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Il primo dibattito presidenziale: una rissa che rafforza, nel bene e nel male, le rispettive immagini dei candidati

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Una rissa piuttosto caotica senza esclusioni di colpi, così si può riassumere il primo dibattito presidenziale tenutosi ieri sera a Cleveland, Ohio, tra il presidente Donald Trump e lo sfidante, l’ex vice presidente Joe Biden. Sarebbe più che mai in questa occasione sbagliato cercare di capire chi sia uscito vincitore dalla contesa stabilendo chi sia riuscito in modo più efficace a spiegare al pubblico i suoi programmi, le sue idee, la sua “visione” per il Paese. Perché mai come stavolta non si è trattato di questo.

Il peggior dibattito di sempre, molti osserveranno. Il solo dibattito possibile, visto il livello di polarizzazione e di delegittimazione reciproca raggiunto negli ultimi quattro anni tra i due schieramenti – e certamente non solo per colpa del presidente in carica…

E non date retta ai sondaggi dei networks su chi ha vinto e chi ha perso, gli stessi che dopo i dibattiti di quattro anni fa assegnavano alla Clinton oltre il 60 per cento e a Trump nemmeno il 30.

Dal dibattito di ieri è a nostro avviso uscita rafforzata, nel bene e nel male, l’immagine già nota al pubblico dei due candidati. È apparso subito chiaro perché Trump ha soprannominato Biden Sleepy Joe: ma agli occhi dei suoi sostenitori sarà apparso pacato e “presidenziale”, non invecchiato e tramortito, a tratti confuso, incapace di reagire ai colpi se non con sconsolati sorrisetti e sfuggendo grazie al soccorso del “moderatore”. Così come il presidente ha confermato la sua fama di “bullo”, mentre agli occhi dei suoi fan di combattente “uno contro tutti”.

È probabilmente il presidente Trump che sotto questo aspetto ha guidato le danze. Se Biden appariva a suo agio solo quando poteva svolgere il compitino, ripetere la lezione imparata a memoria prima del dibattito, Trump ha cercato di non permettergli di recitare il copione e con le sue continue interruzioni di mostrarne la debolezza a fronte del suo maggior vigore, in gran parte riuscendovi, sebbene pagando il prezzo di apparire troppo aggressivo e prepotente.

Così come crediamo sia stata precisa intenzione di Trump mettere in chiaro fin da subito al pubblico che il dibattito era in realtà due contro uno, da una parte il presidente e dall’altra Biden e il “moderatore” Chris Wallace, il quale per tutta la durata dell’incontro non ha fatto altro che confermare questa impressione, non esigendo mai risposte puntuali dal candidato democratico alle domande più scomode ed incalzando e interrompendo, invece, il presidente. Trump ha quindi avuto gioco facile nell’evidenziare la faziosità del conduttore (e della stampa), cosa che probabilmente si proponeva di fare fin dall’inizio a giudicare dall’immagine, diffusa su Twitter già durante il dibattito, che lo vede “vs” entrambi.

Ben sapendo che Wallace avrebbe consentito a Biden di svicolare, che avrebbe cercato di tenerlo in piedi incaricandosi di sostenere al suo posto il contraddittorio, interrompendolo quando in difficoltà, Trump si è incaricato di incalzare il suo avversario con le domande scomode che il moderatore non gli avrebbe posto o gli avrebbe permesso di eludere. E questo è stato il copione della serata.

Wallace non ha preteso una risposta da Biden sul “court packing” (la proposta dei Dem di aumentare per legge il numero di membri della Corte Suprema, così da poterne subito nominare altri in caso di conquista della Casa Bianca). Quando il candidato democratico ha reagito con un “ma vuoi starti zitto!”, Trump lo aveva interrotto perché non stava rispondendo alla domanda postagli da Wallace: in caso di conferma della giudice Amy Coney Barrett alla Corte Suprema, e di vittoria alle elezioni, ricorreresti al “court packing”? Anziché rispondere, Biden ha iniziato a lanciare un appello agli elettori a votare per lui come unica arma per evitare una Corte Suprema di orientamento conservatore. E alla fine, pressato da Trump, ha detto “io a quella domanda non intendo rispondere”, senza che il moderatore lo incalzasse.

Wallace non ha preteso da Biden una risposta sul suo sostegno o meno al movimento Black Lives Matters, mentre Trump è stato pressato sui “suprematisti bianchi e le milizie”, un passaggio in cui il “moderatore” si è letteralmente sostituito allo sfidante nell’incalzare il presidente. Alla richiesta di condannare suprematisti e milizie, Trump ha risposto “sure”, due volte, ma visto che Wallace insisteva, ha ricordato che le rivolte che negli ultimi mesi hanno provocato morte e distruzione in decine di città americane, guidate dai Democratici, sono opera di movimenti di estrema sinistra. Ma su questi Wallace non ha preteso alcuna risposta da Biden, che ha persino negato che Antifa sia un’organizzazione (è “un’idea”).

Certo che Trump andava incalzato, come è stato, sulla sua dichiarazione dei redditi, ma Wallace ha preferito cambiare argomento quando il presidente si è difeso spiegando di aver utilizzato le norme fiscali adottate e mantenute dall’amministrazione Obama, ammutolendo Biden. Così come ha cambiato argomento quando Trump ha sollevato la questione dei 3,5 milioni di dollari arrivati ad una partnership co-fondata dal figlio di Biden, Hunter, dalla moglie dell’ex sindaco di Mosca. “Falso”, ha ripetuto l’ex vicepresidente, anche in questo caso salvato in calcio d’angolo dal moderatore, che ha mancato di fargli presente che il passaggio di denaro è citato nel rapporto di due commissioni del Congresso sulla base di dati del Dipartimento del Tesoro. Tema imbarazzante per Biden, per cui si è cambiato subito argomento (passiamo ai temi che interessano alla gente…).

In conclusione, le domande da porsi per valutare com’è andato un dibattito sono essenzialmente due: se i candidati siano riusciti a entusiasmare e mobilitare la propria base e se siano risultati efficaci nel persuadere gli indecisi. Quanto alla prima, Trump è apparso senz’altro efficace, tenendo il punto su tutto (Corte Suprema, law and order, economia, China Virus, rischio brogli…) e contrattaccando, mentre Biden alcuni problemini a soddisfare la propria base, o almeno l’ala più radicale del partito, ormai molto influente, li ha avuti. È stato costretto a prendere le distanze da politiche che sono diventate dei must-have dell’agenda progressista, come il defund the police e il Green New Deal, arrivando persino a negare l’esistenza del “manifesto” congiunto con Bernie Sanders. Riguardo gli indecisi, invece, nessuno dei due è apparso molto efficace. Difficile che Trump abbia guadagnato posizioni con il suo atteggiamento aggressivo, ma anche Biden con la sua ambiguità su legge e ordine, sulla Cina e sul figlio Hunter.

Ma si sa, in genere il primo dibattito serve ad “accendere” la propria base, vedremo se nei successivi prevarrà la ricerca del consenso degli indecisi…

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