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L’emergenza richiede sacrifici, ma la guardia deve rimanere alta: la libertà non è mai scontata

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Una versione romanzata del rugby racconta che in questo sport le decisioni dell’arbitro siano accettate senza protestare. La realtà del campo è che si accettano, ma si possono anche discutere e analizzare per migliorarle o per evitare che si ripetano gli errori d’interpretazioni delle regole. Da quando in Italia è iniziata l’emergenza sanitaria per il Covid-19, si sono susseguiti decreti varati dalla presidenza del Consiglio dei ministri, senza un vero e proprio dibattito parlamentare, che hanno inciso sulle nostre libertà individuali: misure necessarie e infatti accettate dalla maggioranza della popolazione nonostante una gestione della comunicazione imperfetta e l’ottusità iniziale nel voler ridimensionare la gravità della situazione, augurandosi che una volta isolate le zone rosse del Basso lodigiano e nel Padovano si potesse tornare rapidamente alla normalità. Non è andata così.

Regole che vanno rispettate, ma sulle quali però si deve anche discutere, anche con il solo obiettivo di tenere alta l’attenzione nei confronti di quelle libertà ormai fortemente limitate perché rimangano tutelate una volta che questa fase sarà superata – presto o tardi purtroppo non siamo in grado di prevederlo e dunque sussiste un motivo ancor più valido per vigilare sulle misure adottate. Si resta in casa, ci si muove solo per lo stretto necessario e si punta il dito contro chi, approfittando di interpretazioni ondivaghe dei decreti firmati da Giuseppe Conte, esce all’aria aperta per correre o per fare una passeggiata con il rischio concreto di dare origini ad assembramenti. Il guaio – oltre che nell’ostinazione a tratti incomprensibile di chi proprio non può fare a meno di mettersi a fare attività fisica all’aperto in un clima come quello che vediamo attorno a noi – è proprio nella fallibilità dello Stato nell’assumere decisioni ferme e rigorose sin dall’inizio, finendo per rincorrere se stesso con cadenza settimanale, emanando nuovi provvedimenti sempre più restrittivi, spesso con il placet di uomini di diritto e scienza: sacrificare i diritti dei singoli per un bene comune superiore. 

In uno stato di diritto sarebbe segno di maturità se fosse invece premiata la responsabilità di ciascun componente della comunità a cui esso appartiene, se lo Stato fosse visto come l’insieme dei singoli piuttosto che come un impianto organizzativo sempre più ingarbugliato e invasivo. In Italia e in molte nazioni occidentali il problema si pone da tempo e ha contribuito a rafforzare un circolo perverso per cui è lo Stato ad attribuire tramite disposizioni e leggi i diritti e le sfere di libertà, svuotando i cittadini del senso di responsabilità che li porterebbe invece ad adottare misure necessarie a seconda delle situazioni anticipando lo stesso legislatore, evitando in questo modo di scatenare una caccia all’uomo come accaduto con i cosiddetti runner

L’ex primo ministro britannico David Cameron, all’inizio del suo primo mandato governativo, tentò di avviare il progetto di “Big Society”, purtroppo con modalità confuse e senza fare breccia (già il fatto che un leader conservatore si affidasse all’aggettivo “big”, grande, e non “small”, snello, fece storcere ai più il naso). Eppure l’idea di fondo è più che mai valida tuttora: dove non può arrivare lo Stato, ci sono i cittadini che sopperiscono alla sua mancanza, con spirito d’iniziativa individuale e contribuendo così a delimitare il campo d’azione legislativo. Uno scenario difficile da immaginare e costruire in quei Paesi dove lo Stato fa e disfa in continuazione, proprio come sta accadendo da un mese a questa parte. 

La guardia insomma va tenuta alta: raramente si è assistito a una cessione di quote di potere da parte delle istituzioni. Nelle ultime settimane la presidenza del Consiglio ha aumentato di gran misura la sua, senza che gli altri rami previsti dalla Costituzione levassero obiezioni: al momento viviamo uno stato d’animo surreale e spaventato e quindi possiamo anche accettare le misure restringenti, cacciando giù il boccone amaro, ma la speranza è che a emergenza finita se ne discuta senza esitazioni e retorica per assicurarci che qualcuno non ci abbia preso gusto. La libertà non può mai essere data per scontata. 

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