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Ora si aggrappano alla questione scozzese per gufare Johnson e Uk, ma dati alla mano il successo SNP è dovuto alla fuga da Corbyn

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No, non esiste alcuna questione scozzese: o meglio, non esiste in misura maggiore a quanto non esistesse già prima della General Election di giovedì scorso. Non è una fiammata indipendentista ad aver portato al successo lo SNP, ma la fuga degli elettori laburisti da Corbyn.

Nelle analisi più affrettate (e interessate: bisognerà pur trovare qualcosa per dire che Johnson non ha vinto nettamente, capiteli) si può leggere che tale risultato sia da interpretare come un ritorno di fiamma del sentimento nazionale scozzese. È vero che l’altro vincitore politico delle elezioni britanniche, oltre al successo stratosferico di BoJo, è lo Scottish National Party di Nicola Sturgeon, ma questa vittoria non è legata a un improvviso e ritrovato vigore della causa indipendentista scozzese, tra l’altro ridimensionata dopo il fallito referendum del 2014 per separarsi dal Regno Unito (i favorevoli furono il 45 per cento).

Guardiamo i numeri di queste elezioni: rispetto al 2017, gli indipendentisti scozzesi portano a casa circa 270mila voti e 13 seggi in più al Parlamento di Westminster: lo SNP ha vinto 48 dei 59 seggi scozzesi e ha totalizzato circa 1 milione e 240 mila voti, pari al 3,8 per cento dei voti totali; nel 2017, i voti erano stati circa 980 mila e i seggi 35. Senza alcun dubbio, quello del 2019 è uno dei migliori risultati nella storia dello SNP: soltanto nel 2015 il Partito Nazionale Scozzese fece un risultato migliore, con quasi un milione e mezzo di voti e 56 seggi conquistati. Fra quel risultato nel 2015 e l’esito di giovedì notte però è cambiato un mondo e soprattutto sono molto diverse le cause: se nel 2015 era infatti passato solo qualche mese dal referendum sull’indipendenza, ragion per cui la successiva tornata elettorale rappresentò una sorta di “riscatto”, il risultato elettorale di ieri non è riconducibile a temi “identitari” scozzesi.

La prima reazione di Nicola Sturgeon, leader dello SNP e premier scozzese, è stata quella di affermare che Johnson non avrebbe il mandato della Scozia per uscire dall’Ue e pertanto chiede di permettere agli scozzesi di scegliere something of different, qualcosa di diverso, per loro: tradotto dal politichese, vorrebbe un secondo referendum, sostenendo di fatto che il voto per lo SNP sia una richiesta di indipendenza dal Regno Unito per restare nell’Unione europea, esattamente ciò che sostengono le frettolose analisi di cui sopra. Non è esattamente così: contrariamente a quanto sostiene Nicola Sturgeon, e similmente a movimenti elettorali analoghi verificatisi a Londra (a beneficio dei LibDem) o nel nord-est dell’Inghilterra (beneficiario addirittura il Brexit Party di Farage), è semplicemente successo che molti elettori laburisti, leavers o remainers che fossero, non si sono fidati di Corbyn e si sono buttati su altro.

Analizziamo i risultati di qualche collegio: nel collegio di City of London and Westminster, il più centrale della capitale, vinto dai conservatori, il Labour ha perso 11 punti percentuali rispetto al 2017 e i LibDem ne hanno guadagnati 19; sempre a Londra, il collegio nord-occidentale di Harrow West è stato vinto dai laburisti, eppure con uno scarto di 8,4 punti percentuali in meno rispetto a due anni fa mentre i LibDem ne hanno guadagnati 6,5; nel collegio di Blyth Valley, nel nord-est dell’Inghilterra, dominato dai laburisti dagli anni ’50, il partito di Corbyn ha perso oltre 15 punti mentre ne hanno guadagnati 8 il Brexit Party e 5 i conservatori che si sono aggiudicati il seggio per la prima volta in 60 anni; il collegio di Barnsley Central, nello Yorkshire, ha visto la vittoria dei laburisti che hanno confermato il seggio che lì detengono da sempre ma perdendo ben il 23 per cento rispetto a due anni fa, mentre il partito di Farage ha guadagnato oltre 30 punti. Qui sono stati riportati quattro collegi a titolo di esempio, ma ciò che è stato appena descritto lo si può facilmente riscontrare in una delle tante mappe riassuntive del voto collegio per collegio (in questo caso è stata usata quella di Sky).

Veniamo ora alla Scozia: lo SNP ha strappato sei collegi ai conservatori (Aberdeen South, Angus, Ayr, Carrick  and Cumnock, Gordon, Ochil and Perthshire South, Renfrewshire East), sei ai laburisti (Coatbridge, Chryston and Bellshill, East Lothian, Glasgow North East, Kirkcaldy and Cowdenbeath, Midlothian, Rutherglen and Hamilton West), uno ai LibDem (Dunbartonshire East). Facendo una grossolana analisi del voto, questi tredici collegi hanno un comune denominatore: lo SNP ha intercettato quasi interamente il voto laburista in uscita, con l’unica eccezione di Kirkcaldy and Cowdenbeath (voti persi dai laburisti passati ai liberaldemocratici). Basterebbe già questa veloce occhiata agli spostamenti elettorali fra il 2017 e oggi per concludere che la causa indipendentista scozzese non c’entra molto con il successo dello SNP, che si deve piuttosto al collasso del Labour anche in Scozia.

