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Sul Ddl Zan Renzi e Letta giocano il loro piccolo grande gioco

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Per chi ha letto un bel libro dedicatovi, “Il grande gioco”, conosce bene che cosa significa questo titolo, espressione con cui ci si era soliti riferire al duello spionistico ottocentesco, condotto fra la Gran Bretagna, allora insediata anche in India, e la Russia, con a partita l’influenza sull’Afganistan. Mi è parso suggestivo prendere a prestito un titolo così collaudato storicamente per qualcosa di assai più recente e meno destinato a durare, ma pur sempre circondato da un alone di mistero, almeno a stare alla prudenza a tutt’oggi dimostrata da molti commentatori politici, cioè per il duello fra Renzi e Letta con riguardo al progetto di legge Zan.

Quanto al primo, un piccolo grande uomo, mi pare che, a prima vista, ci sia una conferma del ruolo da lui assunto con l’appoggio determinante del varo del Conte 2, cioè quello di peso decisivo nell’equilibrio fra centrodestra e centrosinistra, come lo è stato, ieri, per l’avvento di Draghi e intende esserlo, oggi, per il passaggio del progetto di legge Zan, nonché, domani, per l’elezione del presidente della Repubblica. C’è avvertibile un continuum logico, se è vero che per il varo del Conte 2 ha interpretato, assai meglio di Zingaretti, il rifiuto dell’intero Parlamento ad andare ad elezioni anticipate, ancor più espresso proprio dalla maggioranza del Pd, che, sicuro di perderle, avrebbe così compromesso la sua consolidata ipoteca sul Quirinale (Napoletano e Mattarella provengono dalle sue file).

Se è vero questo, si deve supporre che avesse in vista la costituzione di Italia Viva, che in forza della sua presenza decisiva in Senato avrebbe potuto tenere il pallino in mano, con un però vistoso, di poterlo fare solo minacciando la sua antica maggioranza di centrosinistra di renderla minoranza. Cosa puntualmente realizzata con la presa di posizione contraria nei confronti della relazione del ministro della giustizia, Bonafede, inducendo Conte a dimettersi, dopo la indecorosa caccia ai responsabili – il che la dice lunga sulla statura di statista dell’avvocato del popolo. Cosa che sembra destinata a ripetersi con il progetto di legge Zan.

Nonostante il giudizio ricorrente nei talk show progressisti, ossessivamente riproposti da RaiTre da La7, credo che possa far comodo rappresentare Renzi come un caratteriale, dominato da un ego-centrismo incontrollabile che lo condanna a far di tutto per restare sulla cresta dell’onda massmediatica, uno psicotico insomma; ma verrebbe da dire con Polonio che c’è della saggezza in questa pazzia. No, è un buon giocatore ad un tavolo dove nessuno gli è pari, ma oltre a volersi imputare, per il recente passato, l’avvento di Draghi, e, per l’immediato futuro, un testo emendato del progetto Zan, nonché un presidente della Repubblica eletto col suo voto decisivo; oltre a questo, che cosa vede nel suo avvenire, dato che, sondaggio dietro sondaggio, Italia Viva ondeggia fra un 2 e un 3 per cento?

Non credo proprio che Renzi si faccia illusione circa una crescita elettorale di una Italia Viva che andasse alle elezioni politiche da sola, anche se l’essere stato determinante per la seconda parte della legislatura non può che valergli l’onore delle armi. Né credo che, per quanto attiene al suo destino personale, conterebbe su un qualche incarico europeo o internazionale da parte del centrodestra vincente, già battezzato come pretium sceleris. Per quanto il suo gruppo parlamentare sia a lui devoto, non penso che l’abbia seguito e lo segua senza una prospettiva politica di respiro, che sconti una sopravvivenza di Italia Viva o almeno di una sua rappresentanza all’interno di una coalizione, che è prematuro dare per scontato che sarà questa o quella attualmente in essere, centrosinistra o centrodestra; bisogna attendere la dislocazione delle varie forze nella elezione del presidente della Repubblica, l’eventuale ascesa di Draghi al Quirinale, la durata della legislatura.

