, nell’incontro del 5 gennaio nello Studio Ovale il presidente Obama diede indicazioni ai suoi di non mettere al corrente il presidente-eletto e il suo team dell’indagine sulla Russia e delle chiamate di Flynn. Evidentemente, a quel punto, il problema era evitare che l’amministrazione entrante scoprisse che la squadra Trump era stata spiata dall’amministrazione Obama sia durante la campagna che durante la transizione.

Un comportamento grave in ogni caso, perché a maggior ragione se Flynn fosse stato un agente russo, o ci fossero stati elementi per sospettarlo, il presidente-eletto doveva esserne informato per evitare che venisse compromessa la Casa Bianca.

Ma come dicevamo, non solo dalle trascrizioni non emerge alcuna collusione e nulla di inappropriato, ma nemmeno emergono le “bugie” di Flynn. Le trascrizioni smentiscono le accuse formulate nei suoi confronti dal team Mueller che portarono al patteggiamento.

Innanzitutto, Flynn e Kislyak discussero delle espulsioni dei diplomatici russi, non delle sanzioni finanziarie nei confronti di entità e singoli dell’intelligence russa esplicitamente citate dal team Mueller nei documenti d’accusa. Flynn fu accusato nello specifico di aver mentito perché durante l’interrogatorio non aveva ricordato la sua discussione con Kislyak riguardo le sanzioni finanziarie adottate dal presidente Obama il 28 dicembre 2016 con l’ordine esecutivo n. 13757, ma ora sappiamo che con l’ambasciatore russo discusse delle espulsioni dei diplomatici russi decise dal Dipartimento di Stato, non delle sanzioni adottate da Obama. Si tratta di due misure completamente diverse.

Solo Kislyak nelle telefonate usa la parola “sanzioni” o “sanzionati” riferendosi agli agenti del FSB/GRU, in un passaggio sulla comune volontà di combattere il terrorismo islamico, ma Flynn risponde “yeah yeah” un paio di volte, come si fa al telefono quando si sta seguendo il discorso dell’interlocutore. Nessuna sostanziale discussione sulle sanzioni su cui Mueller ha accusato Flynn di aver mentito.

E questo spiega perché il procuratore del team Mueller che sosteneva l’accusa nel caso Flynn, Brandon Van Grack, non ha mai prodotto le trascrizioni, sfidando addirittura un ordine della Corte.

Le trascrizioni quindi provano che il team Mueller, non Flynn, ha mentito sulle conversazioni.

Come ricorderete, alla base della teoria della collusione c’era il fatto che Flynn avesse offerto all’ambasciatore russo la revoca delle sanzioni Usa non appena la nuova amministrazione si fosse insediata, e che per questo fosse riuscito a ottenere dai russi di soprassedere da una reazione all’espulsione dei loro diplomatici.

Nulla di tutto questo risulta dalle trascrizioni delle telefonate. Flynn non ha offerto al rappresentante russo la revoca delle sanzioni e di nessun’altra misura adottata dall’amministrazione Obama, nemmeno un’allusione.

I temi delle telefonate di dicembre tra Flynn e Kislyak furono politici. Sostanzialmente due.

Flynn era interessato alla cooperazione con Mosca per combattere un nemico comune, i terroristi islamici: “Dobbiamo essere molto saldi in ciò che faremo perché abbiamo certamente un nemico comune adesso in Medio Oriente”. E ancora: “Non conseguiremo la stabilità in Medio Oriente senza lavorare l’uno con l’altro contro queste masse islamiste radicali”.

L’altra preoccupazione di Flynn, strettamente legata al primo tema, era di evitare una reazione sproporzionata di Mosca all’espulsione dei propri diplomatici, che avrebbe provocato a sua volta una escalation da parte Usa: se avesse rispedito a casa una sessantina di americani contro i 35 russi espulsi dall’amministrazione Obama, “l’ambasciata Usa avrebbe chiuso”.

