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La solita doppia morale e presunta superiorità antropologica della sinistra

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Se scattano arresti per mafia sotto un governo di sinistra è la famosa cultura della legalità, da Togliatti a Berlinguer a Minniti, che prende piede; se arrivano con un leghista, deve stare zitto e vergognarsi, non c’entra niente, il merito va a quelli di prima, al limite è complice (dei malacarne). Se muoiono a migliaia in mare sotto un governo di sinistra, la colpa è di chi non li vuole, dei capitalisti beceri e biechi; se affogano con il leghista, li ha uccisi lui, ne gode, se ne eccita. Piovono vignette come pietre, anatemi, maledizioni, chiamate a raccolta, la solita compagnia di giro, la solita compagnia della buona morte, anche in magliettina griffata, sempre in mezzo e sempre arrogante. Ma loro hanno il diritto-dovere di sproloquiare, travestito da impegno, gli altri no, debbono solo tacere. Detto da quelli che… “Chi tace è complice”, non si sa di cosa, come la rivista Rolling Stone che, tanto per cambiare, ha fatto la sua porca figura arruolando il circo equestre, tra cui, abusivamente, molti che si ribellano, da cui lo stridente scivolar d’unghie sui vetri del direttore. Epocale, ma questi non tengono imbarazzi e vanno avanti, ora rilanciano con una proposta omerica, salire sui barconi al posto dei migranti, per amor del frisson. C’era un film di Citto Maselli, “Lettera ad un giornale della sera” (che a sua volta riprendeva un episodio dell’immortale “Mondo Piccolo” di Guareschi”) che aveva già detto tutto. Nel 1970.

Dove non arriva la propaganda, fatta di doppia morale, di malafede, di stravolgimento sistematico, arriva la cronaca: a senso unico: magicamente i media si riempiono di episodi di caccia al nero, al migrante, al diverso. È facile: si pesca a strascico, qualcosa nella rete rimane sempre. Non si può sbagliare, perché le società dissociate covano una quota fisiologica di intolleranze, di fobie, di esaltati e di violenti, di fanatici razzisti; il trucco è cucire insieme gli episodi e parlare di “clima che è cambiato”, anche se questo è tanto vero quanto il cambiamento climatico, meteorologico. Cioè poco o niente. Ma adesso ci penserà qualche procuratore a regolare il traffico.

Nessuno, tranne Camilleri, vede i forni e i treni piombati all’orizzonte, ma il gioco è evocarli, per potersene preoccupare. È sempre così coi tolleranti, i restiamo umani: il conformismo non ammette deroghe, la dissonanza è inammissibile, pensare è provocatorio. Poi, si capisce, tutti esaltano il cane sciolto, la voce anarchica, l’irriverente: ma, sia ben chiaro, che tutto resti nel proprio orticello, o spiaggia di Capalbio, o condominio pariolino. Tutto il resto non si può sentire, si deve silenziare.

Ne abbiamo passate, viste di stagioni, ormai sappiamo che certe cose non cambiano. Il pregiudizio, anatomico, fisiologico, mentale, insomma il razzismo degli antirazzisti è una tara che non si può risolvere, anzitutto perché non la si vuole risolvere: si considera, anzi, in missione permanente; e la volgarità degli umanitari che attaccano con argomenti lombrosiani il dissidente non ha limiti e confini, come non ne hanno, di ridicolo, di scorrettezza, di pateticità, certe trovate costruite su una pietra angolare di rara scorrettezza: presumere, senza appello, che un dato politico, un certo ministro, un qualunque individuo percepito come avversario, voglia le stragi, l’olocausto, i campi di concentramento, le camere a gas, i camini che fumano. Senza possibilità di discussione, in modo apodittico, solo perché un carrierista l’ha deciso, con la solita masnada di benpensanti a curare la propaganda. E questo, non c’è bisogno di precisarlo, non ha niente a che vedere con la difesa d’ufficio di chi è andato a comandare; ce l’ha, invece, con la pubblica accusa contro un sistema “intellettuale”, “culturale”, e qui le virgolette sono un imperativo kantiano, che più grida alla dittatura e più la sogna, naturalmente sotto i propri vessilli. Ci siamo invecchiati dentro, in questa democrazia degli anticipi e del conformismo, siamo stanchi, non troviamo più ragioni per insistere, per dire la nostra. Per illuderci una volta di più.

