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Le feroci stragi di al-Shabaab: chi sono e come operano i terroristi islamici che hanno convertito Silvia Romano

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All’alba del 2 aprile 2015 un commando di jihadisti faceva irruzione sparando all’impazzata nel campus universitario di Garissa, una città del Kenya orientale, e si impadroniva di una parte degli edifici prendendo in ostaggio tutti gli studenti. Il loro portavoce, Ali Mohamud Tage, dopo qualche ora informava la Bbc che i miliziani stavano separando gli studenti cristiani da quelli musulmani con l’intenzione di tenere in ostaggio i primi e lasciar andare i secondi. “I kenyani – aveva detto – saranno scioccati quando alla fine entreranno nell’Università di Garissa”. Poco dopo uno studente, Collins Wetangula, che era riuscito a scappare gettandosi da una finestra, spiegava il significato delle parole del jihadista:

“Quando i terroristi sono entrati nel mio ostello li ho sentiti aprire tutte le porte una dopo l’altra e chiedere alla gente nascosta nelle stanze se erano musulmani o cristiani. I cristiani li hanno uccisi sul posto. A ogni colpo di fucile ho pensato che stavo per morire anch’io. Nessuno gridava, per paura di far sapere dove si trovava”.

Altri studenti scampati alla strage avrebbero in seguito confermato il racconto del loro compagno. Quando molte ore dopo le forze dell’ordine sono riuscite a riprendere il controllo del campus avevano trovato cadaveri dappertutto. I jihadisti avevano ucciso 147 studenti. Tra le vittime c’erano alcuni musulmani, colpiti quando insieme ad altri studenti, sentendo i primi spari, erano scappati in direzione dell’uscita del campus finendo sotto tiro. Tutti gli altri, ragazzi e ragazze, erano cristiani. 

La strage di Garissa è stata compiuta dagli al-Shabaab, i jihadisti ai quali Silvia Romano è stata consegnata dopo il sequestro e che l’hanno tenuta in ostaggio fino al 10 aprile. Il gruppo si è costituito nel 2006, germinando dai clan dell’Unione delle Corti islamiche. Da allora combatte contro il governo somalo per imporre nel Paese la shari’a, la legge islamica. È legato ad al Qaeda, formalmente è una sua cellula dal 2012. Per anni ha controllato la capitale Mogadiscio, alcune altre città ed estesi territori nonostante la presenza di truppe straniere in difesa del governo somalo, tra cui quelle della Amisom, una missione dell’Unione Africana (guidata da un generale africano e composta da truppe africane però pagate dall’Unione europea). Dal 2011 è stato costretto a ritirarsi dai grandi centri urbani, ma governa tuttora le regioni a sud della capitale e riesce a mettere a segno molti attentati a Mogadiscio, mirando a basi militari, edifici governativi, alberghi e ristoranti frequentati da politici, diplomatici stranieri e militari. Nell’ottobre 2017 ha realizzato l’attentato più grave in Somalia e uno tra i più gravi nel mondo. L’esplosione di due automezzi con centinaia di chilogrammi di esplosivo vicino a un complesso che ospitava sedi di agenzie e truppe internazionali ha ucciso 587 persone e ne ha ferite 316.

In Kenya quasi sempre, come a Garissa, al-Shabaab prende di mira i cristiani: prima di Garissa lo ha fatto al centro commerciale Westgate Mall di Nairobi nel 2013 (67 morti, tutti “infedeli” individuati interrogando sull’Islam), lo fa nei villaggi vicini al confine tra Kenya e Somalia (dove basta l’abbigliamento per capire se una persona è musulmana o no) e fermando i pullman di linea diretti verso le città di frontiera. Dal 2008 in Kenya conta su una cellula chiamata al-Hira, che gli Stati Uniti hanno aggiunto all’elenco dei gruppi terroristici. Il leader ideologico della cellula, Aboud Rogo Mohammed, è stato ucciso nel 2012, ma continua a ispirare i jihadisti di lingua swahili dell’Africa orientale. Dopo la sua morte, per sottrarsi alla cattura in Kenya, una parte dei suoi militanti si sono diretti a sud, lungo la costa, trasferendosi in Tanzania dove hanno costituito una base nella città di Kibiti. Poi sembra che nel 2015 si siano spinti ancora più a sud e siano penetrati nel nord del Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado, a maggioranza musulmana, unendosi ai jihadisti locali che si chiamano anch’essi al-Shabaab (giovani). Di questi jihadisti in realtà non si sa molto, potrebbero invece essersi uniti allo Stato Islamico della provincia dell’Africa centrale. Si stima che siano ormai centinaia, forse migliaia, divisi in cellule di 10-30 unità. Gli attacchi a villaggi, strutture turistiche e persino città si sono moltiplicati a partire dal 2017 provocando centinaia di morti e decine di migliaia di profughi.

Silvia Romano è il primo straniero rapito da al-Shabaab in Kenya dal 2011, anno in cui sono state sequestrate due turiste – Marie Dedieu, cittadina francese morta in Somalia, Judith Tebbutt, cittadina britannica il cui marito era stato ucciso durante il rapimento, liberata nel marzo del 2012 – e due impiegate spagnole di Medici senza frontiere, Montserrat Serra Ridao e Blanca Thiébaut, che lavoravano nel campo profughi di Dadaab, liberate nel 2013. Nell’aprile del 2019 al-Shabaab ha sequestrato in Kenya due medici cubani, parte di un gruppo di 100 medici arrivati nel Paese nel 2018 per potenziare il sistema sanitario nazionale. Sono tuttora nelle mani dei jihadisti insieme a una infermiera tedesca, del Comitato internazionale della Croce Rossa, rapita nel maggio del 2018 a Mogadiscio. Il sequestro di persona è uno dei modi con cui i jihadisti africani cercano di autofinanziarsi. Tutti hanno legami e rapporti di “affari” con le organizzazioni criminali che praticano traffico di armi, traffico di droga, contrabbando di materie prime pregiate, contrabbando e tratta di emigranti irregolari e, appunto, sequestri a scopo di estorsione. Gli al-Shabaab si autofinanziano soprattutto con il khat, una droga locale di cui controllano il traffico, con il contrabbando di zucchero, carbone e altri prodotti e con il bracconaggio. Qualche anno fa si diceva che circa il 40 per cento delle loro risorse derivasse dal traffico di avorio.

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