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Dopo il “colpo” Soleimani nessuna terza guerra mondiale

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Qassem Soleimani è stato uno dei leader più importanti dei Pasdaran, guida delle brigate Al Quds, e per anni grande stratega del regime iraniano e del terrorismo sciita. Questo suo ruolo centrale spiega l’operazione autorizzata dalla Casa Bianca il 3 gennaio. A Soleimani è riconosciuto un ruolo chiave a sostegno del regime siriano di Bashar al Assad, tassello fondamentale per la grand strategy iraniana di allargamento, in quanto lo Stato islamico, di credo sunnita, costituiva un serio ostacolo alle mire espansionistiche di Teheran. Quello che però bisogna ricordare in Occidente è il suo ruolo fondamentale nel rafforzamento di Hezbollah, organizzazione terroristica al pari dell’Isis, responsabile di uccisioni di civili e militari americani, e strumento della politica estera iraniana.

Frontman del regime, si è intestato il merito dell’abbattimento di un drone americano nello Stretto di Hormuz nel giugno 2019, dell’assedio all’ambasciata Usa di Baghdad, sulle orme di quanto avvenne a Teheran nel 1979, e stava pianificando nuovi attacchi nel breve periodo. Un uomo chiave della condotta aggressiva iraniana in tutto il Medio Oriente che, abbinata all’ambizione nucleare, costituisce il casus belli del raid Usa che lo ha neutralizzato. Si commette quindi un errore di valutazione quando si definisce il raid di Baghdad un atto imperialista.

Nelle guerre del ventunesimo secolo il tempo è fattore determinante, ma le risposte alle provocazioni devono essere frutto di attenta ponderazione, con alti livelli di precisione per evitare il coinvolgimento di civili. Proprio per questo, seppure l’operazione pare sia stata preparata in breve tempo, l’intelligence statunitense si è confermata in grado di fornire informazioni utili circa gli spostamenti dell’obiettivo, poi colpito e abbattuto dai missili di un drone senza alcun “danno collaterale”.

Cosa accadrà nel breve e medio periodo? Difficile dirlo, ma ciò che preoccupa e agita i media internazionali e, soprattutto, il mondo social – campo di battaglia delle guerre di opinione a suon di analisi frutto di pregiudizio anti-americano, un logoramento di parole privo di confronto costruttivo – è la reazione di Teheran e l’esplosione di un terzo conflitto mondiale. Un’invasione dell’Iran non è un opzione contemplata dagli Stati Uniti i quali, consci dell’esperienza irachena, conoscono i rischi e i costi di un regime change. Non trovano quindi fondamento le preoccupazioni di Ilan Goldenberg, ex consulente del governo americano per il Medio Oriente, certo che ora gli Stati Uniti dovranno fronteggiare un’operazione militare iraniana senza una vera e propria strategia mediorientale. Anche da parte iraniana un’escalation militare convenzionale è poco probabile in quanto, ad oggi, non esiste alcun Paese in grado di sfidare gli Stati Uniti su tale piano.

L’uccisione di Soleimani, di conseguenza, risulta essere un gran colpo di Trump, che ha privato l’Iran della mente che per decenni ha gestito le operazioni all’estero del regime. Ora, la tensione tra Stati Uniti e Iran, che non si arresta dal 1979, si consumerà sul confine dell’asimmetria e della guerra ibrida, con operazioni di guerra economica ed eventuali rappresaglie contro le basi statunitensi in Medio Oriente e contro Israele. Da escludere, invece, l’ipotesi di una guerra totale e senza limiti tra i due in virtù di una disparità che renderebbe totalmente vano lo sforzo iraniano.

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