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Liberale e anticomunista. Paola Sacchi ricorda Gianni Marchesini

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Domenica 8 marzo, festa della donna, senza mimose, in piena emergenza coronavirus. Stavo a Roma, mi son detta saggiamente: non muoverti. Proprio mentre pensavo al che fare, senza che io lo sapessi, Gianni Marchesini era già morto. Io ho però a Orvieto la mia casa nativa, dei miei genitori che da tanto, troppo tempo, vista l’età non molto avanzata quando mi hanno lasciata, non ci sono più. Volevo andare a portare un fiore sulla tomba di mio padre, per quello che sarebbe stato il suo compleanno l’11 marzo e tra breve quello di mia madre. Poi c’erano anche le Suppletive in Umbria, unica news di politica-politicante della giornata, sebbene io, residente a Roma da una vita, in Umbria non voti. Necessità personali, curiosità del “vecchio” cronista nominato a 36 anni inviato speciale di politica, che iniziò la professione da ragazzina di Orvieto proprio in Umbria. Ma, soprattutto, qualcosa di indecifrabile mi ha detto, come un sesto senso dell’anima: vai, devi esserci. Il cronista per “deformazione”-passione professionale fa il giro di Via Duomo, Corso Cavour. Deserte quasi, ma capisce che l’affluenza umbra ai seggi a sera è aumentata.

Una ragazza in Via Duomo spettrale, hotel vuoti, per fortuna il bar omonimo è aperto, dice a un’amica:

“Aho questi del governo ci dicevano di non uscire di casa, ma qui ci hanno costretti a votare. Ok, ma che ci volevano fottere? Magari andavano in pochi, troppo pochi e loro si riprendevano il senatore rosso. E invece tiè, ci sono andata, ho votato la neosenatrice Valeria Alessandrini (Lega, candidata di centrodestra ndr) e Governo Conte, tiè”.

Capisco dal vivo, dalla cronaca di elettori in carne e ossa, che, seppur pochi eroici votanti (quasi 14 per cento, un miracolo) Alessandrini ce l’ha già fatta, visto che gli umbri la hanno comprensibilmente vissuta come una sfida al voto del cappotto leghista di Lega con centrodestra di ottobre. Ma subito dopo mi telefona quasi piangente il mio amico imprenditore Carlo Perali, uno dei berlusconiani doc di Orvieto, uno degli artefici del crollo una decina di anni fa della seconda roccaforte rossa dopo Terni, dopo 60 anni, in Umbria, con l’avvento della giunta del top manager Toni Concina, profugo dalmata, fatto fuori alla scadenza del primo e unico mandato con metodi da  “armata rossa” e “disinformatia”, come lui stesso a me per Panorama denunciò. Fu “vendicato” il maggio scorso dalla sua ex vice allora trentenne Roberta Tardani, primo sindaco donna di Orvieto, Forza Italia, a capo di una sua lista civica, ma soprattutto a decisiva trazione Lega che qui, viste le percentuali – alle Europee soprattutto con quasi il 40 per cento – ha sfondato anche nella Ztl.

Gli chiedo da cronista non di primo pelo: “Carlo, dammi il polso della situazione, vero che la percentuale seppur bassa dei votanti sta aumentando”. Carlo scoppia quasi in lacrime: “Guarda, meglio te lo dica io: Gianni (Marchesini, ndr) è morto. L’ho saputo poco fa, è morto oggi all’ospedale di Terni. Io non so se vado a votare, io, mia moglie Lilly stiamo a pezzi”. Io basita, perché Gianni era l’amico di una vita, mia, nostra, di Orvieto, riprendo fiato e gli dico: “Ecco, allora vai a maggior ragione a votare per la sostituta della neopresidente Donatella Tesei, perché Gianni avrebbe fatto così, ma non lo può più fare”. Questo era il nostro amico  Gianni Marchesini, giornalista, scrittore, noto a livello nazionale per esser il fratello di Anna, ovvero “la più grande comicarola degli ultimi 30 anni”, secondo Federico Fellini. Scomparsa a 62 anni. Le opinioni politiche molto nette di suo fratello Gianni, sia chiaro, nulla hanno a che fare con Lei, il  “genio” di casa, che di politica non si è mai occupata, se non con la sua satira e quella dell’insuperabile Trio con Massimo Lopez e Tullio Solenghi, amici di una vita anche di Gianni, sempre anche loro lontani dalla politica se non quella vista con l’arte della satira.

