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Nuovi documenti declassificati: indagine aperta su una falsa premessa e Mifsud lasciato andare dall’FBI

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Aggiornato sabato 23 maggio 2020

In apparenza sembra aggiungere poco a quanto già sappiamo il documento ottenuto questo mercoledì da Judicial Watch: la “Comunicazione Elettronica” (EC) dell’FBI che il 31 luglio 2016 lanciava ufficialmente l’indagine di controintelligence, denominata “Crossfire Hurricane”, sulla Campagna Trump e i suoi presunti contatti con la Russia.

Come noto, l’indagine fu aperta dall’agente FBI Peter Strzok, di cui sappiamo il bias anti-Trump. Lo stesso che interrogò insieme a un collega il generale Flynn e manipolò il rapporto sull’interrogatorio depositandolo solo dopo tre settimane dalla prima bozza, che fu redatta il giorno stesso, il 24 gennaio. Di quel primo 302 dell’interrogatorio di Flynn non c’è più traccia, come del professor Mifsud.

Ma procediamo con ordine.

Eppure, ora che possiamo leggere, seppure con alcuni omissis, il testo della EC ufficiale, almeno un paio di elementi di un certo rilievo emergono – delle conferme come vedremo.

Ricordiamo che Crossfire Hurricane viene lanciata sulla base di una segnalazione arrivata a fine luglio all’ambasciata Usa di Londra dal governo australiano, in particolare dal diplomatico Alexander Downer, che riferisce di una conversazione risalente a maggio con George Papadopoulos, uno dei consiglieri della Campagna Trump, il quale gli avrebbe confidato che i russi erano in possesso di materiale compromettente su Hillary Clinton ed erano disponibili a diffonderlo durante la campagna. Va anche tenuto a mente che l’FBI, rispondendo alle accuse dei Repubblicani di aver dato credito al dossier Steele, ha sempre sostenuto che il 31 luglio fu la data di inizio dell’indagine e che la “suggestione” russa ricevuta da Papadopoulos via Mifsud fosse il predicato.

All’inizio dell’EC si legge che l’indagine viene aperta sulla base di una informazione ricevuta via email il 29 luglio dall’attache legale dell’FBI all’ambasciata Usa di Londra (Brian Boetig). In questa email si legge che l’attache legale è stato convocato il 27 luglio dal vice capo missione dell’ambasciata (Elizabeth Dibble). Dibble, che avrebbe lasciato il suo incarico il 30 per andare di lì a poco in pensione, lo ha avvisato di essere stata contattata da un “partner straniero di fiducia” (trusted foreign partner, l’espressione si trova nel rapporto dell’ispettore generale Horowitz) riguardo una urgente questione che richiedeva un incontro con l’ambasciatore Usa.

Nella email, riportata interamente nell’EC, si legge in sostanza che il “partner straniero di fiducia” ha riferito che il governo australiano stava cercando membri della Campagna Trump con i quali mettersi in contatto per preparare le relazioni future nel caso Trump fosse stato eletto. Uno di questi era George Papadopoulos, ritenuto uno dei consiglieri di politica estera. Papadopoulos si trovava a Londra, quindi gli australiani avevano potuto incontrarlo in diverse occasioni (guarda caso, una decina di giorni dopo l’incontro del 26 aprile a Londra in cui Mifsud avrebbe riferito a Papadopoulos la “suggestione” dei russi…). Downer (il cui nome non viene mai rivelato nel testo declassificato della EC) ha ricordato le affermazioni di Papadopoulos durante uno di questi incontri riguardo “suggerimenti” da parte dei russi secondo cui potevano aiutare la Campagna Trump con la diffusione anonima durante la campagna di informazioni dannose per Hillary Clinton.

Quindi, si legge ancora nella email, la vice capo missione Dibble ha fornito all’attache legale Boetig copia del rapporto che le è stato dato – in via informale – da Downer (nessuno dei nomi è rivelato), anche se è possibile che Downer abbia riportato ciò che Papadopoulos disse in realtà alla funzionaria Erika Thompson, quindi non necessariamente a lui in prima persona. Il testo citato del memo è il seguente:

Mr. Papadopolous [omissis] also suggested the Trump team had received some kind of suggestion from Russia that it could assist this process with the anonymous release of information during the campaign that would be damaging to Mrs. Clinton (and President Obama). It was unclear whether he or the Russians were referring to material acquired publicly of through other means. It was also unclear how Mr. Trump’s team reacted to the offer. We note the Trump team’s reaction could, in the end, have little bearing of what Russia decides to do, with or without Mr. Trump’s cooperation.

