La crisi agostana del governo Lega-M5S è stata giudicata da diverse parti come la più strana di tutte le morti premature dei vari governi della Repubblica, alle quali gli italiani si sono dovuti giocoforza abituare. La vulgata principale, alimentata ad arte da più di un fazioso, è sostanzialmente quella che parla di un Salvini irresponsabile e troppo sicuro di sé, il quale avrebbe aperto la crisi con la convinzione di poter capitalizzare subito il proprio consenso elettorale, ma sarebbe rimasto con un pugno di mosche in mano, non avendo avuto la capacità di prevedere delle manovre di palazzo, al contrario assai prevedibili. Partendo da una situazione favorevole, Matteo Salvini si sarebbe infilato da solo in un vicolo cieco.
Parlare ora con i se e con i ma non serve a molto, tuttavia, al di là delle strumentalizzazioni di tutti i detrattori del leader della Lega, fa un ragionamento sensato chi sostiene che la Lega avrebbe dovuto fare la voce grossa con l’alleato grillino subito dopo le Europee, ricordiamo, andate benissimo per il Carroccio e malissimo per il M5S. Allora, il morale di Di Maio e compagni era a terra e la sconfitta elettorale era così evidente da non dare il coraggio necessario, almeno nell’immediato, di intraprendere avventure con i sempre disponibili del Pd. Forse non si sarebbe giunti nemmeno ad una crisi di governo, perché i pentastellati avrebbero ingoiato, lì per lì, un rimpasto di ministri a loro sfavore. Non è detto però che non vi fossero incognite anche in quel particolare frangente politico. La disinvoltura del Partito democratico nel rimangiarsi puntualmente qualsiasi posizione, è cosa nota da tanti anni, e non sorprende più, ma ora scopriamo che la medesima audacia alberga anche presso il Movimento 5 Stelle, simbolo dell’antipolitica divenuto peggiore della politica tradizionale.
Pertanto la stessa operazione poltronara di oggi, che ha dato vita al Conte-bis, sarebbe probabilmente giunta anche dopo le elezioni europee. Ciò che è avvenuto in questi giorni, con un Giuseppe Conte più enigmatico che trasparente, appare come un qualcosa già studiato a tavolino da qualche tempo. Salvini si trovava in una situazione favorevole, ma dopo nemmeno un mese dall’apertura della crisi, i commentatori paiono aver dimenticato come dal M5S provenissero ultimamente soltanto dei no. A chi ha già resettato la propria memoria, ricordiamo i difficili confronti, interni alla maggioranza gialloverde, su Tav, autonomie e flat tax. Segnaliamo altresì la sedicente riforma della giustizia del ministro grillino Bonafede, costruita apposta per essere respinta dalla Lega. Sorvoliamo sulla politica estera, sulla Cina e sul Venezuela di Maduro. Insomma, per Salvini non era poi così semplice governare con i dipendenti della Casaleggio & Associati.
In ogni caso, siamo arrivati al governo giallorosso o per meglio dire, rosso-rosso. In merito al Conte-bis sono state fatte delle considerazioni condivisibili. È il governo delle poltrone e di coloro i quali temono di dover uscire dal Parlamento, in caso di elezioni anticipate. È il governo degli sconfitti, Pd e M5S, che compiono una manovra senz’altro consentita dal sistema parlamentare, ma lontana dalla decenza politica. È il governo auspicato dai burocrati Ue, se non addirittura eterodiretto da Merkel e Macron.
Vi è però una riflessione in più da fare circa l’ennesima involuzione politica subita da questo Paese. L’Italia dell’establishment, oggi più che mai in scarsa sintonia con l’Italia degli elettori, tende sempre più spesso ad isolare, contenere ed indebolire quei leader politici che hanno particolare carisma e la capacità di dialogare direttamente con l’opinione pubblica senza troppi intermediari. Tutto questo per prediligere invece classi dirigenti di seconde file, composte da più capi e capetti, nelle quali le responsabilità e le eventuali colpe sono di tutti e di nessuno. Tutti colpevoli, nessun colpevole! Questa abitudine di cercare di comprimere i leader più autonomi non nasce oggi. Bettino Craxi, pur essendo alla guida di un partito socialista, veniva dipinto come fascista e paragonato a Mussolini, senza contare poi la brutta fine patita dal segretario del Psi per mano giudiziaria. Silvio Berlusconi, quello degli anni migliori s’intende, era così odiato dai difensori dell’eterna palude italiana da essere messo persino sullo stesso piano del generale argentino Videla. Matteo Renzi si è adattato oggi a sguazzare anch’egli, come tanti altri protagonisti della politica nazionale, nelle acque melmose dello stagno italico, ma quando estrometteva con piglio decisionista la vecchia guardia di sinistra e macinava voti, non era poi così ben visto dagli “elevati”, tanto per usare un termine divenuto caro a Beppe Grillo. Troppo consenso per una persona sola e troppa voglia di fare.
È giunto quindi il turno del pericoloso e disumano Salvini, ovviamente fascista e razzista. Certo, l’elettorato è sempre più mobile, e può trascinare chiunque dalle stelle alle stalle. Si può inoltre parlare dei tanti errori di presunzione di Renzi e del fatto che Salvini, secondo molti, si sia messo fuori gioco da solo. Possiamo discutere di tutto, ma chi prima non sopportava la popolarità e l’attivismo del leader leghista, in queste ore non riesce a trattenere la gioia, seppur effimera molto probabilmente, per un governo in cui la Lega salviniana risulta assente. È sufficiente leggere o ascoltare in televisione i commentatori più in vista, per accorgersene. A scanso di equivoci, qui non c’è alcuna esaltazione dell’uomo forte oppure dell’autoritarismo putiniano, Dio ce ne scampi e liberi, ma si vuole semplicemente osservare come proprio la democrazia, per rendere un servizio efficace al cittadino, abbia bisogno dell’alternanza di leadership capaci di decidere e forti del consenso elettorale, e non una sorta di livellamento verso il basso, ovvero verso una mediocrità diffusa di accozzaglie dedite unicamente alla sopravvivenza politica e alla conservazione degli incarichi. Per l’ennesima volta stiamo purtroppo tornando a questo. Se il Conte 1 si reggeva principalmente su due leadership definite, Salvini e Di Maio, il Conte 2 appare invece come un pollaio abitato da troppi galli, a partire dallo stesso Giuseppe Conte. Il premier sembra volersi ritagliare un ruolo da leader politico, ma deve fare i conti rispettivamente con il nuovo protagonismo di Grillo, i desiderata di Casaleggio junior, Di Maio, che, oltre all’estero, continuerà a guardare alle vicende italiane, il mai domo Matteo Renzi ed infine Zingaretti, il quale non sarà un leone coraggioso, ma rimane pur sempre il segretario del Pd, vale a dire dell’altra gamba su cui si poggia il governo. Tutti questi signori, e magari altri ancora, non mancheranno di usare il governo rosso-rosso a loro vantaggio, ma se la barca del Conte-bis dovesse affondare rovinosamente, la responsabilità del disastro, stiamone certi, non avrà padri. Questi possono battere Capitan Schettino.