Secondo le accuse del team Mueller, Flynn avrebbe mentito dichiarando agli agenti dell’FBI che lo interrogarono il 24 gennaio, di non aver chiesto all’ambasciatore Kislyak di “astenersi dall’escalation” in risposta all’espulsione dei 35 diplomatici russi decisa dall’amministrazione Obama, e avrebbe mentito anche quando dichiarò di non ricordare che Kislyak gli disse che la Russia avrebbe “moderato la sua risposta” alle espulsioni.

In realtà, la trascrizione della telefonata del 29 dicembre, citata da Mueller negli atti d’accusa, mostra che Flynn non chiese all’ambasciatore russo “not to escalate” nella risposta, o di non rispondere, ma chiese solo “make it reciprocal”, in modo che gli Stati Uniti, non la Russia, non fossero costretti all’escalation.

È chiaro dalla trascrizione che Flynn si aspettava eccome che la Russia avrebbe reagito espellendo dei diplomatici americani e la sua prima preoccupazione era evitare una situazione in cui gli Stati Uniti avrebbero dovuto aumentare le tensioni.

“I know you have to have some sort of action… Make it reciprocal”. E agli agenti dell’FBI che lo interrogarono il 24 gennaio 2017 riferì, correttamente, di non aver chiesto “don’t do anything”, di non fare nulla.

Flynn: “Make it reciprocal. Don’t – don’t make it – don’t go any further than you have to. Because I don’t want us to get into something that has to escalate, on a, you know, on a tit for tat.”

Kislyak: “I understand what you’re saying, but you know, you might appreciate the sentiments that are raging now in Moscow”.

Flynn: “I really don’t want us to get into a situation where we’re going, you know, where we do this and then you do something bigger, and then you know, everybody’s got to go back and forth and everybody’s got to be the tough guy here, you know? We need cool heads to prevail, and uh, we need to be very steady about what we’re going to do because we have absolutely a common uh, threat in the Middle East right now”.

Flynn usò la parola “escalate” in riferimento non a una potenziale reazione di Mosca, ma a ciò che sperava gli Stati Uniti non fossero costretti a fare in risposta alle azioni russe.

“If you have to do something, do something on a reciprocal basis. And, and then, we know that we’re not going to escalate this thing”.

“… if we send out 30 guys and you send out 60, you know, or shut down every Embassy, I mean we have to get this to a… let’s keep this at a level that… is even-keeled (bilanciato, ndr), okay?”.

Un altro aspetto interessante che emerge dalle conversazioni è la consapevolezza in entrambi che le espulsioni decise dall’amministrazione Obama non erano mirate solo a colpire la Russia, ma a minare i futuri rapporti dell’amministrazione entrante con la Russia. Che Flynn cercasse di disinnescare questa mina, per non compromettere la possibilità di cooperare con Mosca contro il terrorismo islamico, è una scelta politica legittima, non una collusione. E comunque, nessuna discussione sulle sanzioni ci fu, tanto meno un’offerta di revocarle.

Flynn: “Number One, what I would ask you guys to do – and make sure you, make sure that you convey this, okay? – do not, do not uh, allow this administration to box us in, right now, okay?”.
Kislyak: “We have conveyed it”.

Anche Kislyak ha l’impressione che “queste azioni sono mirate non solo contro la Russia ma anche contro il presidente eletto”.

Flynn: “Quello che allora possiamo fare è, quando entriamo in carica, di avere una conversazione migliore su dove stiamo andando, riguardo la nostra relazione…”.

Kislyak: “Speriamo che tra due settimane saremo in grado di iniziare a lavorare in modo più costruttivo”.

Dunque, i due correttamente rinviano ulteriori discussioni e approfondimenti a quando la nuova amministrazione si sarà insediata.

Non fu il generale Flynn a interferire nelle politiche dell’amministrazione Obama, era l’amministrazione Obama che aveva interferito nella transizione con la nuova amministrazione per pregiudicarne i rapporti con la Russia. Flynn era intervenuto per provare a disinnescare alcune delle mine piazzate da Obama e quello dell’FBI e del procuratore speciale Muller è stato un cover-up.