MediaTwitter Files: la censura social

Twitter Files 2: nella blacklist conservatori e scienziati anti-lockdown

Tutto confermato: liste nere, bugie, intervento umano, pregiudizio ideologico. “Disinformazione” era tutto ciò che i vertici di Twitter non approvavano politicamente

Media / Twitter Files: la censura social

Arriva con un po’ di ritardo il secondo lotto dei Twitter Files, i documenti interni di Twitter di cui il nuovo ceo Elon Musk ha deciso il rilascio nell’ottica di una rinnovata politica di trasparenza.

Ritardo dovuto ad un incidente di percorso: il licenziamento di James Baker, ex avvocato dell’FBI durante il Russiagate, assurto alla carica di capo del team legale di Twitter subito prima delle elezioni del 2020, che stava ritardando il rilascio dei documenti ad insaputa della nuova proprietà. Si deve forse a questo l’assenza nel primo lotto di riferimenti al ruolo dell’FBI?

Il compito di riassumere gli ultimi Twitter Files è stato affidato a Bari Weiss, giornalista transfuga del New York Times, dal quale ha dato le dimissioni nel 2020 citando l’estrema ideologizzazione del quotidiano nuiorchese, e perché “Twitter è diventato il suo (del NYT) editore definitivo”, e oggi editore del blog The Free Press.

Gli strumenti della censura

Questo secondo lotto si occupa principalmente degli strumenti utilizzati da Twitter per censurare o limitare la diffusione di determinate notizie, rendendo gli account invisibili, impossibili da trovare col motore di ricerca interna, o designando i loro tweet in maniera che non andassero mai in trend. E dell’utilizzo di tali strumenti in maniera pregiudiziale nei confronti di account conservatori.

L’esistenza di strumenti con i quali fosse possibile ridurre il traffico o limitare la visibilità di determinati account Twitter era ben noto, ma in una testimonianza al Congresso nel 2018 l’allora ceo della compagnia Jack Dorsey aveva affermato che tale censura fosse regolata algoritmicamente, e non da moderatori umani.

Blacklist

Questa affermazione era già stata messa in discussione durante l’attacco hacker al quale la piattaforma era stata sottoposta nel 2020. In quell’occasione, gli hackers condivisero una immagine della console a uso degli amministratori di Twitter, che mostrava chiaramente dei pulsanti denominati Blacklist, “lista nera”.

C’è ora la conferma ufficiale che gli algoritmi seguivano le istruzioni di esseri umani, e dove l’algoritmo non bastava, l’umano interveniva in maniera diretta, e che la censura fosse sbilanciata.

E si trattava di una politica ben precisa. Sia Dorsey, che molti altri vertici della compagnia come Vijaya Gadde e Kayvon Beykpour hanno pubblicamente negato in numerose occasioni che ciò stesse accadendo.

Conservatori nel mirino

Veniamo a sapere che personalità molto note del mondo conservatore erano state classificate come “da non promuovere”, oppure “non ricercabile”, “non amplificare”, o addirittura “Not Safe for Work” (non sicuro per il posto di lavoro), una sigla solitamente riservata alla pornografia. La lista nera includeva il popolare conduttore di talk show Dan Bongino e il presidente dell’organizzazione conservatrice Charlie Kirk.

Ma anche account non politici potevano essere soggetti allo stesso trattamento, come nel caso del medico di Stanford dottor Jay Bhattacharya, un critico della politica dei lockdown durante l’emergenza Covid-19.

Due livelli di censura

Il team che decideva chi sottoporre a filtraggio era pomposamente denominato SRT-GET, per Strategic Response Team-Global Esclation Team. Ma c’era un livello superiore: il SIP-PES (Site Integrity Policy-Policy Escalation Support), che ruotava intorno al ceo Jack Dorsey, e in seguito al suo successore Parag Agrawal, ma soprattutto a un paio di nomi già visti nel primo lotto di Twitter Files: Vijaya Gadde e Yoel Roth.

La commissione SIP-PES si occupava di gestire i casi più scottanti. “Immaginate account con molti seguaci, ma controversi”, spiega a Bari Weiss un impiegato di Twitter.

Il caso Libs of TikTok

Un esempio per tutti il popolarissimo account Libs of TikTok, specializzato nel prendere video di attivisti di sinistra da TikTok, senza tagliare o aggiungere niente, e postarli in Twitter.

L’account è diventato molto controverso anche per i video di insegnanti che raccontano come personalmente promuovano la teoria gender nelle scuole all’insaputa dei genitori dei loro allievi, contribuendo enormemente alla sensibilizzazione e al dibattito politico sul tema. Ha una lunga storia di venire sospeso e oscurato su Twitter.

Libs of TikTok non solo era in lista nera, ma marcato con l’avvertenza: “Non intraprendere nessuna azione senza consultarsi con SIP-PES”. Nel solo 2022 l’account fu sospeso ben sei volte, ciascuna volta per aver violato i termini sulla “condotta d’odio”.

