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I laburisti vanno alla conta per scegliere il successore di Corbyn, ma perseverano nel corbynismo

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Da lunedì si apre la corsa alla leadership dopo il tonfo elettorale di dicembre, tra chi ci tiene a definirsi socialista e chi assegna al capo uscente il massimo dei voti, invitando a non gettare al vento la sua agenda turbosocialista

Mercoledì scorso Jeremy Corbyn ha partecipato al consueto Question Time dei Comuni nei panni di leader del Partito laburista, ovviamente dai banchi dell’opposizione dopo la sonora batosta alle elezioni di dicembre che hanno sancito la peggior performance dal 1935 ad oggi. Continuerà a farlo fino ad aprile, quando verrà incoronato l’erede ad un trono traballante. Lunedì intanto scadranno i termini per presentare le candidature degli aspiranti regnanti. Due le strade che si aprono di fronte al partito: un’inversione di marcia, chiudendo il capitolo corbynista, o proseguire nella stessa direzione turbosocialista. Ad occhio la seconda pare la più plausibile.

Le ferite da rimarginare nel partito sono tante. Alcune si sono aperte ancor prima della tornata elettorale, sotto la rigida gestione di Corbyn che in quattro anni ha messo all’angolo gli esponenti delle anime più moderate e ha occupato con i suoi fedelissimi tutti i posti di comando. Le critiche non sono mai state gradite e molti mal di pancia sono rimasti sottaciuti per poi deflagrare nel momento più delicato, all’inizio della campagna elettorale, tra defezioni, addii e sassolini levati dalle scarpe che avevano il peso specifico di enormi massi rotolanti. All’indomani dell’esito delle urne c’è chi ha ammesso la dura verità, ovvero il fallimento dell’intero progetto, e chi al contrario ha deciso di diventare l’ultimo giapponese a combattere nella giungla: il risultato è stato deludente, ma le idee di Corbyn restano valide, purtroppo però non sono state capite o comunicate a dovere.

Lo pensa ad esempio Rebecca Long Bailey che è intervenuta nei giorni scorsi nella corsa alla leadership attribuendo il massimo dei voti al suo capo: “Ho sostenuto Jeremy e lo sostengo ancora”. Perché è una persona corretta, moralmente integra e portavoce di “alcune delle idee più emozionanti che abbiamo mai visto”. E se sul tema dell’antisemitismo è scivolato in più occasioni è perché il partito, e non Corbyn, non ha saputo fare abbastanza. Rieletta nel seggio di Salford and Eccles, Long Bailey può contare sul sostegno di Momentum, l’organizzazione che raccoglie gli irriducibili Corbynistas e che aspirano ad un Regno Unito decisamente socialista, facendo presa soprattutto tra le fasce più giovani degli elettori che confermano un trend a sinistra nelle loro preferenze. Momentum si è attivato a livello locale e multimediale per raccogliere consensi attorno a Long Bailey, ma l’avvio della sua campagna non ha raccolto l’effetto sperato – a causa anche di certi repentini cambi di posizione su alcuni temi come Brexit e nei riguardi dello stesso Corbyn.

Così la sinistra laburista si prepara all’eventualità di sposare la causa di Barry Gardiner, ministro ombra del commercio internazionale, che ha rivelato che potrebbe partecipare alla contesa, ma prendendosi ancora del tempo per scoprire del tutto le carte. Intanto, ha iniziato a tessere rapporti con i sindacati per cercare endorsement di peso. Cosa che invece pare essere già riuscita al candidato dato per favorito, Keir Starmer, Shadow Brexit Secretary, al quale il popolo laburista si era già appellato nel 2015 dopo le dimissioni di Ed Miliband, ma ai tempi rifiutò l’offerta. Il sindacato Unison ha confermato il proprio sostegno che in precedenza era stato invece riservato a Corbyn: da solo Unison può valere più degli altri sindacati in termini di voti.

Tenace Remainer, londinese e avvocato, per i suoi sforzi legali nel 2014 ha ottenuto il cavalierato: può dunque vantarsi del titolo di Sir, ma preferisce di no. In compenso ha affermato di sentirsi un socialista e per certi versi si è posizionato ancor più a sinistra di Corbyn, secondo i commentatori giusto per far breccia nei cuori dei fan del decadente leader la cui figura continua a far ombra anche su altri candidati come Clive Lewis, Lisa Nandy e Emily Thornberry che, seppur con qualche distinguo, ribadiscono che sarebbe un peccato smarrirne l’eredità radicale. Unica eccezione Jess Phillips, da Birmingham, accesa critica di Corbyn da tempo: può contare su alcuni sostegni tra i colleghi parlamentari, meno tra gli elettori.

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