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Keep calm, siamo solo all’inizio. Renzi fa un favore a se stesso e a Macron, Italia al centro di una partita geopolitica

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Riassunto delle puntate precedenti. Elezioni del 2008, sistema bipolare. Risultato: Berlusconi batte Veltroni 46 a 37 (Pd al 33 per cento). Nel 2011, per salvare l’Italia dallo spread (sic!), Pd, Berlusconi e centristi vari decidono di appoggiare il governo Monti invece di dare la parola agli italiani sulle responsabilità della crisi. Risultato: dopo nemmeno un anno e mezzo, Grillo al 25 per cento.

Nel 2013, il Pd guidato da Bersani strappa per un soffio (con il 29 per cento di coalizione!) la maggioranza alla Camera (grazie al premio di una legge elettorale poi dichiarata incostituzionale), ma non al Senato. Per evitare di tornare alle urne, temendo un Movimento 5 Stelle ad una incollatura, Pd e Berlusconi decidono di dar vita al governo Letta, e dopo nemmeno un anno al governo Renzi (patto del Nazareno), in pratica un monocolore Pd. Un partito del 25 per cento occupa tutto l’occupabile (Quirinale incluso, ovviamente). Sul finire della legislatura, gli stessi approvano una legge elettorale su misura di un Nazareno 2.0. Risultato: nel 2018 M5S al 34 per cento, Lega al 17 supera Forza Italia di 3 punti e quasi aggancia il Pd al 18 per cento. Governo gialloverde.

Adesso che Salvini, forte del 34 per cento preso alle europee e del quasi 40 dei sondaggi, apre la crisi, lo stesso genio, Renzi, propone di creare le “condizioni” per impedirgli di arrivare a Palazzo Chigi. Come? Sostenendo un governo insieme al M5S (dopo aver ripetuto per mesi #senzadime, l’ultima volta solo 11 giorni fa, a chi osasse evocare aperture), intestandosi una manovra di bilancio che dovrebbe scongiurare aumenti Iva per 23 miliardi (quando era al governo non si è mai preoccupato delle clausole, rinviandole sempre per finanziare le sue spese), tagliando il numero dei parlamentari (riforma a cui ha votato contro in ben tre passaggi parlamentari gridando all’attentato alla democrazia) e, ovviamente, con una nuova legge elettorale, proporzionale puro. Il tutto mentre, ovviamente, tornerebbe allo status quo ante nella gestione degli immigrati in arrivo dalla Libia, riaprendo i porti alle ong. Non so voi, ma un’idea di come andrebbe a finire ce l’avrei… (a meno che le elezioni non le aboliscano…).

Come abbiamo già scritto in ciascuna delle circostanze ricordate (2011 e 2013), e per quella che viviamo oggi, se maggioranza alternativa dev’essere per evitare il voto contro il truce di turno, che sia solida, in grado di durare, scavallando l’elezione del nuovo capo dello Stato (2022), e magari anche di governare benino, ma non ci pare di scorgerne in giro. E i precedenti parlano forte e chiaro.

Il post di Grillo è un segnale invece che il Pd dovrebbe cogliere senza incertezze, ma non come lo ha colto Renzi. Se è così disperato da mendicare un’intesa con gli odiati e pluri-insultati Dem, se i 5Stelle sono così consapevoli di essere sull’orlo del baratro (tanto da essere pronti persino a derogare dalla regoletta del secondo mandato), il Pd ha un’occasione da non perdere per affondare il colpo e risollevarsi dopo nemmeno due anni. Magari non batterà Salvini (e nessuna elezione è vinta o persa in partenza), ma può tornare l’unica alternativa di governo della sinistra e restituire al Paese un sano e “normale” bipolarismo (mentre in entrambi i campi si tenta magari di migliorare l’offerta politica). Si tenga pure per la campagna elettorale l’armamentario polemico del fascismo alle porte, ma non fondi su una frottola propagandistica la sua analisi e le sue decisioni come fa ormai da quasi trent’anni.

