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Coronavirus, i nostri soldi a rischio?

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15 febbraio. 10.53 del mattino. Ora italiana. La Dashboard di Johns Hopkins fotografa la situazione legata alla diffusione della malattia. Nel Mondo, con grandissima prevalenza cinese, ci sarebbero 67.091 contagiati, 1.526 sono le persone decedute, 8.446 quelle che sarebbero guarite. L’allarme è alto. Io sono uno che viaggia tanto, soprattutto in Italia, particolarmente in aereo. Vedersi controllare la temperatura tre volte nella stessa giornata crea un po’ d’inquietudine. La vita, però, deve andare avanti. E così, salgo senza alcun patema sul volo successivo che da Roma mi riporta verso casa a Milano.

Prima di partire Chiara, mia figlia, mi chiama al telefono e mi chiede se ho prenotato i voli per Londra. Avevo promesso di portare lei ed Arianna (la mia figlia più piccola) a vedere il concerto dei The 1975 in programma sabato della prossima settimana, il 22 febbraio. Le rispondo in fretta dicendole che c’è tutto il tempo, che l’importante era avere a disposizione i biglietti per entrare alla O2Arena. In realtà tutto il rumore attorno al Coronavirus mi sta dando da pensare. Sarà il caso di andare in mezzo a tutta quella gente?

Eppure in realtà, a Chiara non l’ho detto, i biglietti aerei li ho già acquistati al momento di comperare quelli del concerto e contemporaneamente ho prenotato e pagato anche l’hotel. Eppure, anche questo a Chiara non l’ho detto, il dubbio se andare o meno sta crescendo. Le immagini dei telegiornali non aiutano, i titoloni dei giornali non aiutano. E così è facile che decida di non andare. Poi mi viene da pensare: ma se tutti dovessero cominciare a fare come me, a pensare come me, cosa accadrebbe? La gente smetterebbe di andare in aereo, ma allora perché non smettere di prendere anche i treni e di frequentare i luoghi affollati. Cinema, teatri, persino i ristoranti o i negozi nel centro delle città, figuriamoci i mega centri commerciali dove è possibile incontrare chiunque.

La paura frena le nostre azioni. Le nostre azioni impaurite finiranno per frenare l’economia. In realtà fino ad ora per i mercati finanziari il Coronavirus è come se non esistesse. Dopo una piccola oscillazione verso il basso quando la crisi è scoppiata, subito dopo le vacanze natalizie, gli indici finanziari hanno ricominciato a salire ed il mercato principale, gli Usa, dall’inizio dell’anno ha portato a casi quasi un 5%. Cosa vuol dire questo? Che per i mercati finanziari l’allarme è meno importante, anzi inesistente, rispetto a quello riportato dagli organi di stampa? Che i mercati finanziari sanno qualcosa (in chiave positiva) che gli altri, tutti noi, non sanno?

Credo più semplicemente che i mercati finanziari per ora stiano alla finestra analizzando, più che gli allarmi, i numeri sull’epidemia a cominciare da quelli della regione in cui l’epidemia si è sviluppata. Ebbene Hubei (che contiene l’epicentro di Wuhan) è una provincia interna cinese da circa 60 milioni di abitanti, una popolazione quindi pari all’incirca a quella italiana. Whuan (la città in cui tutto sembra essere cominciato) è la città più popolosa della provincia e sfiora quasi i 12 milioni di abitanti. Allora cosa ci dicono i numeri?

In questo momento ci sarebbero 64.500 cinesi infetti che rispetto alla popolazione della cittadina di Whuan rappresenta lo 0,54%. Quindi, se questi fossero i numeri reali i casi di infezione sarebbero davvero bassi. I morti, ad oggi, sono 1.526, di questi, tranne che per una decina di casi, la maggior parte sono cinesi morti in Cina. Sempre per rimanere ancorati alla città di Whuan rappresenterebbero lo 0,012% dell’intera popolazione della città e non vanno oltre il 2,36% di quelli che hanno preso la malattia. Ma nella dashboard c’è anche un altro numero di cui nessuno parla mai nei telegiornali: quello delle persone che la malattia l’hanno già superata. Sono 8.846 in tutto il mondo anche in questo caso la stragrande maggioranza è in Cina. Questo numero positivissimo rappresenta, rispetto ai malati totali il 12,6%.

