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“In compagnia della tua assenza”: una donna libera in fuga dalla Francia antisemita degli anni ’30

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Mi accusavi di badare troppo alle apparenze ma non esiste accesso diretto all’anima che non passi attraverso le apparenze con cui ci manifestiamo nei rapporti con gli altri. Mi ci è voluta una vita per capirlo. Un romanzo con una protagonista, Sophie, che si esprime in questo modo non poteva che catturarmi. E’ la storia della famiglia dell’autrice, raccontata attraverso gli occhi di Esther, una delle quattro figlie di Sophie. Soprattutto è la storia di questa madre forte, anticonvenzionale, una donna modernissima nata ad Aleppo, in quella che fu la Siria araba del secolo scorso. L’environment è quello di una famiglia ebrea e di un milieu ebreo. Una famiglia che parla solo francese, i cui componenti l’arabo lo conoscono a mala pena. I cui nonni, negli anni ’30, insegnavano all’Alliance Israélite Universelle. E decidono, nel 1938, di mandare Sophie a studiare in Francia.

Con una notevole grazia stilistica, Colette Shamman ci racconta l’arrivo, l’ambientamento e, dopo nemmeno due anni, la fuga di Sophie da una Francia sempre più antisemita; l’autrice è però abile a far intravedere questo antisemitismo anche nel mondo arabo. E proprio in quegli anni. “Adesso dici così, ma un giorno, quando Hitler arriverà, vedrai se non mi sposi di corsa.”, le dice un giorno Amid, figlio del macellaio del quartiere di Aleppo in cui viveva e poco prima di partire per l’Europa.

In compagnia della tua assenza
di Colette Shammah
La Nave di Teseo
pag. 224 – Euro 16,00

“In compagnia della tua assenza” ci mostra, attraverso passaggi storici e generazionali, le trasformazioni di alcune porzioni di mondo. Sophie, tornata ad Aleppo dopo l’invasione dei nazisti del nord della Francia e l’instaurazione del governo di Vichy a sud, crescerà coi suoi principi ribelli e mano a mano se ne sbatterà sempre di più non solo delle regole della sua religione (irritando non poco alcune figlie) ma dei principi su cui gira l’universo valoriale della donna. Innamorata del bel mondo, della moda, dei costumi, dell’arte, gli ambiti in cui le regole plasmavano in maniera ferrea il comportamento la disgustavano. Lei sapeva che l’ambivalenza tra quel che mostriamo di noi e quello che siamo veramente riassume la condizione umana. Sophie ben presto capisce di far parte di un’etnia, un gruppo (gli ebrei) che la Storia ha sempre preso come capro espiatorio. A questo dato di fatto si è opposta non già col vittimismo ma con l’audacia, l’orgoglio e la sfrontatezza di chi la vita la ama, la rispetta, vuole goderne e soprattutto vuole che gli altri siano, come lei, liberi di goderne. Per questo agli occhi delle quattro figlie, solo dopo la morte (il libro racconta il post mortem e la vita a ritroso), Sophie riacquisterà quel credito che in vita aveva faticato a conquistarsi; spesso accusata di cinismo, egoismo, individualismo, nulla sembrava scalfirne il suo cammino verso ciò che desiderava e che, con una caparbietà implacabile, conquistò. Sophie è un esempio per tante femministe (o presunte tali) nostrane e non; quelle che oggi non hanno più il coraggio di guardare in faccia una realtà cruda e radicalmente cambiata nel giro di pochi decenni. Una realtà in cui le religioni (una in particolare) stanno cercando di tornare a far la voce grossa, con la conseguenza che le prime a subirne gli effetti negativi sono proprio le donne. Da incorniciare una delle sue tante massime. La religione è per chi ne ha bisogno. Si diventa come pecore nel gregge e, senza pastore, non si sopravvive a lungo.

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