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Movimento 5 Stelle in rotta, maggioranza in bilico al Senato: la Lega tenta di approfittarne

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Non si tratterebbe affatto del caso isolato di quattro senatori che votano contro il loro stesso MoVimento 5S. E neppure dell’ovvietà alla Max Catalano del “si vedrà nei prossimi mesi”. Però, appunto, si vedrà. Perché quello al Senato sul MES (il Meccanismo Europeo di Stabilità) si può configurare come il primo segno di una vera e propria strategia leghista. Ovvero, “smazzarli”, conquistare sempre più soldati di un esercito ormai allo sbando, un vero 8 settembre pentastellato, fino a rendere il Senato davvero ingovernabile per la maggioranza di governo. Non è questione di feeling con l’ex amico e alleato-contraente Luigi Di Maio, di cui i leghisti farebbero volentieri molto a meno, perché ritenuto ormai “renzianamente inaffidabile”, in settori dei piani alti di Via Bellerio. Ma è più o meno la stessa strategia che mesi fa aveva reso pubblica, forse un po’ troppo pubblica, il Cav. Non si tratta di giochi di Palazzo ma di un esercito allo sbando che starebbe bussando alla porta di Matteo Salvini.

Hanno tutti i media mainstream (grandi ma anche alcuni più piccoli, a corollario) sempre parlato di Opa di Salvini su Forza Italia. Ma moltissimi di quelli che hanno bussato alla porta di Via Bellerio sembra siano stati respinti. La Lega, per suo dna, non vuole innanzitutto chi non porta voti ma non vuole anche chi, forte anche di un ruolo presunto, accampi pretese. Piaccia o no, è questo da sempre il pragmatico ragionamento leghista. Ma i 5 Stelle, esercito allo sbando, i voti intanto li hanno per mettere in seria difficoltà al Senato, magari fino a farla cadere, (tanto più dopo un’eventuale vittoria di Lucia Borgonzoni nella roccaforte rossa madre Emilia-Romagna) la maggioranza di governo, già precaria a Palazzo Madama.

Se poi così andranno davvero le cose, solo il mago Otelma, per dire, lo sa. Ma la strategia in ogni caso proseguirà. C’era un vecchio motto di Bossi: “La Lega ha bisogno di tutti e di nessuno. E, comunque, i leghisti sono tutto tranne che scemi”. Salvini ha il grande merito di aver reso la Lega nazionale, di averla portata a percentuali allora inimmaginabili. Dalla piccola e pugnace Lega Nord al primo partito nazionale stando alle Europee e finora alle regionali. Ma qualcosa del maestro, al quale fece dedicare nel febbraio scorso, solo due sere prima che si riammalasse (incredibili coincidenze), un minuto e mezzo di applausi dai suoi parlamentari, in lui inevitabilmente è rimasto. In ogni caso, forse anche un po’ per scaramanzia ma soprattutto per realismo politico, ai piani alti della Lega sono convinti che “questi non schioderanno fino al 2022 (elezione Capo dello Stato ndr) se non fino al 2023. Men che meno prima della prossima primavera di nomine pubbliche”. Il punto però è che “ci potrebbero arrivare sfiancati da numeri sempre più in bilico al Senato. Ricordate la storia di Prodi 2?”. In politica c’è sempre l’imponderabile.

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