Nel successivo paragrafo della email si sottolinea di considerare la delicatezza di un’informazione fornita da Downer a Dibble (i nomi continuano ad essere nascosti) attraverso “canali diplomatici informali”, quindi si raccomanda di tutelare la fonte finché non sia avanzata una richiesta al governo australiano di ottenere questa informazione attraverso canali formali.

L’EC si conclude con lo scopo dell’indagine di cui si dà notizia di apertura: “Sulla base delle informazioni fornite dall’attache legale di Londra, questa indagine viene aperta per determinare se individui associati alla Campagna Trump sono consapevoli delle e/o stanno coordinando attività con il governo della Russia”.

Fin qui, nulla di nuovo. Dove sono, dunque, gli elementi rilevanti? Il primo è nel breve sommario all’inizio dell’email riportata nell’EC sulla base della quale veniva deciso di aprire l’indagine:

“L’attache legale di Londra ha ricevuto informazioni dal vice capo missione dell’ambasciata Usa di Londra relative all’hackeraggio del sito/server del Comitato nazionale democratico“.

Oibò, quanto meno una grossolana forzatura. Quale elemento nel rapporto di Downer sulle affermazioni di Papadopoulos poteva portare alla deduzione che le informazioni dannose sulla Clinton che i russi avrebbero potuto diffondere fossero proprio le email trafugate (ma forse non dai russi) dai server del DNC?

Anche perché – ed è il secondo elemento di un certo rilievo nella EC ufficiale – nella parte citata dello stesso promemoria che Downer aveva girato alla vice capo missione Dibble, emergeva l’estrema vaghezza di quanto gli austrialiani avevano appreso dalla conversazione con Papadopoulos di due mesi prima, ovvero “non era chiaro se lui o i russi si stavano riferendo a materiale acquisito pubblicamente o tramite altri mezzi”, “non era chiaro anche come la squadra Trump avesse reagito all’offerta” e in ogni caso, si sottolineava, “la reazione della squadra Trump, in fin dei conti, potrebbe avere scarsa rilevanza su ciò che la Russia decide di fare, con o senza la cooperazione di Trump”. Strzok se ne è infischiato ed è partito comunque con l’indagine…

La combinazione di questi due elementi indica che l’indagine fu aperta sulla base di un’unica informazione di terza o addirittura quarta mano e anche molto vaga. Downer infatti riferisce una “suggestione” sentita più di due mesi prima in un bar da Papadopoulos (o addirittura riferitagli da un’altra funzionaria australiana, Erika Thompson). Papadopoulos l’aveva appresa dal professor Mifsud, il quale a sua volta l’avrebbe appresa a Mosca da funzionari russi.

È la conferma che Crossfire Hurricane era basata su una falsa premessa o, peggio, che il rapporto informale di Downer sia servito da pretesto per indagare su un sospetto (che la Campagna Trump fosse in qualche modo coinvolta o consapevole dell’hackeraggio) preesistente, ma non basato su elementi tali, secondo gli standard dell’FBI, da giustificare l’apertura di un’indagine, come tra l’altro sottolineato dall’AG Barr.

Kevin Brock, ex capo dell’intelligence dell’FBI, ha spiegato a John Solomon di Just the News che l’EC non soddisfa i rigorosi standard dell’agenzia per giustificare l’apertura di un’indagine penale o di controintelligence: “Non c’è niente nell’EC che soddisfi i tradizionali requisiti per l’apertura di un’indagine FARA (per violazione del Foreign Agents Registration Act, ndr) o di controintelligence. Sembra fabbricata frettolosamente”. Ad insospettire, anche il fatto che Strzok abbia prima impostato, poi approvato da solo la sua indagine, inizialmente facendo in modo che il memo potesse essere visto solo dai partecipanti al caso e non da altri ufficiali dell’FBI. “Non in un milione di anni”, afferma Brock, avrei approvato questa indagine.

Per noi di Atlantico Quotidiano una conferma, dato che lo scrivemmo esattamente un anno fa in questo articolo del nostro speciale.

Da notare che il diplomatico australiano ricorda le affermazioni di Papadopoulos nell’incontro di maggio solo dopo oltre due mesi, il 26 luglio. Quattro giorni prima WikiLeaks aveva cominciato a diffondere le email hackerate al DNC. Solo allora Downer se ne ricorda, forse ricollegandole a quel fatto, pur avendole fino ad allora giudicate insignificanti.

