Mentre tutto il Regno Unito trattiene il respiro per la sorte dello sfortunato premier, Boris Johnson, il Partito Laburista cambia pelle. Sabato è stata ratificata la nomina a leader di Sir Keir Starmer e quella a vice leader di Angela Rayner, mettendo definitivamente fine all’era Corbyn.
Starmer ha subito voluto augurare il meglio possibile a Johnson, dichiarandosi disposto a collaborare con il governo nella lotta al Coronavirus ma ha anche precisato che lui è il leader dell’opposizione – un ruolo riconosciuto costituzionalmente Oltremanica – e che il suo dovere sarà quello di controllare l’operato del governo.
Cinquantasette anni, eletto nel collegio londinese di Holborn e St. Pancras – quello dove si trova il British Museum – si può tranquillamente dire che Sir Keir ha una sola cosa in comune con il predecessore Corbyn: l’amore per l’Arsenal. Per il resto il background e il modo di fare dei due sono completamente diversi, e questo rappresenta una speranza per i laburisti dopo ormai oltre dieci anni di batoste elettorali.
Eppure, la piattaforma con cui è stato eletto l’ex procuratore generale diventato baronetto – ma che rifiuta l’appellativo “Sir” – non è dissimile da quella presentata come programma elettorale (Manifesto) da Corbyn nelle ultime due tornate: più tasse per i top earners (i ricchi); aumento della tassa di successione; aumento della spesa sanitarie e degli investimenti infrastrutturali e così via. Le politiche di Starmer riflettono il cambiamento dei tempi anche in Gran Bretagna dove sia il programma dei Tory che quello del Labour alle elezioni del dicembre scorso prevedevano un nuovo protagonismo dello stato nell’economia e la fine dell’austerity legata agli anni del governo di coalizione liberal-conservatore Cameron-Clegg.
Il compito di Starmer è oggettivamente molto difficile. Il Labour è andato molto bene a Londra ottenendo il 67 per cento dei consensi ma ha perso le sue roccaforti nelle Midlands e nel Nord-Est. Rispetto agli anni dei trionfi blairiani il suo consenso in Scozia si è polverizzato. Riuscirà il nuovo leader a riconnettere il partito con le sue constituencies tradizionali? È presto per dirlo. Sicuramente l’essere europeista, nonché l’architetto della fallimentare politica sulla Brexit del partito, non gioca a suo favore. Starmer difatti era lo Shadow Brexit Secretary nel governo ombra di Corbyn, dopo essere stato lo Shadow Home Secretary prima di essere estromesso dall’allora leader del partito.
Un terreno su cui si è subito messo al lavoro è stato quello della lotta all’antisemitismo all’interno del Labour. Con una lettera al quotidiano londinese The Evening Standard, il neoleader ha chiesto scusa per gli errori commessi in passato da Corbyn e i suoi e si è detto pronto a rinnovare un rapporto di amicizia e collaborazione con la comunità ebraica, che ha dimostrato apprezzamento per la sua presa di posizione. Attualmente, sono oltre 70 le contestazioni di antisemitismo che le organizzazione ebraiche laburiste hanno fatto pervenire ai vertici del movimento.
Starmer – che prende il suo nome di battesimo, Keir, da Keir Hardie, il socialista fondatore dell’Independent Labour Party ai primi del Novecento – ha composto il suo Shadow Cabinet tenendo conto di tutte le sensibilità del partito. Alle sue rivali alla corsa per la leadership, Lisa Nandy, e la pasionaria del corbynismo Rebecca Long Bailey, ha dato, rispettivamente, gli esteri e l’istruzione. Annaliese Dodds, scozzese di Aberdeen, è la prima donna a diventare Shadow Chancellor of the Exchequer nella storia. Infine, c’è stato il ritorno dell’ex leader del partito, Ed Miliband, come Shadow Business Secretary, ministro ombra per le attività produttive. Miliband, browniano ed ex ministro per il Gabinetto ai tempi della premiership di Gordon Brown (2007-2010), si era dimesso dopo avere perso malamente le elezioni del 2015 a vantaggio dei Tories di David Cameron.
La partenza di Starmer sembra buona, ma la Brexit ha determinato un nuovo baricentro nella politica britannica, uno spostamento di asse che trova il nuovo leader laburista spiazzato proprio dove più servirebbe una politica univoca, incisiva e popolare.