In rete si trova di tutto, dai nessuno col ditino alzato che motteggiano urbi et orbi “se vuoi te lo spiego con calma”, a qualche temerario che dà sgangherate lezioni di cultura perché “leggo 20 libri l’anno”. Che volendo non è neanche il minimo sindacale, e senza neppure voler approfondire i titoli. Ma può uno che fa il trashografo dare dell’ignorante a chicchessia? Certo, chi si compiace del proprio analfabetismo di ritorno non ci fa una gran figura; ma di gran lunga peggiori gli spocchiosi, i cafoni che ostentano la libreria, i compulsatori di luoghi comuni formato pocket. Gente che, a metterle sotto il naso un libro serio, denso, scapperebbe atterrita, si butterebbe da un grattacielo. Dio, quanta presunzione in questo periodo! Gira una vignettina: “L’uomo nasce di destra. Se studia, diventa di sinistra”. Ma dove si è mai sentita una simile coglionata? Ma voi chi siete, chi vi credete di essere? L’avete mai sospettata, incontrata una destra liberale, libertaria, libertina? Vi siete mai confrontati con qualcosa al di fuori del vostro orticello bio? Se vi piace così tanto il gioco delle citazioni, del quale abusate, ebbene avete mai sentito parlare, per mero esempio, di Einaudi (Luigi, l’economista, non Ludovico, il pianista ecosolidale), Bastiat (non Basquiat il graffitaro), e una biblioteca infinita di testi, di autori misconosciuti da chi si va sformando su qualche disegnino calcareo e gli sproloqui di Eddie Vedder?

La miseria hipster che si convince d’esser colta, si complimenta a vicenda, ostenta disprezzo razzista verso chi dissente, è dura da mandar giù. Vanno di grana grossa, non sospettano le sfumature all’interno della sinistra come della destra, non hanno mai letto un libro di politologia, di storia politica ignorano tutto, di sistemi giuridici neanche a parlarne, sui regimi tirano via, utilizzano i termini con approssimazione agghiacciante, passano il tempo come groupie di questo e quel cantante. Sono puttane di ringhiera, però giudicano. Semplificano, e giudicano. Balbettano, e giudicano. Senza appello, nel modo più carognesco e più scorretto possibile. Non vedono oltre l’ego (eventualmente anche in confezione senza apostrofo: la scatola delle costruzioni per bambini), e giudicano. Da veri credenti, odiano l’eretico e si alimentano di frustrazioni. Nell’approccio inconsapevolmente engelsiano, la quantità che oltre un certo limite assume valore qualitativo, nell’accumulo di sottocultura pop, nella squisita sensibilità firmaiola e gruppettara, meritano un affettuoso pensiero di Guareschi: “Collettivismo significa umiliazione dei migliori ed esaltazione dei peggiori. Il collettivismo è per i vili che vogliono sottrarsi alla responsabilità individuale per rifugiarsi nell’ombra della irresponsabilità collettiva”. Fa il paio con quest’altra considerazione, sul conformismo, a cura di Eric Hoffer: “Di norma, i non-conformisti viaggiano in gruppo. È raro trovare un non-conformista da solo. E guai a chi, facendo parte di un gruppo di non-conformisti, osi non conformarsi alla non-conformità”. Se non ci avete capito niente, cari presuntuosi, non fatevelo spiegare. A proposito. Un’ultima carezza, “Come si riconosce un comunista? È uno che ha letto Marx e Lenin? E come si riconosce un anticomunista? È uno che ha capito Marx e Lenin”. Firmato (orrore!): Ronald Reagan.

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