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L’altra faccia del lunedì – La voglia di censurare “l’odio” e le fake news. Degli avversari, ovviamente…

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Leggiamo il ritratto, dipinto da Francesco Merlo, di Giorgia Meloni pubblicato giorni fa su Repubblica. Indubbio che istighi all’odio verso la leader di Fratelli d’Italia, che bene ha fatto a querelare. Oppure un meno noto articolone di Le Monde del 25 ottobre, tutto giocato sul parallelo tra il d’Annunzio fiumano e Salvini, ove quest’ultimo è descritto come un ubriacone razzista persino molestatore di bagnanti (femmine).

Se qualcuno però chiedesse il sequestro delle copie di Repubblica e Le Monde, la chiusura delle loro pagine web, la sospensione per giorni o mesi dei due quotidiani, fino all’arresto degli autori dei pezzi e dei direttori, sarebbe preso, prima ancora che per un fascista o per un comunista, per un individuo bisognoso di cure psichiatriche radicali.

Eppure, oggi molti non solo pensano ma auspicano che la medesima cosa accada per le pagine social. E anzi vogliono predisporre una legge che lo consenta. Con la sempre curiosa tempistica, Repubblica fa partire la campagna di denuncia contro gli orrendi epiteti antisemiti rivolti alla senatrice Liliana Segre. Un minuto dopo però si capisce che antisemitismo e Israele c’entrano poco; anche perché di fronte agli interventi antisemiti di cuochi antifascisti i medesimi ambienti tacciono. C’entra invece il “linguaggio d’odio” dei social, e quindi la necessità di “regolarli” . Lo sventurato presidente del Consiglio, novella Monaca di Monza, risponde e chiede che il Parlamento se ne occupi. Si occupi cioè di imbavagliare il web, anche se in realtà già è al lavoro, visto che girano progetti a nome Fiano (quello che voleva vietare i vini con l’immagine del Duce) e Boschi contro, non ridete, le fake news.

Il modello potrebbe trovarsi nelle leggi tedesche e francesi già in vigore, che comminano multe salatissime alle piattaforme (Facebook, Twitter) che pubblicano messaggi reputati, si badi bene, da altri utenti, ispiratori d’odio. In pratica, passano la patata bollente della censura sui privati. Non a caso, da quando tali leggi sono entrate in vigore, i casi di cancellazione di profili in quei Paesi sono aumentati.

Ma ci sono modelli più estremi contro “il linguaggio d’odio”. Quelli che prevedono una commissione mista, ovviamente nominata dal governo, che controlli i social e che, in raccordo con l’autorità giudiziaria, commini le pene. Qui siamo già più vicini al mondo turco, cinese, venezuelano, gli ultimi due ideologicamente molto in linea con il governo Giuseppi e la sua maggioranza.

Mi sembra ovvio che l’opposizione debba combattere con durezza contro queste tentazioni censorie, e non cadere nella trappola, in cui invece pare già essere caduto qualche suo esponente autoproclamatosi moderato e, ça va sans dire, “liberale”.

Perché oggi la parola magica è proprio questa: odio. Come scrive la giurista Nadine Strossen, docente alla New York Law School, nel recente, “Hate: Why We Should Resist It with Free Speech, Not Censorship”, negli Stati Uniti molti pensano che il free speech debba essere limitato di fronte alle parole d’odio. Ma da un punto di vista giuridico, almeno se si desidera restare all’interno della Costituzione americana, cioè del mondo libero, e non andare a Pechino o a Caracas, il concetto d’odio è troppo volatile e soggettivo, e rischierebbe di essere strumentalizzato per impedire agli avversari politici di parlare o perlomeno per ricattarli e intimorirli.

Cosa che puntualmente già succede, peraltro. Nessuno ha il monopolio dell’odio e quando gli incitamenti ad ammazzare, anche gli ebrei, vengono da sinistra (contro, ad esempio, Israele, “il nuovo nazismo”) nessuno fiata e le piattaforme non intervengono. Al contrario, chi non sta a sinistra, si trova spesso accusato di essere antisemita, anche se da sempre, e pubblicamente, amico di Israele. Una doppia morale che già utilizzano le piattaforme social e che, un domani, una legge “contro l’odio”, figlia del governo più a sinistra della storia italiana, non farebbe che statuire.

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