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Ecco come Johnson sta vincendo la corsa alle vaccinazioni (con grandi rosicamenti brussellesi ed eurolirici)

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Approccio cauto, ma organizzazione e potenza di fuoco finanziaria reale. Così Boris Johnson riesce a vaccinare 27 cittadini britannici al secondo, oltre 800 mila al giorno, quando tutti i Paesi dell’Unione europea insieme ne vaccinano poco più di 900 mila, e a mantenersi in linea con due obiettivi primari: quello di riaprire il Paese senza restrizioni il 21 giugno, e quello di vaccinare tutta la popolazione adulta entro fine luglio.

Certo, la Brexit ha anche dato una mano al governo Tory, fornendogli un più ampio margine di manovra al cospetto delle incessanti trattative bruxellesi che hanno poi rivelato il disastro della Commissione Von Der Leyen. Ma il “miracolo britannico” – così l’ha enfaticamente definito un quotidiano che parlava di “dramma britannico” solo qualche mese fa – ha più a che fare con una politica di programmazione dei vaccini e con una scelta fatta più di un anno fa.

Era il 6 marzo 2020 quando Boris Johnson, che non aveva ancora chiuso il Paese per via del coronavirus, annunciò il primo stanziamento di 44 milioni di sterline per un vaccino che aiutasse il Regno Unito a liberarsi della malattia. Poi altri stanziamenti sono arrivati, facendo di Londra il maggiore contribuente a livello nazionale dell’Alleanza Globale per i Vaccini, GAVI, una associazione le cui fila sono tirate dalla Bill e Melissa Gates Foundation, dall’Unicef e della Banca Mondiale. GAVI è il cappello dentro il quale c’è il CoVax, il programma per distribuire i vaccini nei 92 Paesi più poveri al mondo e che vede il Regno Unito contribuire con 250 milioni di sterline e con oltre 1 miliardo di sterline di donazioni private. “Il virus va sconfitto globalmente”, ha detto di recente Johnson al G7 da lui presieduto, e dedicato alla lotta al Covid. Una linea in coerenza con la nuova strategia di Global Britain esposta la settimana scorsa ai Comuni dallo stesso premier e dal ministro degli esteri Dominic Raab.

Di fronte a questo successo, l’Ue ha reagito in maniera tardiva e maldestra. In primis, ha bloccato per qualche ora alla frontiera tra le due Irlande i vaccini destinati a Belfast, in palese violazione degli accordi sull’Irlanda del Nord firmati in occasione della Brexit, e senza neppure avvertire preliminarmente Dublino, membro a tutti gli effetti dei 27; poi ha minacciato l’embargo sui vaccini che dalle fabbriche europee sono diretti al Regno Unito; e, infine, ha starnazzato al grido di Prima gli Europei!, ammettendo, implicitamente, che Johnson aveva ragione quando si preoccupava, come naturale che sia, prima degli interessi del suo Paese e poi della cooperazione internazionale.

Il caso relativo al vaccino prodotto dalla società anglo-svedese AstraZeneca ha destato scalpore proprio per la questione geopolitica in ballo. Nel Regno Unito erano già state somministrate oltre 11 milioni di dosi a marzo quando 4 Paesi europei di primo piano – Germania, Francia, Italia e Spagna – hanno sospeso la somministrazione alludendo a casi di effetti collaterali e in palese contrasto con quanto stabilito dall’Ema, che non vedeva ragione per prendere una decisione così drastica. Quattro giorni dopo lo stop, infatti, l’Ema si è nuovamente pronunciata a favore della sua somministrazione, e i Paesi che avevano sospeso le dosi hanno ripreso le iniezioni. Il Regno Unito – forte anche del sostegno dell’Ema britannica, l’MHRA – ha proseguito per la sua strada vaccinando con AstraZeneca senza mai interrompere il flusso delle fiale e la graduatoria dei vaccinati.

Infine, l’ultima polemica, quella sui presunti stock di vaccini tenuti “nascosti” in Italia – naturalmente dalla perfida AstraZeneca – e, secondo La Stampa, diretti verso il Regno Unito in barba all’Ue. Ebbene, si è scoperto che in realtà le dosi incriminate – ben 29 milioni – sono state prodotte al di fuori dell’Ue (non in Olanda), si trovano nello stabilimento della Catalent di Anagni non in giacenza ma per essere infialate, e sono destinate proprio ai Paesi Ue (16 milioni) e al CoVax (13 milioni), non al Regno Unito, previo controllo qualità da effettuare in Belgio. Tra l’altro, per il meccanismo sull’export imposto proprio dall’Ue, nessuna dose avrebbe potuto lasciare il continente senza il consenso della Commissione europea. Dunque, un non caso, frutto solo della paranoia di Bruxelles, che per l’occasione aveva scomodato persino i Nas e il ministro Speranza aveva eseguito, non pago del passo falso compiuto con la sospensione di AZ per accodarsi a Berlino.

Ma se i rapporti tra Stati, e tra Stati e aziende farmaceutiche, sono stati tesi durante tutta la crisi del Covid-19, a maggior ragione sembra che i rapporti di forza tra le nazioni vengano ribaditi nei momenti storici emergenziali, quelli in cui ciascuno deve giocare le proprie fiches migliori. Proprio per questo la minaccia europea di bloccare l’export dei vaccini verso Londra potrebbe scontrarsi con il dato di fatto che il vaccino prodotto da Pfizer/BioNtech ha bisogno di un componente che arriva via mare dal Regno Unito, e precisamente dallo Yorkshire. Poiché le vaccinazioni non elimineranno del tutto il Covid, che secondo molti si trasformerà in una influenza stagionale, è molto probabile che anche nel futuro a breve-medio termine assisteremo a nuove dispute legate ai farmaci, ai contratti di assistenza e alla consegna delle fiale dei vaccini.

Nella serata di ieri Ue e Regno Unito hanno concordato di impegnarsi a “creare una situazione win-win” sulle forniture dei vaccini anti-Covid, in modo da “espanderne la distribuzione a tutti i nostri cittadini”. Ma da quello che si capisce ancora non c’è accordo: “Continueremo le nostre discussioni”.

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