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Teoria e prassi (anzi, solo prassi) del bank run 2.0. Politici ci riflettano

Da giorni, mi affanno a spiegare che il problema non è tanto lo spread (termometro per tanti versi manipolabile), quanto alcune malattie di fondo: il livello complessivo del nostro debito pubblico, l’andamento delle aste dei titoli, e soprattutto la fragilità di un sistema bancario già carico di NPL (immondizia in larga misura non recuperabile né riciclabile), e oggi sottoposto a un’altalena borsistica pericolosa.

Lo dico al nostro ceto politico e alle nostre desolanti istituzioni, affinché almeno ci sia consapevolezza: e affinché ogni decisione (governo sì-governo no; elezioni sì-elezioni no-elezioni quando) tenga conto di questo elemento.

In epoca digitale, in epoca social, in modo spontaneo o “spintaneo”, basta pochissimo per provocare un “bank run”, la più classica e drammatica corsa agli sportelli.

Un po’ di giorni di andamento negativo di un titolo, un po’ di brutta stampa: dopo di che, se la cosa non accade in automatico, basta una bella foto (più o meno reale o costruita) di dieci persone in coda, abilmente veicolata sui social network e inevitabilmente rilanciata da un sistema mediatico ansioso e ansiogeno, per generare effetti di panico fuori controllo.

Un “bank run 2.0” è un evento da considerare: è facilissimo costruire una “profezia” destinata ad autoavversarsi, creare un fatto mediatico destinato a produrre conseguenze tutt’altro che virtuali. Meglio scriverlo prima, per portarci avanti con il lavoro. O con la prevenzione.

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