Massimo e Tullio si strinsero a Gianni tra la fine di luglio e l’inizio di agosto 2016, il giorno dei funerali a Orvieto, nella Chiesa di Sant’Andrea, di Anna. Gianni, a differenza di Anna, la strada per Roma – così vicina, solo un’ora casello-casello sull’A1, ma anche così lontana, per i profumi di begonie, colori dei gerani sui balconi, per i sampietrini che fanno tutt’uno con il Corso Cavour, di cui è lastricato il Caffè Montanucci, suo vero ufficio – non la volle prender mai. Anna la prese, invece, come me e tanti di noi a 19 anni, terminato il Liceo Filippo Antonio Gualterio. Anna lo avrebbe chiamato “Il signorotto del luogo”, come nel celebre sketch della parodia dei Promessi Sposi “Bella Figheira”, l’esilarante, improbabile fidanzata di Don Rodrigo, “ricco e prepotente signorotto (appunto ndr) del luogo”. Il marchese Gualterio, il cui ultimo erede, il marchesino Luigi, era compagno di liceo mio e di Anna, invece fu senatore e ministro del Regno, personaggio importante per l’unità d’Italia. Noi ce ne andammo a Roma dopo gli esami. Ma Gianni, un po’ più grande, nella stessa nostra scuola, preferì restare attaccato al tufo della Rupe. Ne diventò cultore di dialetto e abitudini, memoria storica anche di uno slang che si sta perdendo. Un giornalista e scrittore coi fiocchi del territorio, rimasto cronista e testimone di altri tempi. Custode discreto ed elegante, fino alla morte, della celebre, adorata sorella, Gianni era comunque un Marchesini di suo. Ha scritto tanti libri, con Zorro edizioni la sua piccola casa editrice dal nome che era tutto un programma. Tutti su Orvieto, la sua gens, il suo humor, quello davvero ispiratore di Anna. Sulla “popolana feroce”, la celebre Signora Flora, vicina di casa, Anna fece persino la sua prima tesi, bocciata. Gianni ha scritto tanti libri, in uno di questi, sulla scia o come forse anticipatore della presa in giro dissacratoria delle telenovelas anni ’80 del Trio, scrisse del fenomeno Shaila. Ovvero il celebre nome da telenovelas che nelle campagne, nelle periferie di Orvieto – il centro storico è stato sempre  a destra – allora rosse spopolava. Così chiamarono le figlie. Da Tania, Sonia, Katiuscia, nomi russi in omaggio all’Urss, all’improbabile “Ah Shaila…” rivolto alle figlie del gommista, del camionista, dell’ex mezzadro.

Forse, Gianni è stato uno dei migliori precursori, analisti politici e del costume delle ragioni dei fenomeni alla base del cambio, con radici un po’ più lontane di quelle che vengono descritte oggi, che ha portato l’Umbria a diventare da Regione rossa a Regione di centrodestra, a trazione decisiva della Lega con le sfumature azzurre di Forza Italia e un importante peso di Fratelli d’Italia. Gianni è rimasto fino alla fine un berlusconiano di ferro, ma perché le sue idee da “liberale vero”, come si è presentato nella sua pagina Facebook, coincidevano appieno con quelle del Cav. Gianni non era né poteva essere per sua natura un militante di alcunché, ma da “individualista”, come ha sempre definito lui stesso e la sua famiglia, era “militante” delle sue idee. Anticomunista al cubo, l’ultima volta che abbiamo pranzato insieme al Caffè Montanucci, con sua moglie, la giovane e carinissima Laura, mi disse, scolpendo le parole :”Disinformatia, questi sono capaci di tutto, guarda che stanno facendo a Matteo Salvini e Lucia Borgonzoni in Emilia! Questi vogliono farti apparire per quello che non sei, ovvero per quello che vorrebbero tu fossi. Sono tremendi, scientifici, pericolosi”. Gianni giocava con le parole, fino a farti sbellicare dalle risate, ma sui metodi da “disinformatia” si faceva serio, quasi chirurgico.

Atlantico quotidiano ha riportato in un mio recente articolo l’ultima  citazione di Gianni e la sua denuncia sui giornali locali del trattamento da “disinformatia” e “armata rossa” contro il primo e unico mandato a Orvieto di Toni Concina, l’ex top manager che per primo nella città della Rupe, secondo in Umbria, sfondò il muro di 60 anni di potere rosso. L’ultima volta che ho parlato al telefono con Gianni è stata in occasione di quell’articolo. Mi disse: “Ho dolori alla schiena, mi stanno facendo massaggi. Ma grazie, Paole’, dillo anche a Capezzone”.

Faceva battute argute dalla “ironia irresistibile, aveva un grande spessore culturale, ma era soprattutto un amico nostro”, così lo ha ricordato la giovane sindaco di centrodestra, prima donna alla guida di Orvieto, Roberta Tardani. La Nazione Qn, a firma di Claudio Lattanzi, i maggiori giornali online, da Orvietosì.it a Orvietonews.it con Davide Pompei scrivono: “Ora Orvieto è più sola”. Ma io non credo solo Orvieto. Gianni era anche nazionale, seppur ironizzò con me nell’unica intervista esclusiva in morte di Anna, di cui mi fece dono: “Paole’ sì so’ nazionale da esportazione, come le sigarette”. Ha scritto per “Il Predellino” di Giorgio Stracquadanio, per Panorama del gruppo Mondadori. Dove sulla versione web fece, anche da me sollecitato, una documentata denuncia di Corso Cavour e Via Duomo di Orvieto invasi anni fa da questuanti e zingari, alcuni anche autori di furti nel salotto-scrigno di Orvieto. Dettero a lui e a me, allora giornalista politica articolo 1 di Panorama, dei “razzisti”. Cosa che né lui né io siamo mai stati. Ma, viste soprattutto le giuste petizioni dei commercianti, la giovane sindaco “Roberta” tra le prime cose del suo mandato ha emesso un’ordinanza per restituire decoro al salotto, biglietto da visita per il turismo internazionale della città. Tanto più che anche in seguito all’articolo di Gianni si scoprì che dietro il fenomeno c’erano organizzazioni di malaffare. L’ultima battuta che Gianni ha affidato a Facebook con bonaria ironia la racconta Lattanzi su La Nazione: “Non c’è dubbio che il coronavirus influenzi fortemente la società”. Caro Gianni, non morto di questo, detto all’orvietana, “ce credo”.

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