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Perché ribolle la periferia marittima della Turchia

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Zero problemi con i vicini. Così recitava al principio degli anni Duemila il solenne motto dell’ex ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu.
Un quindicennio dopo, la strategia di distensione, pacificazione e cooperazione messa in campo da Ankara è in panne. Basti pensare al nuovo intervento militare in Siria, questa volta nel cantone curdo di Afrin, oppure ai rapporti burrascosi con Iraq e Iran, per non parlare di quelli con i partner europei. Qualche spiraglio fra le nubi si intravede – forse – nelle relazioni con la Russia di Putin, che però fa naturalmente il suo gioco e non quello del Sultano Erdogan.

Gli ultimi allarmi risuonano lungo la periferia marittima della Turchia. A cominciare dall’Egeo, dove è di questa settimana la notizia dello speronamento fra un pattugliatore della guardia costiera turca e un’imbarcazione della guardia costiera greca. L’incidente si è verificato in prossimità degli isolotti greci di Imia: Ankara li rivendica come propri, Atene li governa dal 1947, anno in cui il Trattato di pace di Parigi le assegnò la totalità del Dodecaneso italiano. Successivamente, nel 1996, questo spicchio di mare a ridosso della penisola anatolica è stato teatro di un’escalation che portò Grecia e Turchia sull’orlo del conflitto. A quel tempo fu necessario l’intervento statunitense per ristabilire la calma fra i propri alleati Nato.

L’incidente di questa settimana è soltanto l’ultimo di una lunga serie di violazioni e provocazioni turche volte a mettere in discussione la sovranità greca sulle isole dell’Egeo. A incendiare ulteriormente i rapporti c’è stato poi il rifiuto opposto dalla della Corte suprema greca all’estradizione di otto militari turchi coinvolti nel putsch fallito contro Erdogan del 2016.
Le pressioni turche nell’Egeo risalgono almeno agli anni Settanta del Novecento e coincidono con l’invasione e l’occupazione della parte settentrionale di Cipro da parte di Ankara nel 1974. Proprio quest’isola è balzata agli onori della cronaca dopo che nel fine settimana la marina militare turca ha bloccato la nave italiana Saipem 12000 in una concessione Eni nel Mediterraneo Orientale. Quest’ultimo episodio rivela tutta la complessità della partita energetica che è in corso in quella porzione del bacino. Secondo il governo turco, le risorse offshore appartengono a tutta l’isola e dunque non sarebbe possibile, per la Repubblica di Cipro, concederle unilateralmente.

Dietro alle aggressive dichiarazioni di facciata, da parte turca c’è la volontà di non restare esclusa dallo sfruttamento delle risorse energetiche mediterranee ora che la scoperta di nuove risorse in quei fondali rischia di indebolire la sua posizione di hub strategico per gli approvvigionamenti europei. Per il territorio turco passa ad esempio il Tanap, infrastruttura gasiera che veicola nel Vecchio Continente le risorse del Mar Caspio e che dovrebbe rifornire anche il Tap, il gasdotto in via di realizzazione tra Grecia settentrionale, Albania e Adriatico con approdo finale in Italia. Il rischio però è che mostrandosi esageratamente assertiva nei confronti dei propri vicini e partner regionali, la Turchia del sultano Erdogan finisca per scoprirsi ancora più sola e isolata. Con buona pace delle sue grandi ambizioni di potenza regionale.

Alberto De Sanctis – Utopia Lab
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