Ma con gli australiani Papadopoulos non ha mai parlato di email. E né Downer né Papadopoulos hanno mai affermato che si sia parlato di email. Non risulta nel rapporto Mueller e, ora lo sappiamo, nemmeno nel rapporto Downer così come citato nella EC di apertura dell’indagine Crossfire Hurricane. Né si afferma che Mifsud abbia detto a Papadopoulos che la Russia intendeva diffondere attraverso un intermediario (WikiLeaks) le informazioni dannose sulla Clinton. Né nel rapporto Mueller, né nella “Dichiarazione di Reato” depositata in relazione al patteggiamento di Papadopoulos si afferma che Mifsud gli abbia detto cosa la Russia stava progettando di fare, e perché, con il materiale “dirt” sulla Clinton.

In ogni caso, le “migliaia di email della Clinton” a cui, secondo la versione di Papadopoulos all’FBI, si riferiva Mifsud non erano quelle hackerate al DNC e diffuse da WikiLeaks a luglio, ma le migliaia di email del Dipartimento di Stato e della Clinton Foundation che la candidata quando era segretario di Stato aveva conservato nel suo server privato. Quelle del caso chiamato “emailgate”, su cui era in corso un’indagine dell’FBI e di cui i media parlavano ampiamente nelle settimane, tra marzo e aprile 2016, degli incontri tra Papadopoulos e Mifsud.

Dunque, la supposizione (di Downer, dell’FBI o di entrambi?) che Papadopoulos si riferisse alle email trafugate dai server del DNC che WikiLeaks aveva cominciato a diffondere qualche giorno prima, era sballata. Da capire se per errore, o perché faceva comodo come pretesto per aprire l’indagine sulla Campagna Trump.

Su questo passaggio come su molti altri il procuratore speciale Mueller è abilmente elusivo nel suo rapporto. Evita di citare sia Downer che Papadopoulos, non descrive cosa Papadopoulos aveva davvero detto a Downer, ma cosa Downer aveva capito che Papadopoulos avesse “suggerito”, lasciando intendere che la diffusione da parte della Russia, via WikiLeaks, delle email hackerate al DNC dovesse essere ciò di cui Papadopoulos aveva parlato a Downer, mentre non lo era affatto.

A proposito di Papadopoulos, è emerso dai rapporti dell’FBI di recente declassificati che anche nel suo caso, come in quello di Flynn, il Bureau ha nascosto informazioni a discolpa che smentiscono quanto sostenuto dal team Mueller negli atti presentati al giudice federale per mandarlo in carcere.

Nel suo patteggiamento dell’ottobre 2017, Papadopoulos si è dichiarato colpevole di “false dichiarazioni e omissioni” che “hanno impedito le indagini in corso dell’FBI sull’esistenza di collegamenti o coordinamento tra persone associate alla Campagna Trump e gli sforzi del governo russo per interferire nelle elezioni presidenziali del 2016”.

Secondo la relazione di condanna firmata dai procuratori Aaron Zelinsky, Jeannie Rhee e Andrew Goldstein, “le bugie [di Papadopoulos] hanno minato la capacità degli investigatori di contestare il professore [Mifsud] o eventualmente trattenerlo o arrestarlo mentre era ancora negli Stati Uniti. Il governo ritiene che il professore abbia lasciato gli Stati Uniti l’11 febbraio 2017 e da allora non sia più tornato”. “Le false dichiarazioni dell’imputato avevano lo scopo di danneggiare l’inchiesta e lo hanno fatto”, hanno “influenzato negativamente l’indagine dell’FBI sulla Russia”, hanno sostenuto i procuratori, “e impedito all’FBI di identificare e confrontarsi efficacemente con i testimoni in modo tempestivo”.

Ma i rapporti 302 sugli interrogatori, di recente declassificati, mostrano che in realtà Papadopoulos aveva fornito informazioni che avrebbero consentito agli investigatori di “contestare il professore [Mifsud] o eventualmente trattenerlo o arrestarlo mentre era ancora negli Stati Uniti”.

