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Football Graffiti: Matthew Le Tissier, il Dio del “The Dell”

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Per la gente del The Dell, il mitico catino del Southampton, era Tiss o semplicemente Le God, il Dio del calcio. D’altronde, dal solo soprannome del club, i Saints, i “Santi”, traspare un rapporto privilegiato con l’Aldilà. Ma Matthew Le Tissier, classe 1968 da Guernsey, un Dio del calcio lo era davvero. In campo danzava sul pallone, non giocava. E anche quando era appesantito da qualche birra di troppo, riusciva a impensierire le difese più forti del calcio inglese, allora ancora Football League, prima dell’avvento della Premier, nel 1992.

E a quei tempi i difensori inglesi non facevano troppi complimenti: Tony Adams, Paul Pallister, Steve Bruce, Steve Nicol erano tutt’altro che mammolette. Per superarli bisognava superare delle vere e proprie tagliole. Ma Le God, nelle giornate in cui era illuminato dal divino, era in grado di fare qualsiasi cosa con il pallone, saltare qualsiasi avversario, e fare del piccolo Southampton un club in grado di giocare contro il pluridecorato Manchester di Sir Alex Ferguson e dargli una lezione da capogiro. Come quando nel 1996 i Red Devils uscirono con le ossa rotte dal The Dell, sotto i colpi di un Le Tissier capace di segnare in pallonetto al grande Peter Schmeichel. Ferguson non trovò di meglio che giustificare l’umiliante 6-3 affermando che i giocatori dello United non riuscivano a passarsi la palla perché indossavano magliette di un grigio troppo opaco per potersi riconoscere. Ma quel giorno i Diavoli Rossi videro sul serio l’inferno. E da vicino.

Punizioni, rigori – straordinaria la sua media di 47 realizzati su 48 – tiri fuori area al fulmicotone, come avrebbero detto i telecronisti di una volta: il suo repertorio era completo, totale. Le God impreziosiva le sue giocate con assist al bacio cui approfittarono il grande Alan Shearer – agli esordi nella Football League con la maglia dei Saints – ma anche giocatori non certo destinati a una carriera esaltante come Rod Wallace, Nicky Banger, Neil Shipperley, Egil Ostenstad, fino al lettone Marian Pahars.

Ma la grandezza di Matthew Le Tissier, il motivo del suo status di intoccabile per i tifosi del club dell’Hampshire fu uno. Per tutta la carriera, nonostante le offerte delle big del calcio inglese, preferì sempre il piccolo The Dell e la sua gente agli stadi più glam della Premier League; preferì sempre i piedi ruvidi dei suoi compagni Jason Dodd, Kenneth Monkou, Francis Benali e Jim Magilton, alla classe dei Ryan Giggs, Eric Cantona, Dennis Bergkamp e Gianfranco Zola, giocatori accanto ai quali non avrebbe affatto sfigurato; preferì sempre il derby con i rivali regionali del Portsmouth, che non le sfide più altolocate del nord di Londra, sul fiume Mersey, o di Manchester. Un uomo che è stato prima di tutto un simbolo per la sua comunità, prima che un grandissimo calciatore.

Eppure, con la maglia della Nazionale fallì. Gli appassionati lo ricorderanno in campo contro l’Italia a Wembley quando Zola segnò il gol della vittoria, prima che gli inglesi rischiarono di eliminarci dai mondiali di Francia ’98. Sembrava un pesce fuor d’acqua Le Tissier quella sera, incapace di incidere sul campo, forse perché troppo diverso da quello che lo aveva reso celebre fino a elevarlo a Dio del calcio. Fu la sua ultima apparizione in Nazionale. Nulla, per lui, poteva contare di più di quella comunità che, all’ingresso del vecchio The Dell, gli aveva dedicato il cartello “Benvenuti nella casa di Dio”. Benvenuti nel magico mondo di Matthew Le Tissier.

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