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Day by Day: dai saluti di Franceschini al Mibact alla scomparsa di Piergiorgio Faraglia

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Sì, ha detto proprio così: “Qui mi sono divertito come un matto, non avevo mai fatto un’esperienza simile. Sotto di questa c’è solo quella come assessore alla cultura del Comune di Ferrara”. Parole pronunciate dall’ormai ex ministro per i beni culturali e il Turismo, Dario Franceschini, salutando i dipendenti del ministero nella sala intitolata a Giovanni Spadolini nel palazzo di via del Collegio Romano. Dicendo anche che “non siamo sempre stati d’accordo su tutto, ma questa è una cosa normale. Complessivamente, però, abbiamo innestato tanti cambiamenti, dalla riforma del ministero alla legge sul cinema, dall’art bonus alla legge sullo spettacolo dal vivo. Un processo riformatore di questo tipo può contenere scelte giuste e scelte sbagliate, ma mi sembra che, comunque, sia stata recuperata una centralità della cultura”. Infine: “Non so chi verrà dopo di me, ma vi chiedo di mettervi a sua disposizione con lo stesso spirito di squadra che avete avuto con me. La democrazia è così: c’è chi vince e chi perde le elezioni, ma l’Italia resta l’Italia”. Tutto in una sala gremita da nomi altisonanti: come quelli di Salvo Nastasi, Edith Gabrielli, Mario De Simoni, James Bradburne e Fabio Carapezza Guttuso.

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Il genio di Bruno Munari sarà protagonista dal 25 maggio al 23 giugno nella Galleria 10 A.M. Art di Milano. Munari (1907-1998) è stato uno degli artisti più significativi del panorama novecentesco italiano. L’esposizione, curata da Luca Zaffarano, dal titolo Creatore di forme, affronta la complessità della ricerca sperimentale di Munari, in particolare identificando nella costante indagine su come una realtà possa trasformarsi in un’altra, uno dei punti centrali della sua opera. Ecco così opere storiche come una Macchina Aritmica del 1951, un esemplare di Concavo-Convesso, mai più esposto a Milano dopo l’antologica di Palazzo Reale del 1986, e una Macchina Inutile del 1956, che portano ad avvicinarsi alla poetica multiforme della “macchina” quale apparato scenico essenziale, leggero e divertente.

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Sono trascorsi 50 anni dalla morte di Pino Pascali, scomparso a soli 33 anni a Roma, l’11 settembre 1968. La fondazione che porta il suo nome, in quel di Polignano a Mare, in provincia di Bari, sta portando avanti, in omaggio all’artista, un anno di celebrazioni attraverso mostre, convegni, talk, workshop, incontri, nel segno della memoria. In questo contesto, il 24 e 25 maggio la Fondazione Pino Pascali promuove il convegno dal titolo “Pascali. Intorno al 1968. Memorie e prospettive”, per fare il punto sulle ricerche legate all’artista, ma anche ripercorrerne le orme in un anno fondamentale per la storia italiana e per l’artista. Per Pascali, infatti, il 1968 segnò la nascita di alcune delle sue opere cruciali e la partecipazione ad una tormentata Biennale di Venezia, dove l’artista ottenne il riconoscimento internazionale. Nelle testimonianze e nelle considerazioni che si susseguiranno a Polignano la storia personale ed artistica di Pascali si intreccerà con quella più generale di un periodo storico dirompente, ancora oggi simbolo di contestazione e di rivoluzione politica e sociale, ma anche nel mirino di discussioni, ripensamenti e polemiche.

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Se n’è andato Piergiorgio Faraglia, grande musicista romano, virtuoso della chitarra: aveva 52 anni. Acustica o elettrica, poco importava: si era definito rocksongwriter. “L’uomo nero” si chiamava il suo disco, con cui era arrivato secondo alle targhe Tenco per l’opera d’esordio. Ed aveva vinto premi e stima, affetto, emozioni. Era volontario della protezione civile e nella sua Umbria, a Sellano, dove aveva casa e studio di registrazione subito dopo il terremoto aveva con altri costruito una ludoteca per i bambini della zona. Per l’ultimo saluto è stato detto: “Chi vuole può portare o indossare cose colorate. I musicisti possono portare strumenti e suonare”. Per un grande finale.

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