Nell’interrogatorio del 10 febbraio 2017 dichiarò che “chiese a Mifsud come sapeva che i russi avevano le email” (della Clinton, ndr), ma “Mifsud ridacchiò in modo strano e rispose ‘mi hanno detto di averle'”. Secondo quanto scrive Mueller nel suo rapporto, nell’interrogatorio all’FBI dello stesso giorno, il 10 febbraio, Mifsud “negò di aver saputo in anticipo che la Russia fosse in possesso di email dannose per la Clinton”. Mifsud lasciò Washington il giorno successivo, l’11 febbraio, quindi gli investigatori avrebbero potuto interrogare di nuovo Mifsud contestandogli le sue dichiarazioni in contrasto con la versione fornita da Papadopoulos il giorno prima. Se solo avessero voluto…

Ma c’è di più. Dai rapporti 302 emerge che Papadopoulos espresse la sua disponibilità ad aiutare attivamente l’FBI a localizzare Mifsud anche prima del 10 febbraio 2017. Nell’interrogatorio del primo febbraio, per esempio, dice agli agenti che “potrebbe eventualmente incontrare Mifsud” durante un viaggio programmato a Londra e che il professore “si era di recente messo in contatto con lui” e gli aveva “indicato che forse si sarebbe recato a Washington a febbraio”.

Anche nell’interrogatorio del 10 febbraio, Papadopoulos riferì che Mifsud lo aveva contattato di recente via email e avvisò che era a Washington il giorno stesso di quell’interrogatorio. Tutto questo fu omesso dal team Mueller dagli atti di patteggiamento e dalla relazione di condanna.

Dunque, torniamo ad una domanda che ci siamo già posti molte volte in questi mesi: perché, credendolo un agente russo, l’FBI prima e il team Mueller poi non hanno arrestato, né incriminato, né mai più cercato di rintracciare Mifsud dopo la sua scomparsa nel novembre 2017, pur avendo ovviamente tutti gli strumenti per farlo?

Le affermazioni di Papadopoulos riportate da Downer sono prese talmente sul serio da motivare, da sole, l’apertura dell’indagine di controintelligence sulla presunta collusione Trump-Russia. Ritenuto così preoccupante e credibile da contribuire alla decisione inaudita di “spiare” la campagna di un candidato alla presidenza, il caso Mifsud-Papadopoulos non può essere liquidato come ha fatto il procuratore speciale Mueller nel suo rapporto e nella sua audizione al Congresso, senza rispondere alla fondamentale domanda: chi è Mifsud e per conto di chi agiva quando entrò in contatto in modo tutt’altro che casuale con Papadopoulos, appena entrato a far parte della Campagna Trump?

In oltre due anni, Mueller ha incriminato molte persone, tra cui lo stesso Papadopoulos, anche solo per aver mentito all’FBI. Eppure, nonostante secondo il procuratore anche Mifsud avesse mentito all’agenzia, non l’ha mai incriminato, né cercato. A precisa domanda durante un’audizione al Congresso, si è trincerato dietro un “non posso rispondere su questo”.

Nel suo rapporto Mueller non afferma esplicitamente che Mifsud fosse un agente russo, come invece sostenuto dall’ex direttore dell’FBI Comey al Washington Post, ma vi allude, scrivendo che Papadopoulos aveva ragione di crederlo e riportando dei suoi contatti con figure vicine al Cremlino e dello spionaggio russo, pur senza specificarne la natura e i movimenti. Mueller omette completamente, invece, i rapporti ben più stretti e intensi di Mifsud con ambienti accademici, diplomatici, politici e di intelligence occidentali – personale militare Nato, ex funzionari di intelligence americani e britannici, diplomatici, ministri e politici occidentali, l’ex vicepresidente del Parlamento europeo Pittella, che ebbe a definirlo un “caro amico”.

Se Mifsud lavorava per i russi, un incredibile numero di personalità e istituzioni diplomatiche, politiche e di sicurezza occidentali con le quali era entrato in contatto potevano essere state seriamente compromesse, una gigantesca falla nella sicurezza degli Stati Uniti e dei governi alleati. Eppure, questa ipotesi non ha mai destato allarme, non è mai stato trattato come potenziale minaccia, né dall’FBI né da altri servizi di sicurezza occidentali.

Per quasi tutto il 2017, anche durante i primi mesi dell’inchiesta Mueller dunque, e anche dopo essere stato interrogato dall’FBI, il professore ha continuato a mantenere tutti i suoi contatti, concesso interviste e partecipato a convegni, senza sentirsi in alcun modo braccato o in pericolo.

La figura di Mifsud resta quindi centrale nello Spygate, perché se fosse un asset di intelligence occidentali, allora questo proverebbe che Papadopoulos è stato adescato e incastrato già nella primavera del 2016, molto prima dell’apertura di Crossfire Hurricane, e accrescerebbe i sospetti che l’amministrazione Obama abbia aperto l’indagine sulla base di prove fabbricate, al solo scopo di spiare la Campagna Trump.

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