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Italia in ritardo su tutto. No, non abbiamo la sanità migliore del mondo. Parola di Draghi

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Il premier Mario Draghi, durante un webinar di ascolto con i rappresentanti della società civile, in vista del Global Health Summit del prossimo 21 maggio a Roma, ha parlato, tramite un video messaggio, di sanità. Il presidente del Consiglio ritiene che la sanità italiana debba attraversare un processo di ristrutturazione per farsi trovare meglio preparata di fronte alle emergenze. E il lavoro di rinnovamento deve iniziare da subito perché, anzitutto, non si sa quanto durerà ancora il Covid, ed inoltre, non si conosce la data di arrivo della prossima pandemia.

Innanzitutto, non sembra fuori luogo avvertire un certo disagio di fronte a questi ultimi aspetti del messaggio di Draghi. Nessuno può sapere, questo è vero, quando il Covid scomparirà completamente in tutto il pianeta. Ma con un piano vaccinale ben coordinato ed efficiente, è possibile prefigurare la convivenza con il virus e programmare il ritorno ad una sostanziale normalità, con date certe. Ciò che è successo, per esempio, in Israele e nel Regno Unito. Un conto è l’emergenza sanitaria, rappresentata da ospedali affollati e, purtroppo, tanti decessi; un altro, è un virus che continua a circolare, ma provocando danni lievi. In Italia si fa talvolta confusione fra questi due scenari. In ogni caso, dal premier Draghi al ministro della salute Roberto Speranza, sino al generale Francesco Paolo Figliuolo, giungono rassicurazioni frequenti circa una campagna vaccinale sotto controllo. Perciò, se è vero quanto dicono queste autorevoli figure, sebbene sia lecito nutrire più di un dubbio, occorre allora abbandonare quella vaghezza diffusa, di ampi settori della politica e dei tele-virologi, che ci accompagna da oltre un anno, ed iniziare ad indicare degli orizzonti temporali.

Draghi è già in attesa della prossima pandemia, e come faccia a sentire non lontanissimo l’arrivo di un’altra pestilenza, non si sa. La storia dell’umanità è stata funestata da numerose epidemie e pandemie, e in tempi recenti sono comparse la Sars, fra il 2002 e il 2003, e l’Ebola in Africa. Ma se vogliamo riferirci ad un qualcosa di simile all’odierno Covid-19, ovvero ad un virus capace di condizionare la vita di tutti i Paesi del mondo e di tutte le categorie di persone, dobbiamo andare indietro di almeno un secolo e giungere all’influenza spagnola, sorta nel 1918 e conclusasi nel 1920. Le pandemie di dimensioni catastrofiche sono avvenute finora in intervalli di tempo molto ampi, quindi è possibile, anche se non matematico, che la prossima si verifichi quando il premier e pure chi scrive, sebbene abbia qualche anno in meno dell’ex governatore della Bce, saranno già passati a miglior vita.

Indipendentemente dalle sfaccettature tanto disarmanti quanto inquietanti, il video messaggio di Mario Draghi non è da ignorare perché contiene uno spunto interessante circa la nostra sanità pubblica. Il premier, riferendosi alla necessità di ristrutturare la sanità, ammette che essa, così com’è, oltre a non aver affrontato l’emergenza Covid in modo sufficiente, non funziona a dovere ed ha prospettive future assai incerte. Draghi, magari involontariamente, smentisce di fatto quella stupida sicumera tramite la quale, ad inizio pandemia, tanti commentatori, televisivi e non, sostenevano che in Italia si potesse stare perlopiù tranquilli grazie ad una sanità pubblica addirittura migliore di tutte le altre, e prevedevano l’ecatombe in altre latitudini, magari laddove i servizi sanitari non sono prerogativa esclusiva dello Stato. Abbiamo visto poi come è andata, nel Paese della sanità migliore del mondo…

L’Italia era e rimane in ritardo su tutto, dal reperimento iniziale dei principali strumenti, mascherine e respiratori artificiali, all’attuale campagna di vaccinazione. Il tasso italiano di mortalità da Covid è uno dei più alti, mentre in altri luoghi, dove si è peraltro deciso, come in Svezia per esempio, di non imporre particolari restrizioni alla popolazione, si muore di meno, pur con una percentuale magari alta di contagiati. Ciò significa che, fuori dai nostri confini nazionali, vi sono realtà in cui si è imparato a curare meglio le persone colpite da questo virus. Per carità, questo non vuole essere un processo a carico degli operatori sanitari, medici e infermieri, bensì si vuole porre l’accento su un sistema esclusivamente statale nel quale una burocrazia folle e la spartizione partitica di alcune poltrone ben pagate, hanno ormai sclerotizzato il funzionamento della sanità italiana.

Vi è una ragione se questo Paese pare non aver imparato nulla dallo shock di marzo 2020, e si è ritrovato così, durante l’autunno e l’inverno scorsi, di nuovo immerso in ulteriori emergenze sanitarie. Dove l’erogazione dei servizi sanitari si trova anche o in buona parte in mani private, e ciò non viene visto come una bestemmia, o si è molto avanti con i vaccini, Regno Unito e Stati Uniti, oppure si è riuscito a contenere il Covid quasi sul nascere, Corea del Sud e Taiwan.

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