Abbiamo però un ulteriore riscontro: i dati elaborati da Lord Michael Ashcroft e pubblicati sul suo sito. Secondo il suo report, un elettore su quattro dello SNP ha scelto di votarlo per questioni “tattiche”: il 25 per cento dei voti in favore del partito scozzese è stato dato per cercare di impedire al partito meno gradito di vincere. Considerando che il partito della premier scozzese ha raccolto oltre un milione e 200 mila voti, se prendiamo per buona l’analisi di Lord Ashcroft ne deduciamo che circa 300 mila di questi suffragi sono di natura “tattica”. Dal 2017 al 2019 i voti per lo SNP sono aumentati di 270 mila unità: senza alcuna pretesa di attendibilità statistica, è facile immaginare che tutti o quasi questi voti siano parte di quei circa 300 mila di provenienza “tattica”, cioè di quegli elettori che (come abbiamo visto sopra) in questa occasione hanno mollato il Labour per provare a fermare i conservatori.

Lord Ashcroft ha indagato anche le ragioni del voto, e ha chiesto agli elettori interpellati di indicare i tre motivi principali per cui hanno accordato la preferenza al partito prescelto: gli elettori dello SNP hanno dichiarato, in ordine di importanza:

  1. mi sono fidato di più delle ragioni del partito che ho votato rispetto a quelle degli altri partiti;
  2. ho preferito le promesse fatte dal partito che ho votato piuttosto che alle promesse degli altri partiti;
  3. ho pensato che il partito che ho scelto avrebbe fatto un lavoro migliore per gestire l’economia.

Queste tre ragioni, ed esattamente in quest’ordine, sono le medesime che hanno indicato anche gli elettori del partito laburista. Inoltre, dal tenore delle risposte emerge la logica del voto al “meno peggio”. Per dare un metro di paragone, queste sono state le ragioni date dagli elettori del partito conservatore per spiegare la loro scelta:

  1. ho ritenuto che il partito che ho scelto o il suo leader sia il più adatto per ottenere il risultato che desidero sulla Brexit;
  2. ho pensato che il partito che ho scelto avrebbe fatto un lavoro migliore per gestire l’economia;
  3. ho pensato che il leader del partito che ho scelto sarebbe un primo ministro migliore.

Nel caso degli elettori conservatori la logica del “meno peggio” non sembra emergere dal tenore delle risposte scelte, anzi hanno scelto ciò che ritengono il meglio.

Altro dettaglio importante: gli elettori del partito conservatore hanno indicato tra le ragioni principali del proprio voto portare a termine la Brexit, mentre gli elettori LibDem hanno indicato fermare la Brexit al terzo posto; il fermarla invece non compare fra le prime tre opzioni né per lo SNP né per il Labour. Ciò non significa che non fosse una questione sentita fra chi ha votato SNP: agli elettori che hanno partecipato al sondaggio è stato chiesto di indicare i tre temi più importanti per la scelta del voto e il 43 per cento degli elettori dello SNP ha indicato fermare Brexit, una percentuale doppia rispetto alla media degli elettori britannici. Tema molto sentito, ma non il più decisivo nella scelta di votare il partito scozzese: il 57 per cento ha indicato fra i temi prioritari il sistema sanitario nazionale. Anche in questo caso l’ordine dei temi ritenuti più importanti è identico a quello degli elettori laburisti, sebbene con percentuali diverse: al primo posto c’è il sistema sanitario nazionale, ritenuto importante dal 74 per cento degli elettori laburisti e dal 57 per cento degli elettori dello SNP; al secondo troviamo fermare la Brexit, importante per il 28 per cento dei laburisti e dal 43 per cento degli elettori SNP, come già detto; al terzo posto la lotta a povertà e disuguaglianze, importante per il 27 per cento dei laburisti e il 24 per cento degli scozzesi.

Questa sintonia nelle motivazioni di voto e sui temi più importanti porta a concludere che gli elettori laburisti al di là del vallo di Adriano non sono così distanti ideologicamente da chi vota SNP, e ciò, unito ai flussi elettorali visti sopra, conferma ulteriormente la tesi che lo SNP sia cresciuto non per una improvvisa fiammata del nazionalismo scozzese, quanto piuttosto per un misto di repulsione per Corbyn e voto “tattico” per strappare seggi ai conservatori, il tutto favorito da una certa comunanza sui temi e sul sentiment.

Infine, Lord Ashcroft ha chiesto agli elettori cosa avrebbero fatto se non ci fosse stata la questione della Brexit: l’87 per cento di chi ha votato SNP avrebbe comunque scelto loro. Ciò fa concludere che spacciare il successo elettorale dello SNP in questa tornata come una richiesta degli scozzesi di volere something of different per loro circa il rapporto con l’Ue sia per lo meno una forzatura: che la Scozia fosse remainer è noto, ma non sembra emergere un rapporto diretto fra il voler restare nella Ue e separarsi dal Regno Unito, cose che invece Nicola Sturgeon ha provato a mettere in correlazione.

Insomma, la “questione scozzese” resta e Johnson non dovrà sottovalutarla, ma in questi giorni viene alimentata in modo strumentale da chi sta cercando di riaprire una battaglia politica che aveva perso gran parte del proprio vigore e da chi tenta di aggrapparsi a qualsiasi cosa pur di offuscare, gettare un’ombra e un oscuro presagio sul successo di BoJo. Gli europeisti che godono credendo di vedere le premesse di un Regno “disunito” nella forte volontà da parte della Scozia di secedere e restare nell’Ue non fanno però i conti sia con il referendum sull’indipendenza che si è già tenuto (ed è difficile se ne terrà un secondo in una stessa generazione), sia con la mappa del voto (Nicola Sturgeon deve ringraziare per il risultato una persona soltanto: Jeremy Corbyn). I nazionalismi sono il “male assoluto”, a quanto pare tranne quello scozzese, se serve a vendicarsi con gli inglesi per aver osato uscire dall’Ue e con il “buffone” Johnson per aver vinto le elezioni.

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