Quindi, ricapitolando.

-64.500 sono i cinesi che hanno il Coronavirus (0,54% della popolazione di Whuan).

-1.526 sono i morti in Cina (2,36% dei malati, ma lo 0,012% della popolazione di Whuan).

-8.844 sono le persone che ormai sembra abbiano superato la malattia (12,6% dei malati).

Questi sono i numeri ad oggi, i numeri e le percentuali. E forse è proprio in virtù di questi numeri che i mercati finanziari stanno reagendo non curandosi della malattia. Ma è corretto? È giusto pensare che non ci siano ripercussioni sull’economia?

Dipenderà molto dalla variabile “tempo”. Nel senso che molto dipenderà dalla durata dell’allarme. Se le sirene si bloccheranno in fretta le cose cambieranno in fretta e in modo positivo. Se, invece, il picco della malattia, ed in parallelo la paura, continuerà a crescere, finirà per incidere sulla produzione industriale cinese. La Cina rappresenta attualmente circa un terzo della crescita economica globale. Per cui il Coronavirus avrà un impatto molto maggiore e più prolungato. Se le infezioni continueranno a diffondersi è facile prevedere un declino sistemico per l’economia cinese e una maggiore volatilità per i mercati globali.

È probabile che l’impatto del Coronavirus abbia un effetto negativo più grande e di più lunga durata rispetto ad eventi simili come la Sars nel 2003. La Cina è ora la seconda economia del mondo, e data la chiusura delle sue attività, il calo dei movimenti di persone e merci in tutta la regione e il declino del commercio mondiale, è probabile che l’impatto negativo sulla crescita globale sia significativo. Diminuirà anche l’inflazione, in quanto la Cina è il maggiore importatore mondiale di molte materie prime come metalli industriali e petrolio. Da quando è arrivata la notizia del Coronavirus, i prezzi delle materie prime sono precipitati, esercitando una pressione al ribasso sull’inflazione.

Anche dopo che il peggio dell’epidemia sarà passato ed inizierà la ripresa, è probabile che le banche centrali mantengano bassi i tassi di interesse per aiutare a sostenere le economie. La banca centrale cinese ha già preso provvedimenti per allentare la pressione sull’economia abbassando i tassi di interesse e allentando le condizioni di prestito. Europa e Giappone hanno meno possibilità di intervento sui tassi d’interesse, poiché lì sono già nulli o negativi. Negli Stati Uniti, già si ipotizzano altri due tagli dei tassi d’interesse. Il rallentamento dell’economia cinese peserà soprattutto sui Paesi in difficoltà come l’Italia

I cinesi rappresentano il 30% dei turisti che arrivano in Italia. Vogliono e adorano i nostri marchi, soprattutto quelli del lusso. Se la paura di viaggiare rallenterà tutto questo, in Italia ci saranno ripercussioni maggiori di quante non ce ne saranno in Cina stessa. Ci saranno ripercussioni per le esportazioni ed eventualmente anche per le importazioni di tutti quei prodotti “made in china” di cui sono strapieni gli scaffali dei nostri negozi.

La differenza tra il mondo Occidentale e quello asiatico sta anche nelle modalità d’intervento da parte della politica. Il regime cinese prende decisioni rapide, anche eccessive a volte, ma non ha il problema di scontrarsi con l’opinione pubblica. Non appena il trend di diffusione dovesse diminuire le fabbriche ripartirebbero a produrre a pieno regime se non più di prima. Ecco perché sarà il “tempo”, la misura della durata della crisi sanitaria, che determinerà il grado di ripercussioni che avremo sulla nostra economia e sui nostri risparmi.

Una cosa è certa. I tassi saranno ancora più bassi rispetto ad oggi. I risparmi se non orientati correttamente non troveranno opportunità di crescita. Molti, forse sempre di più, sbagliando li lasceranno in conto corrente. Ma tassi bassi vuol dire opportunità diverse. Ad esempio nell’area dei mutui ci sarà la possibilità di approfittare di condizioni sempre più favorevoli. Insomma, in un quadro in cui le direttrici principali erano guidate dall’aumento della liquidità e dall’abbassamento dei tassi d’interesse, il Coronavirus non farà altro che incrementare questi processi già avviati.

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