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L’America immaginaria di Christina Dalcher pervasa dal fanatismo religioso

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Nel 1985 Margaret Atwood, nel suo romanzo “Il racconto dell’ancella” (da cui la fortunata serie tv The Handmaid’s Tale), scriveva di un regime totalitario e teocratico che priva la donna di qualsiasi potere ed il cui unico compito è quello di garantire una discendenza all’élite dominante.

Distopia o radicale spirito di conservazione?

In qualunque modo lo si voglia interpretare, il libro della Atwood resta un capolavoro provocatorio e visionario, da cui hanno largamente preso spunto le recenti generazioni di scrittrici americane, come Christina Dalcher, che ha esordito con “Vox” – pubblicato in Italia da Editrice Nord – un romanzo ambientato in un’America pervasa da un’ondata di fanatismo religioso e in cui le donne non possono pronunciare più di cento parole al giorno.

In “Vox” sono un ricordo ormai lontano gli anni dell’America liberal e progressista, dei diritti per tutti, delle rivendicazioni femministe e delle famiglie arcobaleno. Dopo anni di perdizione spirituale si assiste al ritorno del sacro all’interno della macchina statuale, a governare sono ora i Puri, rappresentanti del Movimento per la Purezza, che proclama la riesumazione del culto vittoriano della vita domestica e l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica.

Le donne vengono private di ogni libertà, non possono più lavorare né leggere libri al di fuori di un’edizione commentata della Bibbia, subiscono il sequestro di passaporti e conti correnti, ma soprattutto sono costrette – first lady compresa – ad indossare al polso un contatore che permette loro di pronunciare solo cento parole al giorno, pena una subitanea e dolorosa scossa elettrica.

Gli insegnanti a scuola diventano tutti uomini, la comunicazione avviene a senso unico e le studentesse ascoltano solo, sempre se non sono impegnate a partecipare a intensive lezioni di economia domestica presso la SFRP (Scuola Femminile per Ragazze Pure).

Il Movimento per la Purezza, dopo aver vinto le elezioni a suon di slogan – “Facciamo tornare morale l’America!” – confina le femministe in campi di prigionia e il medesimo trattamento viene riservato agli adulteri nonché alle famiglie omosessuali, a cui vengono tolti i figli e affidati al parente maschio più prossimo.

È un’America che invoca il ritorno alla famiglia tradizionale, dove vengono previsti incentivi per i maschi che si sposano entro i diciotto anni e un bonus per ogni figlio, dove la donna occupa un preciso posto nella gerarchia – dopo Dio e dopo l’uomo – una donna che per volere divino è custode della casa e deve essere consapevole della sacralità del suo ruolo di moglie, di madre e di angelo del focolare domestico.

“Il piano di Dio per la donna, che sia sposata o nubile, è che si adorni di sobrietà e ritrosia, che si mostri modesta e femminile senza sfoggiare orgoglio o stravaganza”, questo è il nuovo mantra a cui obbedire fedelmente.

Al di là della discutibile riuscita della narrazione dell’autrice, “Vox” apre degli interessanti spunti di riflessione sugli effetti del progressismo sfrenato e, in particolare, dei danni provocati da un femminismo scriteriato che – al pari di una macchina che genera uguali – ha spinto il genere umano fino alla mescolanza di identità uomo-donna, le cui caratteristiche risultano oggi sempre più confuse.

Non pare un caso il fatto che sia “Vox” che “Il racconto dell’ancella” siano ambientati proprio in quell’America in cui le donne, prima delle altre, hanno rivendicato uguaglianza e parità e oggi, dopo aver femminilizzato il proprio uomo, hanno votato in massa per Donald Trump – l’emblema del maschio-etero-bianco – così come quegli uomini che, vittime del femminismo castrante dei decenni passati, nella figura dell’attuale Presidente sono andati a ricercare la perduta virilità per procura.

Vox” è figlio di quel genere di totalitarismo femminista che vive di illusioni e le cui rappresentanti amano ergersi a paladine di un politically correct completamente nonsense, cavalcando battaglie insulse come quella per la declinazione al femminile di nomi maschili, accusando d’ufficio gli uomini in quanto tali e tacciando ogni soggetto dissenziente rispetto alle proprie idee di retrogrado maschilismo.

“Le donne sono l’esercito di riserva del capitalismo”, osservava qualche anno fa il francese Éric Zemmour nel suo pamphlet “L’uomo maschio“, riassumendo in poche parole gli illusori risultati delle battaglie femministe, che invece di valorizzare la figura femminile hanno contribuito a snaturarla, creando confusione e smarrimento tanto nell’uomo quanto nella donna.

La donna, oggi, si trova ancora ad affrontare delle sfide faticose ma fondamentali per capire quale sia il suo ruolo nella società, divisa fra la necessità di conservare dei diritti ormai acquisiti e quella di non perdere la propria identità, correndo il rischio di diventare un uomo qualsiasi.

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