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L’Italia che non si inginocchia: schiaffo degli Azzurri al progressismo

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Fans celebrate the Italian national football team in an open-top coach in via del Corso to celebrate the Italian national football team who returned from London after winning the UEFA EURO 2020 championship, Rome, Italy, 12 July 2021. ANSA/ANGELO CARCONI

Ha destato notevole attenzione la risposta del portavoce della Federazione, Paolo Corbi, in merito alla scelta di sei calciatori della nazionale italiana di non inginocchiarsi “contro il razzismo” – o piuttosto, in omaggio a Black Lives Matter – nella partita contro il Galles: “C’è stata un po’ di confusione. Ma per il futuro la squadra si confronterà al suo interno e prenderà una decisione univoca che sarà messa in pratica da tutti”. Insomma: o tutti in piedi o tutti in ginocchio, alla faccia della libertà di scelta dei singoli.

Alla vigilia degli ottavi di finale contro l’Austria, gli Azzurri hanno preso la decisione definitiva: i giocatori rimarranno in piedi. 

Nonostante la vera e propria intimazione del segretario del Pd Enrico Letta (devono inginocchiarsi) e dell’ex juventino Claudio Marchisio a favore del movimento Black Lives Matter – che come ha spiegato egregiamente Max Del Papa, sempre sulle colonne di Atlantico, è tutto fuorché un movimento pacifico e apolitico – la nazionale italiana lancia un segnale ai progressisti: non inginocchiarsi non significa non combattere il razzismo.

Di questo avviso è anche l’ex all’allenatore di Juventus, Milan, Real Madrid, PSG e Bayern Monaco Carlo Ancelotti: “Non è fondamentale inginocchiarsi per qualche secondo. Non si risolve la questione. Il tema vero e educare le nuove generazioni alla questione del razzismo”. E ancora, Angelo Ogbonna, ex juventino ora in forza al West Ham, spiega che “nello sport, in qualsiasi tipo di sport, c’è uguaglianza. Quando c’è una palla di mezzo non si va a guardare il colore del compagno di squadra o dell’avversario.”

La polemica sulle genuflessioni parziali era stata preceduta anche dalle critiche nei confronti della nazionale di Mancini per l’assenza tra i convocati di atleti di colore. Non bastano le presenze di tre oriundi (Toloi, Emerson e Jorginho), troppo bianchi per soddisfare i dettami dello “sportivamente corretto”.

Il tragico paradosso del progressismo: si erge a paladino delle minoranze etniche, discriminando le maggioranze proprio sulla base del loro colore della pelle o del loro orientamento sessuale. Perciò, se un calciatore vuole esprimere sostegno alla battaglia contro il razzismo, ha un’unica scelta: inginocchiarsi col pugno chiuso o, per il capitano, indossare la fascia color arcobaleno, come nel caso del portiere tedesco Manuel Neuer.

Tutti coloro che rimangono fuori da questa cerchia dogmatica devono essere disprezzati, emarginati e trattati come “deplorables”. In altri tempi si sarebbe detto: “O sei con noi o sei contro di noi”. Eppure i fascisti sono sempre gli altri…

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