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Non hanno proposte, ma pretese: la banalità delle Sardine, partigiani senza fascismo

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Un insieme di banalità presentate con grande enfasi retorica. Si potrebbe riassumere così la manifestazione delle sardine di sabato scorso a Roma. Nonostante un’enorme mobilitazione, da Piazza San Giovanni non sono emerse proposte ma solo pretese. Confuse, pasticciate e infarcite di banalità. La banalità. Forse è questa la dimensione propria delle sardine. Che, certo, manifestano, sono attive e si impegnano ma non riescono ad esprimere un’idea politica. Le loro istanze sono un miscuglio tra il culto acritico dell’immigrazione, l’antifascismo di maniera e l’antisovranismo. Tutte saldate nell’antisalvinismo, che identifica Salvini con la “bestia populista” da combattere. A proposito dell’odio e della violenza verbale…

Ad ascoltare Mattia Santori si rimane sorpresi dalla pochezza culturale e dalle banalità proposte. Prendiamo le sei “pretese” avanzate sabato:

1) Fine della campagna elettorale permanente;

2) Comunicazione esclusivamente istituzionale per chi ricopre incarichi ministeriali;

3) Trasparenza comunicativa ed economica per i politici che usano i social media;

4) Protezione e difesa della verità da parte del mondo dell’informazione, che si deve impegnare nella ricostruzione fedele dei fatti;

5) Esclusione della violenza dai toni e dai contenuti della politica, con la conseguente equiparazione della violenza verbale a quella fisica;

6) Abolizione dei decreti sicurezza.

Le pretese sul mondo dei social media non dicono nulla di davvero rilevante. Sono, a ben vedere, dei tentativi maldestri di limitare la libertà di espressione. Quasi che comunicare tramite i social sia di per sé un fenomeno negativo, da colpire per restituire alla politica la sua dignità. L’equiparazione della violenza verbale a quella fisica, così come presentata, rappresenta invece una pretesa grezza, perché non definisce la violenza verbale. Secondo un’interpretazione di ampio respiro, anche l’espressione “bestia populista” potrebbe valere una denuncia. Lo stesso Santori potrebbe addirittura venire incriminato. L’abolizione del decreto sicurezza si fonda infine sul culto del migrantismo che vede l’immigrazione solamente come un’occasione e un’opportunità e mai come un potenziale rischio. È figlio dell’allofilia descritta magistralmente da Eugenio Capozzi nel suo volume sul politicamente corretto.

A queste pretese così deboli e banali, difficile dimostrare che i social media siano la causa dell’imbarbarimento della politica italiana, corrisponde un’incredibile retorica che esalta superficialmente la bellezza della democrazia, la partecipazione e la politica con la P maiuscola. Ma che, se sfrondata dai suoi artifici, può essere riconducibile ancora una volta alla lotta ai sovranisti. Autocelebrata come una “resistenza” contro il mare dell’indifferenza che vede le sardine rappresentarsi come i partigiani del 2020, che combattono contro il fascismo eterno di Salvini e della Meloni. Una resistenza totalmente slegata dalla lotta antifascista svoltasi tra il 1943 e il 1945, ma che serve per delegittimare l’avversario, estromettendolo dall’arena democratica. Un’arena la cui legittimità viene definita solo dalle sardine, dalla loro bellezza, dalle loro manifestazioni e dalla loro partecipazione che è bene, amore, gioia e pace. Che è risposta all’odio del campo avversario, come emerge da una rappresentazione polarizzante costantemente alimentata da buona parte dei mainstream media.

Pur se esaltate da una narrazione simpatetica, le sardine rimangono prive di una visione politica. Potranno riempire le piazze, potranno fare altri flash mob ed essere celebrate, ma senza una proposta politica seria non andranno certo lontano.

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