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Fate pure con comodo. Manovra in ritardo, Camera umiliata: ma quest’anno la sinistra non insorge

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Un anno fa un duro negoziato con la Commissione Ue, oggi sono le divisioni interne alla maggioranza a comprimere i tempi di discussione della manovra in Parlamento. Ma nessun allarme democratico lanciato dal Pd e dai giuristi d’area

Un’altra settimana si chiude e la manovra di bilancio non ha ancora iniziato il suo iter in aula al Senato. Bisognerà aspettare martedì prossimo, come minimo. Le votazioni in commissione a Palazzo Madama infatti potrebbero andare avanti fino a mercoledì, quindi il testo potrebbe approdare in aula anche giovedì o venerdì. Uno slittamento che potrebbe costringere il Parlamento a due sole letture, hanno confidato fonti della maggioranza ieri all’agenzia Adnkronos. Ciò significherebbe che la Camera potrebbe solo “ratificare” il bilancio, senza poter approvare sue modifiche al testo.

Le Camere si sono già organizzate per protrarre i loro lavori anche durante le feste natalizie, ma in ogni caso anche quest’anno la discussione parlamentare risulterà gravemente compressa nei tempi e compromessa nel merito. Eppure, ancora non si vedono parlamentari del Pd, editorialisti, giuristi e competenti di sinistra stracciarsi le vesti come, invece, stavano già facendo l’anno scorso di questi tempi. E l’inquilino del Colle? Farà filtrare la sua “preoccupazione” per la minaccia che incombe sul Parlamento? Lancerà i suoi moniti per il rispetto delle prerogative dei parlamentari, come fece un anno fa? L’anno scorso fu il Senato ad essere messo sotto le suole, quest’anno potrebbe toccare alla Camera la stessa sorte, venendo praticamente tagliata fuori dall’esame della legge di bilancio.

Ma l’anno scorso l’accordo politico tra le forze di maggioranza c’era, fu Bruxelles a costringere il governo a trattare sulla manovra di bilancio fino all’ultimo minuto e fino all’ultima virgola – anzi, zero virgola – sotto la minaccia di una procedura di infrazione per uno 0,2 per cento di deficit in più rispetto a quello “concesso” quest’anno. Ma si sa, alla Commissione non piaceva tanto il governo Lega-5 Stelle e pretese che il rapporto deficit/Pil programmato venisse portato dal 2,4 al 2,04 per cento, mentre quest’anno al governo “amico” ha accordato un deficit persino leggermente superiore: 2,2 per cento. La manovra per il 2019 approdò in aula alla Camera dei deputati per la discussione sulle linee generali la sera del 5 dicembre e venne approvata l’8, ma la trattativa con Bruxelles era ancora in corso e si sarebbe chiusa solo nella tarda serata del 18 dicembre. Limatura dopo limatura, il 20 dicembre la manovra iniziò il suo iter in aula al Senato, il 22 il governo pose la questione di fiducia sul testo finale, che fu approvato nella notte tra il 22 e il 23 e tornò alla Camera il 28 dicembre per la terza lettura, conclusa il 30.

Oggi, invece, ben che vada il testo approderà in aula al Senato il 10 dicembre, già con 5 giorni di ritardo rispetto allo scorso anno alla Camera. Ma anche oltre: saranno 7 o 8 giorni, se come probabile arriverà in aula solo giovedì o venerdì. Diversamente dallo scorso anno, però, stavolta il ritardo che rischia di comprimere gravemente i tempi dell’esame parlamentare della manovra sono dovuti alle divisioni interne alla maggioranza giallo-rossa.

Anche se, c’è da scommetterci, non vedremo nessuno dai banchi del Pd gridare all’attentato alla democrazia parlamentare, non leggeremo dotti pareri sulla Costituzione calpestata e il Parlamento esautorato e umiliato, né vedremo senatrici in lacrime.

“Ci vediamo alla Consulta”, minaccia però su Twitter il presidente della Commissione Bilancio della Camera Claudio Borghi (Lega).

Già, perché i tempi e le modalità di approvazione della legge di bilancio dello scorso anno finirono davanti alla Consulta per iniziativa di 37 senatori del Pd. La Corte però, premettendo che “i singoli parlamentari sono legittimati a sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale in caso di violazioni gravi e manifeste” delle loro prerogative, dichiarò inammissibile il ricorso.

La motivazione del ritardo che impose tempi strettissimi alle Camere nel dicembre 2018 fu riconosciuta dalla Consulta nella “lunga interlocuzione” con la Commissione europea. E quindi i giudici chiusero un occhio. “Nondimento – avvertiva concludendo la Consulta – in altre situazioni una simile compressione della funzione costituzionale dei parlamentari potrebbe portare a esiti differenti”. E oggi, come abbiamo visto, il ritardo è dovuto esclusivamente alle divisioni interne alla maggioranza.

Ma vediamo cosa scrivevano i giudici costituzionali nell’ordinanza n. 17 del 2019:

Da un lato, la lunga interlocuzione con le istituzioni dell’Unione europea ha portato a una rideterminazione dei saldi complessivi della manovra economica in un momento avanzato del procedimento parlamentare e ha comportato un’ampia modificazione del disegno di legge iniziale, confluita nel maxi-emendamento 1.9000. Il ricorso si limita ad affermare che il maxi-emendamento sostituiva integralmente il testo della legge di bilancio, senza considerare che il disegno di legge originario era già stato esaminato alla Camera dei deputati e ivi votato in commissione e in assemblea e che su di esso era in corso l’esame al Senato: il nuovo testo recepiva almeno in parte i lavori parlamentari svoltisi fino a quel momento, inclusi alcuni emendamenti presentati nel corso della discussione.
(…)
D’altro lato, le riforme apportate al regolamento del Senato della Repubblica nel dicembre 2017 – applicate al procedimento per l’approvazione del bilancio dello Stato per la prima volta nel caso di specie – possono gettare una diversa luce su taluni passaggi procedimentali censurati nel ricorso.
(…)
In conclusione, questa Corte non può fare a meno di rilevare che le modalità di svolgimento dei lavori parlamentari sul disegno di legge di bilancio dello Stato per il 2019 hanno aggravato gli aspetti problematici della prassi dei maxi-emendamenti approvati con voto di fiducia; ma neppure può trascurare il fatto che i lavori sono avvenuti sotto la pressione del tempo dovuta alla lunga interlocuzione con le istituzioni europee, in applicazione di norme previste dal regolamento del Senato e senza che fosse stata del tutto preclusa una effettiva discussione nelle fasi precedenti su testi confluiti almeno in parte nella versione finale.

In tali circostanze, non emerge un abuso del procedimento legislativo tale da determinare quelle violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari che assurgono a requisiti di ammissibilità nella situazione attuale. Ciò rende inammissibile il presente conflitto di attribuzione. Nondimeno, in altre situazioni una simile compressione della funzione costituzionale dei parlamentari potrebbe portare a esiti differenti.

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