Letta ha continuato nella linea di Zingaretti, cioè di una alleanza strutturale coi 5 Stelle, che ora si intende declassare da strategica a elettorale; ma visto che dovrebbe essere in funzione di una vittoria alle urne, per governare il Paese in una legislazione ben più difficile di questa, vincolata non alla programmazione e prima attuazione del Next generation EU, ma alla sua definitiva realizzazione; visto tutto questo, più strategica di così non potrebbe essere. Solo che nell’intento dei segretari di ieri e di oggi del partitone, questa alleanza avrebbe dovuto essere a guida dello stesso, non per nulla espressa con la formula di “un partito a vocazione maggioritaria”. Cosa, questa, che l’emersione a tutto tondo di Conte come potenziale leader dei 5 Stelle, che intende puntare su una “assoluta maggioranza”, manda all’aria l’intero castello di carte.

Sia che Conte appiani la sua divergenza con Grillo sulla natura dei 5 Stelle, movimento o partito – peraltro sempre che non sia obbligato ad accettare una diarchia – sia che fondi un suo partito, di certo non è disposto a fare il secondo rispetto a Letta, anzi casomai il contrario, soprattutto se con un suo partito svuotasse lo stesso Pd. Non è solo una problema di leadership, ma di proposta politica: Letta con la solita regola ereditata dal Pci, di nessun nemico a sinistra, ha spostato nettamente il partito proprio da quella parte, con un programma a spezzoni, unito solo dalla sua carica radicale, in una prospettiva esclusivamente identitaria, perché priva di qualsiasi possibilità di realizzazione in questa legislatura: voto politico ai sedicenni (che quindi dovrebbero conseguire anche la capacità civile, con buona pace della responsabilità delle famiglie), ius soli (che quindi dovrebbe presupporre un controllo dell’immigrazione), in un certo senso anche la prevista tassa di successione all’insegna di una ridistribuzione alla Robin Hood (che quindi dovrebbe comportare una perfetta tracciabilità della ricchezza non solo immobiliare, quella dei ceti medi, ma anche mobiliare). 

Ora Renzi ha fallito nel suo tentativo di compromesso sul testo del progetto di legge Zan, pur avendo cercato di smuovere 5 Stelle e Pd, aleggiando il rischio di un affossamento del testo così com’è nel voto segreto, ma andando anche oltre, cioè presentando degli emendamenti agli articoli contestati – 1, 4 e 7 – sì da rendere il rischio del tutto concreto. Non poteva che riequilibrare il suo approccio, ricompattandosi col centrosinistra sulla fissazione della data della discussione in aula, il 13 luglio; ma a questo punto il suo gioco si fa più difficile. Escluso che possa rientrare con la coda fra le gambe nel casermone comune del centrosinistra, l’alternativa è tosta: se ritira i suoi emendamenti, non se la caverebbe certo votando a favore con la copertura del voto segreto; se li conserva, si squilibra sul centrodestra. A cercare una via di uscita, il nostro fiorentino potrebbe appoggiare solo l’emendamento soppressivo dell’identità di genere: una fattispecie troppo generica ed ambigua per essere oggetto di una protezione penale; una figura non ben digeribile per tutta una forte componente miriade femminista, ferma nella rivendica del suo sesso vis-a-vis a quello maschile, così riducendo le donne, come ha scritto una brillante giornalista, ad essere individuate in forza del solo ciclo.

In apparenza è più facile il percorso di Letta, nel senso di tenere duro sul fronte del passaggio integrale. Non senza un pizzico di furbizia propria di ogni ex democristiano, la vede così: o passa com’è o passa con degli emendamenti, quindi non ha senso farli propri a priori. C’è un solo problema, se dovessero essere approvati degli emendamenti, ci sarebbe pur sempre una votazione finale, cui il Pd e i 5 Stelle dovrebbero rispondere positivamente, perché, a quel punto Fratelli d’Italia, se li avessero supportati, potrebbero decidere di affondare la legge in zona Cesarini, se Pd e 5 Stelle decidessero di votare contro il testo modificato.

Messieurs faites votre jeu…

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