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Vi racconto l’inferno rom. Ecco come la legge progressista finisce per tutelare i quartieri alti. Il popolaccio? Si arrangi

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Vi racconto l’inferno. L’inferno è vivere accanto a dei rom: neppure in un centro di accoglienza, ne sono bastati pochi muro a muro. Una fase della vita che ricorderò per sempre, che definire infernale non rende lontanamente l’idea, trascorsa nel più completo abbandono. Si sono installati, in modo abusivo, nel vano che confinava con la nostra piccola casa, una notte di gennaio. Immediatamente è partita una sarabanda di appuntamenti, consegne, visite di ceffi, di sbandati, mobili spostati a qualsiasi ora del giorno e della notte, feccia che si avvicendava, colpi, litigi, catorci, citofonate furibonde, vomitate, relitti umani per le scale, incontri occasionali. C’erano di mezzo “migranti” macedoni, più elementi locali, la fauna girava sempre. Abbiamo fatto presente la situazione a chi di dovere. Per mesi e mesi la faccenda si è trascinata, nella nostra disperazione che constatava una invivibilità sempre crescente. Fare da soli? Compromettersi a costo di farsi ammazzare? E le denunce cadevano nel vuoto: “Sì, sappiamo tutto, state buoni, quella è gente che ammazza”. Noi pagavamo il mutuo per vivere all’inferno. E ci è voluto il coraggio della rassegnazione, a resistere, protestare senza trascendere, mantenere il controllo mentre tutto si deteriorava addosso a noi. La nostra piccolissima casa, a parte la nomea ormai conclamata, si era ridotta a bordello e discarica: litigare con le risorse spacciatrici non serve, è controproducente, gli dici di togliere il catorcio di bicicletta che invade le scale e loro portano un motorino scassato, sfasciano il portone, lasciano preservativi sulla soglia, smerdano i muri. Sapendo che possono farlo, che nessuno li fermerà. Sono balordi ma conoscono le leggi, sanno che quella sulla modica quantità li tutela anche in qualità di spacciatori: solo se ti trovano con mezzo chilo di roba addosso scatta l’arresto, e loro risolvono facendo ogni notte 500 consegne da un grammo l’una: 500 volte su e giù per le scale a sbatacchiare il portone, a tornar su, a spostar mobili. Potete voi immaginare quelle notti? Dormire, si fa per dire, con un coltello sul comodino, perché la nostra porta è di carta velina, con vostra moglie che trema? I pezzi di vetro contro la macchina, gli specchietti spaccati, a scopo intimidatorio? Sapevano esattamente delle nostre visite alle forze dell’ordine un attimo dopo averle fatte. E allora la rinuncia a uscire, abbiamo tre gatti, non si sa mai cosa potrebbero fare. La macchina inchiodata all’unico spiraglio possibile, stretta fra truci veicoli di mascalzoni. La paranoia che sale giorno dopo giorno, ma chi li protegge questi, chi ci sarà dietro? La frustrazione di fronte all’ennesimo assurdo invito a “portare pazienza”, a “stare tranquilli”. No, capire non si può, bisogna viverla.

Basti considerare che a questo portano le leggi garantiste a senso unico. La legge progressista finisce per tutelare i ricchi, i padroni dei quartieri alti e delle ville blindate. Il popolaccio si arrangiasse ma zitto e sopraffatto: guai a difendersi da solo, sei fascista. Ma alla fine era diventata un’ossessione e se adesso sono qui a scrivere queste righe anziché fuori gioco, è perché mia moglie e un caro amico mi hanno scongiurato di non trovarmi una pistola, come oramai mi ero risolto a fare. Perché nient’altro è possibile. Perché a lungo andare ti ammali e muori comunque. Perché le leggi castrano ogni potere repressivo. Perché dove arrivano quelle, subito un giudice progressista sfascia tutto. Perché l’opinione pubblica, manipolata dalla stampa controllata dalla politica e anche, diciamolo, dalla Chiesa più cinica, converge sull’arco tagliato dalle forbici dell’indifferenza. Anzi lo stato ti fa pure la morale: sei un laureato, sei un giornalista, non puoi trascendere, porta pazienza. Lo stato, con le sue leggi, a volte sembra rispettare più i criminali che gli incensurati qualsiasi, e viene da sospettare che sia il rispetto che usa tra malavitosi, che si intendono, che si riconoscono.

Vale pure per le altre categorie deboli del progressismo italiano ed europeo: sex workers, trans, viados e tutte le variazioni sul tema. Anche con questi io ho vissuto fianco a fianco dai miei 20 fino quasi ai 40 anni, quando si è dannati succede di vivere nei posti più dannati, ed è lo stesso discorso: sono corpi di deposito, satelliti di orbite criminose che risucchiano, si portano appresso papponi, clienti balordi, tossici-spacciatori, farabutti di ogni genere. Ti contagiano. O te ne vai o finisci nel gorgo. Provateci, a vivere sullo stesso pianerottolo di una casa di viados che ogni notte riceve, si scanna, balla, dà i numeri. Dice: te ne vai. Ma non sempre puoi scegliere e un conto sono le canzoni e i romanzetti, un altro la realtà. La nostra situazione alla fine si è estenuata fisiologicamente, per naturale consunzione. Nessuno dei responsabili ha pagato, sono semplicemente andati via, migrati a rovinare altre case, altre vite. Solo noi innocenti, noi estranei, noi insignificanti vittime qualunque abbiamo pagato. Con i nostri pezzi di vita, che nessuno ci darà indietro. Ne sono bastati tre o quattro, non i duecento di un accampamento. Fate le debite proporzioni. Ecco perché quando sento le indignazioni pelosissime dei bennati progressisti, razzisti con gli sdentati di Torre Maura, mi sale il crimine: risparmiateci le vostre favole garantiste e progressiste. Noi abbiamo già dato e non crediamo più in niente e la sporca storia della società che ha ogni colpa, che deve mantenere i suoi parassiti, che deve far scontare chi riga storto a chi riga dritto, vorremmo non sentirla più. Almeno questo.

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