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Fratelli tutti, tranne Samuel Paty. Vittime troppo scomode per la narrazione dell’islam come “religione di pace”

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Come mai non si vuol parlare di questo assassinio e si critica addirittura chi vuol far vedere la realtà, pur edulcorata dai “pixel” della testa mozzata del professore? Evidentemente per i governi, per l’Unione europea, e per Papa Bergoglio, l’argomento dev’essere estremamente imbarazzante. L’islam mostra il suo vero volto, e non è quello che alcuni insistono a voler vedere…

L’assordante silenzio che immediatamente è calato sulla decapitazione del professore francese Samuel Paty, di 47 anni, da parte di un terrorista islamico ceceno, diciottenne, il 15 ottobre scorso, induce alcune riflessioni. Evidentemente per i governi, per l’Unione europea, e soprattutto per quest’individuo che siede sul soglio che fu di San Pietro, l’argomento deve essere estremamente imbarazzante. D’altra parte, il suddetto individuo fu capace di dire, cinque anni fa, sull’aereo, a commento dell’eccidio di 12 persone e della distruzione di Charlie Hebdo: “Se uno offende mia madre, io gli do’ un pugno”, giustificando in tal modo la strage appena compiuta dai terroristi islamici. Quindi, visto il precedente, forse è meglio che sia stato zitto in questo frangente. Farebbe meglio però anche a non pubblicare encicliche che servono essenzialmente a giustificare la sua politica filo-islamica, la prima che abbia mai scritto un papa della Chiesa cattolica.

Come mai non si vuol parlare di questo assassinio e si critica addirittura chi vuol far vedere la realtà, pur edulcorata dai “pixel” della testa mozzata del professore? Perché è difficilmente sostenibile la sproporzione tra il fatto commesso e le conseguenze subite dalla vittima: in uno stato di diritto il far vedere delle vignette, per quanto possano essere discutibili, non può mai essere causa di una condanna a morte, una vera e propria esecuzione in strada secondo il rituale tipico dello Stato islamico. Perché bisognerebbe ammettere che tuttora sul suolo francese (e non solo) vi sono frange di Stato islamico che agiscono autonomamente e sostanzialmente indisturbate (quasi sempre gli attentatori erano già segnalati e conosciuti alle autorità come membri di cellule dello Stato islamico). Perché non regge neanche più l’affermazione che gli uomini che compiono tali atti siano malati di mente, in quanto non corrisponde al vero: essi applicano alla lettera i dettami del Corano e dell’islam, e sono perfettamente consapevoli di ciò che fanno (tanto è vero che lo rivendicano e lo motivano). Anzi, essi cercano la morte immediata, perché se uccidi il “cane infedele” e sei immediatamente ucciso vai in Paradiso, per cui questo terrorista ceceno ha sparato sulle forze dell’ordine per essere ucciso, come i due gemelli dell’attentato di Charlie Hebdo sono usciti senz’armi, per farsi ammazzare, così come gli attentatori dell’11 Settembre.

È un ritorno al Medioevo oscurantista? Sono persone ignoranti che vengono manipolate? Anche questo mi sembra difficile da sostenere: gli attentatori delle Torri Gemelle erano ben istruiti, avevano studiato ad Amburgo (Mohamed Atta, il capo, si era laureato lì nel 1999). Quale dunque può essere un tentativo di spiegazione, o meglio, per cercare di capire come mai, anche nei Paesi occidentali, avvengono tali fatti? Io credo che la cronica incapacità di leggere questi avvenimenti derivi dal fatto che l’occidentale non conosce l’islam e non lo vuole veramente conoscere, facendo finta che esso non sia altro che una variante del cristianesimo, nella convinzione che “tutte le religioni sono pressappoco uguali e dicono le stesse cose”. Chi studiasse veramente l’islam si accorgerebbe che invece sono questi islamisti ad ottemperare pienamente le prescrizioni del Corano: sono loro i veri islamici, non quel miliardo di persone che cerca in tutti i modi di non leggere e di non applicare i dettami dell’islam. Anche la cosiddetta “radicalizzazione” (termine molto occidentale) non è altro che l’approfondimento delle fede islamica nella lettura e nella meditazione del Corano e della Sunna.

In sintesi, la radice della questione non è nelle persone singole, la cui stragrande maggioranza cerca giustamente solo di vivere, di avere un lavoro, di farsi una famiglia e di avere dei figli, ma è in ciò che è scritto in questo libro, elaborato in una tribù araba del VII secolo d. C. e rimasto immutato da 1.400 anni a questa parte.

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