Documenti interni di SIP-PES rivelano ora come la commissione ammettesse in privato che i termini di condotta di Twitter non erano stati violati da Libs of TikTok.

La giustificazione usata internamente era che i video postati che, non dimentichiamolo, provenivano da altre fonti e venivano postati in maniera integrale e non adulterata, e le rivelazioni contenutevi potessero portare a molestie online di medici e strutture impegnate nel trattamento di minori identificati come transgender.

Il doxing di Chaya Raichik

Nel novembre del 2021 la proprietaria dell’account, Chaya Raichik, fu doxata da un certo numero di account legati ad Antifa, il suo indirizzo di casa e di lavoro postati inizialmente online, e in seguito citati in un controverso articolo del Washington Post a firma Taylor Lorenz. Raichik fu costretta a lasciare la sua casa, e rimase coinvolta anche una donna omonima, che ricevette molestie e minacce di ogni tipo.

Chaya Raichik protestò con Twitter, che rispose che il suo doxing non era una violazione dei termini d’uso. Il tweet di doxing è ancora oggi online, intoccato.

La commissione SIP-PES non sembrava nemmeno troppo soddisfatta soltanto col sistema di censura ufficioso. Sempre in messaggi interni Yoel Roth raccomandava di incrementare la ricerca a supporto della tesi che “la disinformazione causa danni”, in vista di una ufficializzazione del processo.

In passato Vijaya Gadde era stata esposta, in una videoconferenza ottenuta da Project Veritas, a ipotizzare che il sistema di censura di Twitter potesse venire ampliato a tutta l’informazione su scala globale.

La censura di politici candidati

Rimane ancora non affrontata la questione se Twitter usasse gli stessi metodi per ostacolare specifici candidati politici, in particolare nel corso delle elezioni, come spesso è stato accusato di fare da politici Repubblicani. Elon Musk ha confermato in un tweet che anche questo è successo. Si attendono ulteriori rivelazioni.

Sistema orwelliano

Impossibile non notare quanto orwelliano fosse il mondo della “lotta alla disinformazione” in Twitter. Twitter chiamava la pratica conosciuta come shadowbanning (limitare la visibilità di una certa notizia o account) “Filtro alla Visibilità”, il che consentiva a Jack Dorsey e altri di mettere in atto giochi semantici e negare l’esistenza di “una cosa chiamata shadowbanning“, qualora gli venisse chiesto.

Come detto da qualcuno, se si chiedesse a Jack Dorsey se il suo ufficio ha una porta, ti risponderebbe che non si tratta di una porta, ma di un pannello mobile su cardini dotato di maniglia che si attraversa per entrare e uscire.

Come “disinformazione” veniva classificato non ciò che era falso bensì ciò, come la storia del laptop di Hunter Biden, che non rientrava in narrazioni politiche preferenziali. Perfino il doxing non era al sicuro dall’arbitrarietà di interpretazione dei termini d’uso.

Il teorema del “terrorismo stocastico”

Se riscrivere il dizionario sta diventando una pratica allarmantemente comune nel mondo occidentale, ancora di più lo è quella di assottigliare i confini tra danni fisici e stress psicologico, associando in tal modo indebitamente violenza fisica e libertà di espressione.

È il teorema del “terrorismo stocastico”, e il caso di Libs of TikTok, che anche recentemente è stato accusato di aver causato la strage di Colorado Springs.

Durante il famoso dibattito tra Tim Pool e Vijaya Gadde al podcast di Joe Rogan nel 2019, Pool fece notare che se la politica di Twitter era di censurare per “misgendering” chiunque dicesse che una donna transgender è pur sempre biologicamente un uomo, inevitabilmente la cosa assumeva un valore politico, a causa del dibattito sul gender.

In tal maniera, Twitter inevitabilmente appoggiava il dito sulla bilancia, finendo per mettere al bando più conservatori che progressisti. Gadde giustificava la scelta di Twitter con la necessità di salvaguardare la sensibilità di una comunità vulnerabile.

La “minaccia al sistema”

Oggi veniamo a sapere che Yoel Roth cercava di provare che la “disinformazione” provoca danni reali, e che la definizione di disinformazione era ciò che Roth e altri a Twitter non approvavano politicamente.

L’idea di salvaguardare individui e comunità da “harm”, termine inglese dal valore molto generico, viene poi esteso a una sorta di vulnerabilità dell’intero sistema. Per cui l’economia, la democrazia, la sanità pubblica, sono messe in pericolo se a certe informazioni viene permesso di circolare. E chi le fa circolare viene classificato come una minaccia al sistema.

La mancanza di trasparenza, la ridefinizione semantica di termini e concetti, la persecuzione mirata e discriminatoria, e la classifizione del dissenso come pericoloso, sono tutte pratiche tipiche dei sistemi autocratici e totalitari, incompatibili con la stessa idea di democrazia liberale.

Una “minaccia al sistema” molto più realistica della teoria da scuola media del “bullismo globale” che sembra imperversare a Silicon Valley.

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