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SPECIALE ITALYGATE/3 – L’amministrazione Trump indaga sul ruolo di servizi di intelligence stranieri, i cui governi starebbero già cooperando

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Gran Bretagna, Italia e Australia. È anche sul ruolo dei servizi di intelligence di questi tre Paesi alleati degli Stati Uniti che si sta concentrando l’indagine ad ampio raggio avviata dal Dipartimento di Giustizia Usa sulle origini del Russiagate, ormai ribattezzato Spygate, e su tutte le attività investigative condotte sulla Campagna Trump. E i tre governi starebbero ora cooperando con l’amministrazione Trump.

Rispondendo a una richiesta di informazioni arrivata dal presidente della Commissione Giustizia della Camera, Jerrold Nadler, il vice Attorney General Stephen Boyd spiega che la “revisione” è di “ampio raggio” e investe “molteplici aspetti”, con l’obiettivo di “far luce su questioni aperte riguardo le attività dei servizi di intelligence americani e stranieri, così come di organizzazioni e singoli non governativi”.

Come ha ripetuto in diverse interviste e audizioni l’Attorney General Barr, bisogna chiarire se le indagini di controintelligence siano state condotte nel rispetto delle leggi e delle policies del Dipartimento, se fossero appropriati i metodi investigativi usati, e se FBI e CIA si siano avvalse in qualche modo di “attività di servizi di intelligence stranieri”, espressione che ricorre più volte nella lettera di risposta di Boyd.

Bisogna ricordare che lo scorso 24 maggio il presidente Trump ha autorizzato la declassificazione di tutti i documenti relativi alla sorveglianza e a ogni altra attività sulla sua campagna utili all’indagine e ordinato che “ogni componente della comunità di intelligence, o dipartimento e agenzia che includa elementi di intelligence, fornisca prontamente l’assistenza e le informazioni che l’Attorney General dovesse richiedere riguardo la revisione”.

Nella sua lettera di risposta, il vice AG Boyd parla di “un impegno collaborativo in corso” tra il team del Dipartimento di Giustizia, guidato dal procuratore John Durham, e non solo i membri della comunità di intelligence Usa, ma anche “alcuni attori stranieri”. Dunque, sembra di capire che i governi i cui servizi avrebbero avuto un ruolo nelle origini del Russiagate stiano collaborando a chiarirne il profilo, la portata e i dettagli.

Ma quali sono questi “attori stranieri”? Come abbiamo ricostruito nella prima e nella seconda puntata del nostro speciale, è tra Roma e Londra che si intrecciano le vicende dei due filoni che hanno dato origine al Russiagate e, cosa più importante, ne hanno alimentato la narrazione: gli incontri tra l’allora consigliere della Campagna Trump George Papadopoulos e il professore della Link Campus Joseph Mifsud, tuttora irrintracciabile; e il dossier fasullo anti-Trump confezionato dall’ex agente britannico Christopher Steele (con l’aiuto di fonti russe, tra l’altro) su commissione di una società incaricata dalla Campagna Clinton e dal Comitato Democratico di trovare materiale compromettente sull’avversario. Ed è australiano, molto vicino ai Clinton, Alexander Downer, il diplomatico che informerà il Dipartimento di Stato Usa del colloquio in cui Papadopoulos gli avrebbe rivelato di aver saputo da Mifsud che i russi erano in possesso di materiale “dirt” su Hillary Clinton, migliaia delle sue email. Almeno ufficialmente sarebbe da questa rivelazione, sostiene l’FBI, che viene aperta il 31 luglio 2016 la prima indagine di controintelligence sulla Campagna Trump. Mentre il dossier Steele – che l’agenzia praticamente da subito sapeva essere non verificato, inattendibile e politicamente motivato – sarà l’elemento chiave per ottenere il 21 ottobre l’autorizzazione a sorvegliare Carter Page e, attaverso di lui, la squadra Trump, prima e dopo l’elezione. In realtà, oggi sappiamo che i primi report del dossier Steele arrivano all’FBI, tramite un agente dell’ambasciata Usa a Roma, ben prima delle presunte rivelazioni di Mifsud via Downer.

