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Traditi i principi originari di movimento anti-casta: 5 Stelle sempre più “casta” e costola della sinistra

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Il Movimento 5 Stelle, anno dopo anno, stagione politica dopo stagione politica, ha progressivamente dimostrato di essere un gigantesco imbroglio. Poco per volta sono stati contraddetti tutti i principi originari sbandierati nelle ormai dimenticate piazze del Vaffa. Quel Movimento anti-casta di cittadini, che dovevano rimanere tali anche se eletti al Parlamento, è diventato un gruppo di onorevoli e senatori abbastanza affezionati alla loro vellutata poltrona, e disposti a qualunque volo pindarico pur di conservarla. Dal governo con Matteo Salvini sono passati alla liaison con il Partito Democratico, LeU e Matteo Renzi, e al momento, stanno cercando di ingurgitare anche Mario Draghi. Hanno tradito la natura trasversale, oltre la destra e la sinistra, di quella forza di protesta anti-politica messa in piedi da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.

Infatti, con l’abbandono sostanziale delle battaglie contro l’euro e le burocrazie, romane e di Bruxelles, sono rimasti soltanto il giustizialismo e l’assistenzialismo, ben interpretato dal reddito di cittadinanza. Cose che piacciono in modo particolare alle varie sinistre e vengono respinte dall’elettorato di centrodestra. Fratelli d’Italia a parte, sono tutti con Draghi in questa fase, ma, quando giungerà il “liberi tutti”, alla fine dell’esperienza di questo governo, è improbabile che i 5 Stelle provino a sperimentare una nuova alleanza con la Lega oppure con l’intero centrodestra, ed è altresì difficile immaginare una corsa in solitaria, considerato il dimezzamento di quel consenso elettorale ottenuto anni fa. Torneranno fra le braccia del Pd e di LeU, come ennesima costola della sinistra italiana. Del resto, il precedente governo giallo-rosso ha cementato una sorta di feeling fra il M5S e il Pd.

Ma la lista delle contraddizioni pentastellate prosegue ed arriviamo all’affossamento ormai palese persino dello storico principio grillino del “uno vale uno”, ossia dell’inesistenza di un vertice vero e proprio, e dell’uguaglianza fra tutti i seguaci del Movimento, dai celebri fondatori all’ultimo militante di provincia. Era già evidente da tempo, a dire il vero, la presenza di comandanti e comandati, ma le recenti mosse di Beppe Grillo hanno rimosso anche l’ultimo velo di ipocrisia attraverso il quale ci si ostinava ancora a presentare il Movimento 5 Stelle come un qualcosa di diverso rispetto al resto della politica. D’altra parte, ogni organizzazione, per riuscire a stare minimamente in piedi, ha bisogno di una catena di comando e di una gerarchia, che devono senz’altro essere equilibrate da strumenti di democrazia interna, come capita nelle migliori realtà. Ma il dramma grillino è dato dal fatto che non solo, uno non vale uno, bensì che qualcuno vale molto più di tutti gli altri, non esistendo di fatto alcuna opportunità di democrazia interna e di dibattito. Chi non si ritrova più nelle decisioni ufficiali del Movimento, non può fare altro che andarsene, come è successo a Gianluigi Paragone e all’ayatollah grillino della prima ora Alessandro Di Battista, oppure, subire l’espulsione senza tante storie, com’è invece avvenuto con i parlamentari pentastellati che non hanno votato la fiducia al Governo Draghi. In buona sostanza, decidono tutto, hanno sempre deciso tutto in realtà, Beppe Grillo e la Casaleggio & Associati, ora nelle mani di Davide Casaleggio, il figlio di Gianroberto.

Ciò lo si nota soprattutto nei momenti cruciali, ovvero quando si tratta di scegliere il riposizionamento in questa o quella maggioranza di governo. Nelle fasi più impegnative Grillo si guarda bene dal lasciar fare ai suoi, come li chiamava un tempo, “ragazzi meravigliosi”, e abbandona la sua Genova per Roma dove provvede a dettare la linea, alla quale conviene uniformarsi. Egli dice, ipocritamente, di recarsi presso la capitale al fine di “dare una mano”, ma in realtà va a manovrare le proprie marionette. Tutte le mosse del M5S, dal governo con Matteo Salvini a quello giallo-rosso, sino ad arrivare al boccone amaro Draghi, sono state e sono farina del sacco di Grillo e di pochissimi altri. Anche l’investitura a leader pentastellato di Giuseppe Conte è stata imposta in maniera più che elitaria. Rimane la piattaforma Rousseau, che però si conferma sempre più come uno specchietto per le allodole. Mai una volta che questo strumento online voti in contraddizione con quanto già deciso dai vertici.

Il Movimento 5 Stelle ricorda un po’ l’ambiguità delle società cooperative di servizi e di produzione. La formula cooperativa, nata in Italia grazie alla spinta di comunisti e cattolici, ed avente lo scopo originario di rendere i lavoratori “padroni” della loro azienda, è divenuta con il tempo un modo come un altro di fare impresa, ma con costi di gestione tendenzialmente meno onerosi. Infatti, le società cooperative hanno un presidente, di fatto un imprenditore, che, a differenza dei cosiddetti soci lavoratori, ha in mano tutto, dai bilanci ai prestiti bancari. 

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