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L’altra faccia del lunedì – Il caso Boris Johnson: gli scandali politico-sessuali nell’era del #metoo (ma sempre a senso unico)

L'altra faccia del lunedì / Speciali

Faccia attenzione Matteo Salvini a litigare con la fidanzata nella sua abitazione. Potrebbe incappare in un vicino di sinistra che registra tutto e manda il nastro a Repubblica, pronta a montare una campagna stampa contro l’”odiatore” di donne, quasi un femminicida. La vicenda sembra assurda ma è esattamente quello che è successo a Boris Johnson, basta sostituire Repubblica con The Guardian. Il vicino di casa ha confessato infatti al Telegraph di spiare regolarmente la coppia: ma, che il tutto sia uscito proprio nel momento in cui gli iscritti conservatori devono scegliere tra BoJo e Hunt, può apparire casuale solo a un bambino dell’asilo, e fa pensare che dietro all’affare vi possano essere manine e manone (il deep state Uk non vuole Brexit, che invece BoJo ha promesso di realizzare anche in forme hard).

E’ questa infatti la ragione per cui i media mainstream (compreso il “conservatore” Times) la sinistra e appunto settori dell’establishment sono pervasi dalla BDS (Boris Derangement Syndrome) come scrive Toby Young sullo Spectator attualmente in edicola. Il mainstream globalista dipinge infatti BoJo come l’equivalente inglese di Salvini, Trump, Le Pen e Orban ma in realtà sui temi del multiculturalismo e identitari l’ex ministro degli esteri è fin troppo politicamente corretto, come ha dimostrato dal Foreign Office e soprattutto da sindaco di Londra. In tal senso è rimasto l’esponente di un vecchio conservatorismo, quella dell’Età dell’Illusione (1989-2008): allora i conservatori pensavano che bastasse essere “liberisti” per distinguersi dalla sinistra. Ma poiché a sua volta la sinistra era diventata liberista, si creò una gran melassa che diede un colpo di grazia ai vecchi conservatori, e fece nascere le figure di leader sovranisti (Trump, Salvini ecc) che in realtà sono nuovi conservatori.

Ma questo non importa al globalismo mainstream, che si scaglia contro tutto ciò che sappia di Brexit. Basti vedere come sia cessata la campagna contro l’antisemitismo di Corbyn dal momento che il laburista si è schierato per il Remain e per il secondo referendum: ovviamente l’ostilità del Labour verso Israele non è mutata, ma al globalista ora questo non interessa più.

Il caso BoJo è interessante anche per un’altra ragione. Ci spiega come siano cambiati, nell’era del #metoo e del totalitarismo progressista, gli scandali politico-sessuali. Fin che erano esistite una morale e una etica borghesi, cioè fino agli anni Sessanta del secolo scorso, il politico era meglio fosse sposato, ma poteva avere amanti purché nella discrezione. I casi scoppiavano quando le amanti combinavano qualche guaio oppure quando il loro numero diventava eccessivo – nell’etica borghese ci deve essere stabilità anche nel rapporto con la maîtresse; benché a un simpatico puttaniere come Kennedy fu perdonato tutto. Anche la frequentazione di prostituite non faceva crollare carriere, purché queste non si rivelassero spie (come accadde proprio  in Uk con lo scandalo Profumo che negli anni Sessanta portò al governo i laburisti).

Il sessantotto distrugge l’etica borghese e impone la cosiddetta liberazione dei costumi sessuali ma al tempo stesso produce un moralismo ipocrita che finisce per investire soprattutto i politici: il sessantottino Clinton si comportò, con Monica, come i codici dei campus l’avevano abituato, solo che non aveva capito di essere finito nell’età delle guerre culturali. Quella per cui il delitto non è tanto avere un rapporto sessuale quanto dimostrare scarso  “rispetto” per la donna.

E’ di questo che ora la stampa mainstream accusa BoJo, nonostante la compagna, Carrie, lo stia portando persino sulla strada del veganesimo, e nonostante nella registrazione del Guardian gli insulti siano soprattutto di lei verso Boris: ma ora i giornali della sinistra e persino il Times scrivono che BoJo sarebbe unfit a diventare premier perché “odia” le donne.

Negli stessi giorni, forse casualmente forse no, una giornalista Usa, guarda caso in campagna promozione del suo libro, ricorda improvvisamente che quasi un quarto di secolo fa Trump l’avrebbe stuprata. Per la verità, la signora non usa questo termine, confessa solo di avere accompagnato nel camerino di un negozio di lingerie quello che già allora era un divo del jet set con fama di sciupa femmine e che poi tutto sarebbe successo lì. Ma che importa! L’onta non è tanto sullo stupro, un reato grave perseguito come giusto penalmente, quanto sul non aver “rispettato” la donna nel convincerla ad avere un rapporto. Proprio come in Svezia, dove lo scorso anno il governo socialdemocratico ha varato una legge che impone, prima di un rapporto sessuale, che il partner dica en (sì, in svedese). Senza questo “consenso esplicito”, il o la partner potrebbero denunciare per stupro il diciamo così compagno o compagna.

Sono le follie del totalitarismo progressista che però si estendono più rapidamente di quanto non si creda e che corposi blocchi di potere (e di denaro) utilizzano per costruire narrazioni di “scandali”, capaci di influire sulla vita politica e persino di abbattere i leader politici: naturalmente quelli sgraditi al mainstream globalista.

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