Ma c’è un terzo caso che ci porta a Roma e che nei prossimi giorni potrebbe riservare sviluppi interessanti. Il caso Eyepyramid che ha coinvolto i fratelli Giulio e Francesca Maria Occhionero. Condannati in primo grado per accesso abusivo a sistemi informatici, oggi accusano i loro accusatori di aver fabbricato il caso contro di loro. Denunciano un’intensa attività di hacking precedente persino alla notizia di reato, diversi tentativi di accesso ai server americani di Occhionero. Le loro denunce sono sul tavolo dei magistrati di Perugia, che hanno ritenuto di avere elementi tali da chiedere il rinvio a giudizio del pm di Roma Eugenio Albamonte per omissione di atti di ufficio e falso ideologico (un altro ex presidente dell’Anm sotto inchiesta a Perugia, anche se non se ne parla…), del consulente tecnico Federico Ramondino, accusato di accesso abusivo a sistema informatico, e di due agenti del CNAIPIC, Ivano Gabrielli e Federico Pereno, per omessa denuncia e falso. L’udienza davanti al gup è stata fissata per il 17 luglio.

Molte in effetti le stranezze nel loro caso: a cominciare da quella domanda che Maurizio Mazzella, amico di Giulio accusato di favoreggiamento, si sente porre dagli agenti del CNAIPIC durante una perquisizione del 9 gennaio 2017 (alla vigilia dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca): “Chi è il vostro contatto della squadra Trump?”. Poi la rogatoria internazionale per i server di Occhionero su suolo americano, che la Procura di Roma non ha mai prodotto in giudizio; il rifiuto del responsabile FBI dell’ambasciata Usa di Roma, Kieran Ramsey, a testimoniare nel processo; la comune frequentazione della Link University da parte di molti attori del caso EyePyramid, dal responsabile sicurezza di Enav Francesco Di Maio, da cui ha origine la notizia di reato, al pm Albamonte, passando per l’ex capo della Polizia Postale Di Legami.

Giulio Occhionero sostiene di essere finito in un disegno precostituito il cui scopo era quello di utilizzare i suoi server situati negli Stati Uniti per far rinvenire elementi di collusione fra la Campagna Trump e la Russia, magari piazzandovi le famose email, come regalo alla Clinton da parte di qualche amico italiano.

Il 5 giugno Occhionero ha incontrato alcuni deputati membri della Commissione Affari esteri della Camera per portarli a conoscenza del suo caso. E sia alle commissioni esteri che al Comitato sui servizi, il Copasir, arriveranno presto tutti i documenti su Eyepyramid e i tentativi di interferenza italiani nelle presidenziali Usa del 2016 e oltre.

Commentando la lettera del vice AG Boyd su Fox News, la giornalista investigativa Sara Carter ha pochi dubbi su chi siano questi “attori stranieri” e “non governativi”: “Campagna Clinton, Comitato nazionale democratico, i professori Halper e Mifsud, il governo italiano” e “ora gli italiani stanno conducendo le proprie indagini su come sono stati usati”. Ma usati da chi? Dall’FBI, dall’amministrazione Obama, o da figure politiche italiane vicine ai Clinton?

“L’Italia diventerà presto il principale alleato dell’America in Europa. Stanno mollando Mifsud e hanno già scaricato Brennan” (l’ex direttore della Cia di Obama), ha scritto ieri notte Papadopoulos su Twitter.

Ma non sarà facile venire a capo di questa vicenda con nomi e cognomi.

Se i documenti di cui è richiesta la declassificazione ai fini della “revisione” includono inevitabilmente “informazioni sensibili in possesso della comunità di intelligence”, scrive il vice AG Boyd al Congresso, è di “grande importanza” per il Dipartimento “impedire l’immotivata divulgazione di fonti sensibili, metodi, tecniche e materiali, laddove metta a rischio la sicurezza del personale governativo Usa o di partner stranieri amici”, o che comprometta gli interessi di sicurezza nazionale e la capacità delle agenzie federali di proteggere il popolo americano. Quindi, aggiunge, l’AG Barr “ha dato indicazioni al team di revisione perché lavori a stretto contatto con i membri della comunità di intelligence per assicurarsi che gli asset di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, e i loro partner di intelligence straniere, siano adeguatamente protetti nel corso della revisione”.

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