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C’è “atto dovuto” e “atto dovuto”: i pm ‘graziarono’ Conte, non Meloni

A differenza di quanto accaduto lunedì, con il governo giallorosso la Procura si preoccupò di far sapere che riteneva infondate le denunce

© malija tramite Canva.com

C’è “atto dovuto” e “atto dovuto”. Prosegue senza sosta il dibattito sul premier Giorgia Meloni e sugli altri tre esponenti del suo governo (Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Alfredo Mantovano) finiti sotto indagine per favoreggiamento e peculato in relazione al caso del comandante libico Najeem Osema Almasri Habish, arrestato e poi rilasciato e riportato in Libia con aereo di Stato dei servizi. La Procura di Roma s’è messa in moto in seguito alla denuncia presentata dall’avvocato vicino alla sinistra Luigi Li Gotti, annunciando di fatto l’ennesimo scontro tra governo e magistratura.

L’Anm s’è affrettata a parlare di “atto dovuto”, ma ne siamo proprio certi? E soprattutto: funziona per tutti allo stesso modo? Quest’ultima domanda è piuttosto lecita. Dobbiamo tornare all’agosto del 2020, la prima estate con il Covid-19. Il 13 agosto l’allora premier Giuseppe Conte e sei ministri del suo governo giallorosso (Alfonso Bonafede, Luigi Di Maio, Roberto Gualtieri, Lorenzo Guerini, Luciana Lamorgese e Roberto Speranza) ricevettero un avviso di garanzia dalla Procura di Roma, che prendeva origine da varie denunce provenienti da diverse parti d’Italia, e che riguardavano la gestione dell’emergenza pandemica.

Se Palazzo Chigi sottolineò immediatamente che la trasmissione al Tribunale dei ministri era “un atto dovuto”, la Procura con una prontezza quasi invidiabile firmò una relazione nella quale definiva “le notizie di testo infondate e dunque da archiviare”. E badate bene: tra le ipotesi di reato citate nella denuncia c’erano omicidio colposo, abuso d’ufficio, attentato alla Carta. Il parallelismo con il caso della Meloni è d’obbligo: può reggere la teoria dell’atto dovuto – fino a un certo punto – ma perché questa volta la Procura non si è precipitata a definire “infondata” la denuncia di Li Gotti, considerando che anche in questo caso si tratta di una decisione meramente politica?

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Le differenze tra i due casi sono lapalissiane, visibili ad occhio nudo. Qualche sospetto è quasi d’obbligo. Ma c’è anche un altro aspetto da considerare, quello politico. Sì, perché subito dopo la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati della Meloni e degli altri tre esponenti del governo, il pentastellato Conte ha immediatamente colto la palla al balzo per attaccare il premier, definito “complice morale di Almasri e delle sue nefandezze”. Parole che si commentano da sole.

Sapete invece cosa affermò la Meloni quando era Conte il protagonista “dell’atto dovuto”? “Fratelli d’Italia  sempre detto che questa è una pericolosa deriva antidemocratica, ma visto che la sinistra ha sempre difeso l’ingerenza della magistratura nella sfera decisionale del governo, mi aspetto che ora il Pd chieda a gran voce il processo per Conte e per tutti i ministri […] Le scelte politiche di un governo  non dovrebbero essere sottoposte all’approvazione della magistratura. Serve massima trasparenza, certo, ma questa deve essere data prima di tutto al Parlamento e ai cittadini. È quello che continueremo a pretendere da questo governo che continua a scappare dal confronto e che ha calpestato la Costituzione e le dinamiche democratiche con la scusa del Coronavirus”. Pur considerando fallimentari le scelte di Giuseppi, la Meloni ribadì che non spettava ai giudici valutare. Si chiama coerenza. Ma questa parola dalle parti dell’opposizione resta un mistero…

Franco Lodige, 29 gennaio 2025

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