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E se il lockdown fosse stato inutile? Curva epidemica simile a prescindere dagli interventi dei governi

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo di Giacomo Messina, National Coordinator di Students for Liberty

Finalmente, dopo oltre due mesi di lockdown l’Italia inizia a vedere una timida luce in fondo al tunnel. Questa settimana sono iniziate le prime aperture, e la speranza è che queste possano aumentare nelle settimane successive, continuando così con un progressivo allentamento delle misure restrittive. Da ormai alcune settimane il numero di decessi giornalieri ha iniziato a diminuire, così come quello dei contagi. Il governo ha tenuto a farci sapere che questo miglioramento è interamente ascrivibile al grande successo del lockdown e alle decisioni forti, prese a inizio marzo dal presidente del Consiglio e dal ministro della sanità, che hanno costretto gli italiani agli arresti domiciliari per oltre due mesi. Senza questa decisione, il virus si sarebbe diffuso con una velocità tale da sovraccaricare gli ospedali e renderli incapaci di salvare le vite, costringendoli a scegliere chi curare e chi no. Questo scenario è stato rimarcato nuovamente dal report del Comitato Tecnico Scientifico della scorsa settimana, che suggerisce che in caso di riapertura totale, si raggiungerebbe già nella prima metà di giugno un picco di ricoveri in terapia intensiva pari a 150.000, di gran lunga superiore alla capacità massima del sistema.

I modelli epidemiologici SIR (Susceptible, Infected, Recovered) descrivono, a grandi linee, nel seguente modo l’andamento di un’epidemia. L’epidemia inizia con la prima infezione, e dopo una prima fase in cui si evolve lentamente inizia a crescere in maniera esponenziale. Nell’ormai noto grafico che vediamo spesso in tv, questa crescita rappresenta la parte inclinata della curva a campana. A questo punto si raggiunge il picco, e l’epidemia rallenta fino a svanire con la stessa velocità con cui si è propagata. In questo modello, gioca un ruolo cruciale l’ormai tristemente noto numero di riproduzione di base o R0, che indica quante persone, in media, ogni infetto può contagiare. Più è alto questo numero, più l’epidemia si sviluppa rapidamente e diventa difficile per il sistema sanitario poter prendersi cura di tutti coloro che ne hanno bisogno. Il lockdown, riducendo i contatti e le interazioni tra gli individui, contribuisce a diminuire R0. A questo punto, l’epidemia non segue più un andamento esponenziale e rallenta. Questa è stata la ragione principale che ha spinto molti governi mondiali ad attuare politiche restrittive delle libertà di circolazione degli individui introducendo lockdown più meno estesi.

Alcuni scienziati hanno però sottolineato come l’andamento dell’epidemia di SARS-Cov-2 non abbia seguito l’andamento previsto. Uno dei maggiori scettici delle capacità predittive di tali modelli è Michael Levitt, biofisico, professore di biologia strutturale all’Università di Stanford e premio Nobel per la chimica nel 2003. In questa intervista sottolinea come in ogni Paese in cui vi sia verificato un focolaio, l’andamento del contagio è stato simile, a prescindere dall’intervento dei governi. Il dottor Levitt ha notato come dopo circa due settimane di aumento esponenziale nelle infezioni, la crescita della curva si interrompe e la stessa inizia a rallentare. L’obiezione che sorge spontanea a questo punto del ragionamento è che la crescita esponenziale rallenti proprio grazie al lockdown, e che in assenza di questo continuerebbe nel suo andamento, in maniera indisturbata. Ciò può essere sicuramente vero, ma cerchiamo di ragionare. Affinché ciò sia vero, dovremmo assumere che tutti i lockdown siano uguali, cioè che in tutti i Paesi in cui si è verificato un andamento similare, siano state intraprese esattamente le stesse regole di distanziamento sociale, ed eseguite in maniera esattamente uguale dai cittadini, senza importanti differenze. È davvero realistico assumere ciò?

Nel grafico qui sopra sono presentati i dati sulla mobilità forniti da Apple e confrontano Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna e Italia. La differenza tra questi quattro Paesi, in termini di mobilità, è evidente. Altri stati ancora hanno invece deciso di attuare regole di distanziamento sociale molto più blande limitandosi a raccomandazioni generali, e vietando gli assembramenti numerosi. È il caso della Svezia, ad esempio, ma anche del Brasile e di alcuni Stati negli Stati Uniti d’America. Nonostante ciò in tutti questi Paesi, l’andamento della curva epidemiologica sembra essere, per il momento, lo stesso. Un incremento iniziale molto ripido, ed un picco che si trasforma molto presto in un plateau. L’evidenza grafica è abbastanza eloquente. Insomma, diversi gradi di distanziamento sociale, hanno prodotto risultati molto simili in termini di andamento dell’epidemia. Risultato davvero curioso. Potrebbe a questo punto esserci qualcos’altro in grado di condizionare l’andamento della curva, in maniera più importante o comunque altrettanto decisiva. Nel report del Comitato Tecnico Scientifico è possibile osservare un grafico, riportato in figura 2, che rappresenta l’andamento di R0 nel tempo.

Osservando questo secondo grafico, la prima cosa che salta all’occhio è l’evidente riduzione del numero di riproduzione avvenuta ben prima che venisse introdotto il lockdown nazionale. Cosa è accaduto in quelle settimane? Si sono verificati i primi casi, l’ormai famoso paziente 1 viene ricoverato all’ospedale di Codogno, e si effettuano le prime zone rosse degli 11 paesi della provincia di Lodi e del paese veneto di Vo’ Euganeo. La speculazione è la seguente. Gli italiani, resisi conto della presenza di un nuovo pericolo si sono adattati di conseguenza, iniziando a praticare un volontario distanziamento sociale. Riducendo le uscite, i contatti, i viaggi sui mezzi pubblici e le serate al ristorante o al bar. Hanno iniziato a prendere precauzioni, evitando luoghi affollati ed assembramenti, rispettando le norme di igiene in maniera ferrea o iniziando ad utilizzare mascherine e dispositivi protettivi. Se questa, che per ora rimane una speculazione, venisse confermata, potremmo asserire, che ancora una volta la reazione degli individui è molto più rapida ed efficace di quella dei governi.

Questa è la posizione di Johan Giesecke, uno dei più importanti epidemiologi al mondo, consulente del governo svedese e promotore di un approccio che potremmo definire, semplicisticamente, di “immunità di gregge”. “Le persone non sono stupide”, continua a ripetere in maniera ossessiva il professor Giesecke ogni volta che viene intervistato da una tv internazionale. Per lui è sufficiente dare informazioni ed indicazioni precise ai cittadini e fare affidamento al loro buonsenso. Giocano poi un ruolo cruciale alcune norme igieniche di base e forme di distanziamento sociale non eccessivamente invasive, come l’indicazione di mantenere una certa distanza o la cancellazione di grandi eventi. Tutte le altre misure, secondo il professore Giesecke, sembrano essere eccessive e ingiustificate. Chiaramente, è ancora troppo presto per poter dire chi ha ragione. Ma la realtà è certamente più complessa di come vogliono farci credere, giornali e televisioni italiane, intente a lodare l’operato salvifico del governo italiano. Anche solo fingendo di dimenticare per un attimo gli effetti nefasti dal punto di vista economico, sociale e psicologico del lockdown italiano, questa scelta potrebbe non essere stata la più efficiente anche per contenere l’epidemia. Sono ormai svariati, infatti, gli esperti che indicano come forme di lockdown più “smart” e finalizzate a proteggere i più vulnerabili siano non solo più sostenibili ma anche più efficaci.

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