La sparata di Renzi ha naturalmente occupato prime pagine, titoli e dibattito sulla crisi per tutto il weekend, e che ci siano formidabili pressioni, da più ambienti, in quella direzione è fuor di dubbio, ma è lungi dall’essere destinata ad andare in porto. Siamo solo all’inizio della crisi e ancora ben lontani dalle prime consultazioni. Personalmente, non scommetterei sulla riuscita del piano. Tutti i gruppi che dovrebbero parteciparvi sono divisi al loro interno, le leadership sono deboli, Zingaretti per ora sembra resistere (“con franchezza dico no”). Una cosa comunque è certa: per quanto Salvini e Di Maio si siano sforzati, siamo ancora tutti prigionieri dell’eterno congresso del Pd.

Resta da capire come mai l’ex segretario sia uscito allo scoperto così in anticipo, frettolosamente. Se sia consapevole o meno che una proposta che arriva da lui solo per questo ha molte chance di suscitare più avversione e divisioni che consensi nel suo stesso partito. Potrebbe risolversi tutto in una scissione e nella nascita di un suo movimento macroniano, un rassemblement centrista che raccolga anche pezzi di Forza Italia in un Nazareno 2.0. Perché non chiamarlo “Rinascimento” (da Renaissance, la lista del presidente francese per le europee)?

Di sicuro con la sua proposta Renzi fa un favore a se stesso, puntando a far fuori Zingaretti o a lanciare il suo soggetto, e a Macron (Gozi tra i primi entusiasti), ma non al Pd e all’Italia.

Come nel 2011, la crisi di governo va letta anche alla luce del contesto internazionale. Che però oggi è molto diverso da allora. Declassato il suo status politico ed economico, l’Italia oggi è tornata ad essere contesa, tra chi la vede un facile e gustoso bocconcino e chi una preziosa sponda. Da una parte Parigi mira a farne un suo protettorato – e diciamo che è sulla buona strada per riuscirvi. Il partito francese in Italia è molto ampio, variegato e influente. Va dal Quirinale a importanti pezzi di editoria e industria, passando naturalmente per il Pd renziano, ma non solo.

Pechino vede nell’Italia, con le sue difficoltà economiche, più che un partner d’affari il ventre molle attraverso il quale mettere entrambi i piedi nel Mediterraneo, accrescere la sua influenza anche politica sull’Europa e separarla dagli Stati Uniti per attrarla nella sua orbita. Anche il partito cinese è forte ma non è incompatibile con quello francese. Anzi, i due sono quasi sovrapponibili. Troviamo ancora il Colle, il Pd, Prodi, ma anche Di Maio e i 5Stelle, stranamente affascinati dalle promesse di investimenti infrastrutturali cinesi.

È davvero in gioco, forse per la prima volta dai tempi del cosiddetto Compromesso storico, la collocazione internazionale del nostro Paese, ma non come ci sentiamo raccontare banalmente perché Salvini e Savoini ci consegnerebbero nelle mani di Putin. I rapporti di amicizia tra Italia e Russia sono perfettamente compatibili con la nostra collocazione atlantica. Lo sono stati con Berlusconi e Prodi (e persino durante la Guerra Fredda).

I nostri alleati americani non vedono di buon occhio soprattutto il nostro flirt con Pechino, ma non si tratta solo delle questioni 5G e F-35, che pure preoccupano molto Washington. L’amministrazione Trump sembra aver puntato su Salvini per arginare il partito cinese, ma anche perché con un Governo Lega si rende conto di poter strappare l’Italia dalle mani di Parigi e Berlino. Dopo il Regno Unito – con Johnson a Downing Street e una hard Brexit all’orizzonte – e la Polonia, si aggiungerebbe un’altra spina nel fianco – stavolta un Paese fondatore dell’Ue e nel Sud Europa – al progetto di una Ue germanocentrica e post-atlantica che Trump intende contrastare. Dunque, più che dei rubli che sarebbero arrivati o potrebbero arrivare a Salvini, dovrebbero preoccuparsi dei dollari.

Se nelle prossime settimane potrebbe essere un innesco esterno a creare le condizioni per la “coalizione Ursula” – dalle procure, dai mercati, dall’Europa o chissà da chi e da dove – non è da escludere che arrivino messaggi e colpi di segno opposto.

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